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mercoledì 13 gennaio 2016

DISAGIO, DSA E BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI

Disagio, Disturbi Specifici dell'Apprendimento e 
Bisogni Educativi Speciali

Il termine disagio è composto da “dis”, prefisso con valore negativo, e da “agio” sostantivo che attiene ad una situazione di comodità, di benessere sia psicologico sia fisico. Pertanto il “dis-agio”, globalmente inteso, indica uno stato, una condizione di mal-essere, un sentirsi non in sintonia con l’ambiente,con la situazione socio-culturale in cui si vive.
Termine “contenitore”, termine “ombrello”, il disagio fa riferimento a varie problematiche, «ad una serie di vissuti soggettivi che includono sofferenza, frustrazione, insoddisfazione e alienazione riferibili genericamente all’insieme delle condizioni obiettivamente difficili che pesano sui processi di maturazione personale e di inserimento sociale dei giovani» (1).
In ambito scolastico, il disagio si presenta come un’esperienza vissuta dall’alunno nell’affrontare le diverse attività e le regole che sono proprie; essa può rivelarsi tragica o terapeutica, a seconda della possibilità e della disponibilità dell’insegnante ad accogliere, “leggere”, interpretare il disagio ed intervenire sul medesimo. Tale situazione caratterizza, pertanto, una condizione-limite tra un alunno in difficoltà nell’adattarsi alla scuola e una scuola in difficoltà circa gli interventi e le strategie più opportune da adottare .
È la scuola a essere ritenuta la responsabile di questa situazione poiché presenta un’offerta educativa alla quale non sempre e/o non costantemente l’alunno è in condizione di rispondere in modo costruttivo e convincente; questo comporta il rifiuto di tale offerta e delle modalità per mezzo delle quali viene proposta. La scuola diviene, così, luogo di esperienze negative che se non individuate per tempo ed affrontate con efficacia, possono dare luogo a fenomeni di drop-out.
Nel corso degli ultimi anni è aumentato considerevolmente il numero di alunni che presentano varie tipologie di difficoltà le quali non sono riconducibili alle principali classificazioni dell’ICF, ma che avanzano agli insegnanti richieste di interventi “curvati” sulle loro caratteristiche peculiari che derivano dalla loro situazione peculiare. Una situazione di “difficoltà” la quale, non rientrando nei parametri delle classificazioni dell’OMS (l’ICF è una delle più importanti) non possono essere “certificati” ed avere, di conseguenza, una diagnosi funzionale che consenta loro di seguire un “percorso scolastico” ad hoc. Con il DPCM n.185 del 23 febbraio 2006 è cambiato (in senso “restrittivo”) il regolamento per la certificazione dell’handicap ai fini dell’inserimento scolastico in quanto le attività di sostegno andranno rivolte ai soli alunni che presentano una minorazione fisica,psichica o sensoriale stabilizzata e progressiva.
Ne deriva che gli alunni i quali presentano deficit non gravi né progressivi non possano avere un aiuto ulteriore costituito dalla presenza del docente di sostegno: succede che sia loro sia i rispettivi insegnanti vivano esperienze difficili in quanto i primi non vedono nessun vantaggio nel frequentare la scuola e i secondi si sentono in difficoltà nell’affrontare e nel gestire situazioni che non rientrano nella “norma”. Si tratta di ragazzi che non “stanno bene” a scuola, che la subiscono; è ovvio che la scuola non può e non deve fare tutto: in un sistema formativo integrato essa svolge un compito importante, ma non esclusivo, tuttavia fondamentale. A tale proposito il ministro Fioroni con la Direttiva 18 aprile 2007 parlò di “ben-essere” dello studente ed elencò queste 10 aree di intervento:
1. promuovere stili di vita positivi, contrastare le patologie più comuni, prevenire le dipendenze e le patologie comportamentali ad esse correlate;
2. prevenire obesità e disturbi dell’alimentazione (anoressia e bulimia);
3. rispettare e vivere l’ambiente per una migliore qualità della vita;
4. promuovere e potenziare l’attività motoria e sportiva a scuola per essere sportivi consapevoli e non violenti;
5. promuovere il volontariato a scuola;
6. sostenere la diversità di genere come valore (sessualità, identità, comunicazione e relazione);
7. accogliere e sostenere gli studenti con famiglie straniere, adottive e affidatarie;
8. promuovere la cultura della legalità ed educare alla cittadinanza attiva in Italia e in Europa anche attraverso lo studio della nostra Costituzione. Prevenire e contrastare il bullismo e la violenza dentro e fuori la scuola;
9. prevenire gli incidenti stradali attraverso la conoscenza delle regole di guida e il potenziamento dell’educazione stradale;
10. promuovere il corretto utilizzo delle nuove tecnologie.
Pur non affrontando direttamente la tematica relativa ai disturbi dell’apprendimento, questo decalogo ai punti 6, 8 e 10 fa riferimento puntuale alle situazioni negative in cui si trovano a vivere gli studenti che sperimentano nella scuola il disagio derivante anche (o solamente) dalle difficoltà/disturbi dell’apprendimento.
L’alunno che “avverte” di non essere in grado di leggere in modo funzionale allo studio e all’apprendimento delle varie materie di studio prova un profondo disagio anche nella comunicazione e nella relazione con gli adulti e con i coetanei; spesso “nasconde” o “camuffa” questo disagio con comportamenti provocatori; oppure è disattento, agitato,disturba il normale svolgimento delle lezioni. Spesso ad un’osservazione superficiale questi comportamenti ed atteggiamenti vengono attribuiti a scarso interesse, svogliatezza, basso livello di autostima. Spesso l’alunno non viene posto nella condizione – sia da parte dei docenti sia da parte dei compagni (che molte volte lo deridono) – di manifestare la reale condizione che sta vivendo; motivo per cui se gli insegnanti non individuano per tempo le reali cause di un tale comportamento e di tale situazione l’alunno si isola dal contesto-classe fino ad abbandonare gli studi.
Se, invece, gli insegnanti individuano le cause “profonde” del disagio sono in grado di affrontare la situazione in modo adeguato e di rassicurare e confortare l’alunno nel difficile processo di apprendimento. Gli alunni che presentano queste e altre difficoltà, ma che non sono “certificati” vengono identificati con l’acronimo BES (Bisogni Educativi Speciali) con il quale si indica «una qualsiasi difficoltà evolutiva in ambito educativo ed apprenditivo ,espressa in funzionamento (nei vari ambiti della salute secondo il modello ICF dell’Organizzazione mondiale della sanità) problematico anche per il soggetto, in termini di danno, ostacolo o stigma sociale, indipendentemente dall’eziologia e che necessita di educazione speciale individualizzata» (2).
Definire e ricercare i Bisogni Educativi Speciali non significa “fabbricare” alunni diversi per poi emarginarli o discriminarli in qualche modo. Significa rendersi conto delle varie difficoltà, grandi e piccole, per sapervi rispondere in modo adeguato (Janes 2005).
Esistono anche soggetti che vengono classificati con l’acronimo EES (Esigenze Educative Speciali): si tratta di persone caratterizzate da qualsiasi difficoltà evolutiva nell’ambito dell’educazione e dell’apprendimento caratterizzata da un funzionamento problematico (danno, ostacolo, stigma sociale).
La Direttiva del 24 dicembre 2012 individua e definisce meglio la situazione dei soggetti BES; un passaggio importante è rappresentato dalle affermazioni seguenti: «Gli alunni con disabilità si trovano inseriti all’interno di un contesto sempre più variegato, dove la discriminante tradizionale – alunni con disabilità/alunni senza disabilità – non rispecchia pienamente la complessa realtà delle nostre classi. Anzi, è opportuno assumere un approccio decisamente educativo, per il quale l’identificazione degli alunni con disabilità non avviene sulla base della eventuale certificazione, che certamente mantiene utilità per una serie di benefici e di garanzie, ma allo stesso tempo rischia di chiuderli in una cornice ristretta. A questo riguardo è rilevante l’apporto, anche sul piano culturale, del modello diagnostico ICF (International Classification of Functioning) dell’OMS, che considera la persona nella sua totalità, in una prospettiva bio-psico-sociale. Fondandosi sul profilo di funzionamento e sull’analisi del contesto, il modello ICF consente di individuare i Bisogni Educativi Speciali (BES) dell’alunno prescindendo da preclusive tipizzazioni. In questo senso, ogni alunno può presentare Bisogni Educativi Speciali: o per motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per motivi psicologici, sociali, rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano adeguata e personalizzata risposta». Viene sottolineata l’importanza della classificazione ICF,ma anche la necessità di non “circoscrivere” l’alunno con disagio/difficoltà/disturbo in una  ”cornice ristretta” perché si limiterebbe il suo processo di inclusione nel contesto-classe.
L’assenza di certificazione non consente all’alunno di accedere alle provvidenze ed ai servizi previsti dalle legge 104; nonostante la mancata presenza dell’insegnate di sostegno, gli insegnanti curricolari sono emotivamente e professionalmente impegnati nella elaborazione di strategie di intervento “curvate” sulle caratteristiche peculiari di  ”quel” determinato alunno affinché riduca (o elimini) la negatività della sua situazione. Si tratta di un “percorso” delicato e difficile che alunno, genitori ed insegnanti devono seguire insieme in un confronto “a rete” e scevro da pregiudizi.
Gli insegnanti, soprattutto, devono osservare attentamente (esistono al riguardo molte schede di osservazione) e sistematicamente l’alunno, già dalla scuola dell’infanzia, poiché una individuazione tempestiva di un deficit consente agli insegnanti e ai genitori di predisporre gli interventi più opportuni. Questa considerazione si attaglia soprattutto ai soggetti con DSA in quanto le difficoltà e/o i disturbi dell’apprendimento vengono ritenuti meno gravi di un altro deficit e, di conseguenza, i genitori, soprattutto, sottovalutano, in alcuni casi, la gravità del problema.
Concludo questo intervento con alcune considerazioni che vanno “controcorrente” e che stimolano una riflessione ulteriore riguardo ai soggetti con DSA, ma anche a quelli che vengono “certificati” causa la presenza di altri deficit: «Siamo di fronte al sovvertimento della funzione dello psicologo, che invece di assistere chi manifesta dei problemi e chiede aiuto (anche tramite la famiglia), si arroga (con inammissibili pressioni psicologiche) il diritto di “testare” l’intera società per decidere chi è sano di mente e chi è non lo è, oltretutto in base a criteri di dubbio valore scientifico. Difatti, proprio in questi giorni, mi è occorso di leggere articoli circa i criteri con cui gli psicologi dovrebbero individuare i soggetti “discalculici”, talmente assurdi e incompetenti che c’è da rabbrividire all’idea di consegnare i bambini a chi scoprirà disturbati dove non ve ne sono, facendo entrare molti sani nel tunnel della disabilità. È assai probabile che chi avesse sottoposto a test del genere Albert Einstein o René Thom, li avrebbe catalogati come disturbati e sottoposti a un programma didattico differenziato sotto un “gruppo di controllo” di psicologi» (Giorgio Israel, Il Foglio 21.4.2011).
Fonte: is.pearson.it
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