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mercoledì 27 marzo 2019

7 pillole di saggezza per rinnovarsi

7 PILLOLE DI SAGGEZZA PER RINNOVARSI

Ortega y Gasset (1883-1955) fu un filosofo e scrittore spagnolo legato alla teoria del prospettivismo, al raziovitalismo e al movimento di rinnovamento culturale e artistico contro il modernismo, conosciuto come Noucentisme. Le frasi di Ortega y Gasset ci invitano a riflettere e a metterci in discussione. Sono pillole di saggezza per tutti coloro i quali vogliono rinnovarsi a partire dalla metafora e le frasi ingegnose.

Il suo pensiero ha esercitato una grande influenza su diverse generazioni di intellettuali. Egli non fu soltanto un brillante divulgatore, ma si dedicò ad approfondire una grande varietà di campi del sapere tra cui la filosofia, la psicologia, l’arte e la letteratura. Il suo stile è considerato elegante e originale, soprattutto il suo discorso filosofico. La prova risiede in alcune delle sue opere quali Il tema del nostro tempo (1923) o La ribellione delle masse (1929).

Il cammino verso se stessi
“Cammina lento, senza fretta, che l’unica tua meta è trovare te stesso”.
Si tratta di una delle frasi più belle di Ortega y Gasset. La destinazione non è un luogo, non è un lavoro né un momento. Non è il cammino verso i nostri sogni, bensì riconciliarsi con noi stessi. Il punto esatto in cui ci incontriamo con la nostra vera essenza.
A volte, ci dimentichiamo che la cosa più importante non si trova là fuori, bensì dentro ognuno di noi. A che serve raggiungere ciò che desideriamo, avere la vita dei nostri sogni se poi non ne facciamo veramente parte… Sembra che a volte invertiamo l’ordine delle cose e diamo la priorità alle mete esterne pensando che poi arriverà il momento per conoscersi. In questo modo, posticipiamo l’elemento fondamentale: arrivare a noi stessi.

Il valore degli errori
“Il vero tesoro dell’uomo è il tesoro dei suoi errori”
Un errore è un ponte verso la conoscenza, l’opportunità di migliorare ciò che in un momento dato è andato male. Un tesoro, come esprime Ortega y Gasset, pieno di saggezza.
Sui nostri sbagli si ergono il cambiamento e la crescita. Basta soltanto imparare a vederlo. Gli errori sono umani, tutti li commettiamo. È praticamente impossibile salvarsi da essi. Di fatto, non possiamo controllarli perché non siamo perfetti. Allora, ciò che possiamo scegliere è l’atteggiamento con cui affrontarli.
Gli errori sono grandi maestri. Basta semplicemente dargli un’opportunità. Ci indicano quale cammino abbandonare o quale strategia migliorare. A partire da essi c’è tutto un mondo da decifrare, così che in ogni errore si racchiude una sfida.

La costruzione della realtà
“Ci sono tante realtà quanto punti di vista. Il punto di vista crea il panorama”.
Una delle pillole di saggezza di Ortega y Gasset da ricordare nelle nostre conversazioni con gli altri. Ogni persona crea un mondo, il suo mondo, e a partire da esso filtra tutto ciò che accade intorno a lei. Per questo motivo nascono molti fraintendimenti; per questo a volte è tanto difficile capirsi.
Ciò che fa bene e arricchisce le nostre relazioni è apprezzare le sfumature presenti in ogni prospettiva, in ogni punto di vista che ci circonda. Questa è la magia, il mistero. Una realtà che si moltiplica e che dipende dagli occhi di chi guarda.

Pianificare e pensare in prospettiva per avanzare
“È possibile avanzare solo quando si guarda lontano. Si può progredire solo quando si pensa in grande”.
Per Ortega y Gasset era chiaro: avanzare presuppone pensare in grande e credere che tutto è possibile. Se accorciamo il nostro pensiero, i nostri sogni si vedranno ridotti in buona misura.
Quando si tratta di progetti, mete e obiettivi, la parola impossibile dovrebbe trovarsi all’ultimo posto nella lista dei significati da prendere in considerazione. Perché, se riduciamo il nostro campo di visione, non riusciremo a raggiungere ciò che ci siamo prefissi. C’è tutto un mondo di possibilità là fuori, basta soltanto trovare il modo. Questa è la sfida.

Insegnare a dubitare
“Laddove insegni, insegna a dubitare di ciò che insegni”
Ecco un’altra delle pillole di saggezza di Ortega y Gasset che vale la pena di ricordare, soprattutto nell’ambito educativo. Se vogliamo degli adulti liberi e capaci di decidere da sé, insegnare a dubitare è fondamentale.
Imporre un’idea vuol dire accorciare il campo del sapere che è così vasto e illimitato… Senza dubbio, insegnare a porsi domande, non solo agli altri ma anche a noi stessi è la chiave verso la conoscenza. La porta verso la ricchezza che proviene dalla diversità di prospettive. Il dubbio è fondamentale per costruire idee catartiche.

L’importanza della responsabilità
“Molti uomini, così come i bambini, vogliono una cosa ma non le sue conseguenze”.
Renderci responsabili delle conseguenze dei nostri atti richiede maturità emotiva. Sapere che una decisione porta con sé qualcosa che va oltre il momento della scelta è fondamentale. Spesso, tutto dura molto di più del momento in cui succede. Sapere che cosa fare con la traccia che lascia ci permette di avanzare, organizzarci e non perderci.
Chi non si responsabilizza vive nell’instabilità, nel vittimismo e nella colpa. Non sa che passi muovere né quali ha già mosso. Si muove per capriccio o immediatezza, come i bambini. È ovvio che, una volta ottenuto ciò che si desidera, sarà importante sapere anche che cosa fare con la traccia che lascia.

Sapere con umiltà
“Sapere di non sapere è, forse, il sapere più difficile e delicato”.
Probabilmente una delle frasi di Ortega y Gasset più complicate, e la cui accettazione implica una grande dose di umiltà, ma è senza dubbio una delle più sagge. Dobbiamo riconoscere i nostri limiti, accettare che conosciamo l’equivalente di una goccia d’acqua dentro un oceano immenso.
Che cosa sappiamo in realtà? Chi crede di sapere tutto non andrà lontano perché la sua superbia glielo impedirà. Al contrario, chi con umiltà accetta la propria ignoranza, è prossimo a dare un altro passo verso la scoperta di tutto ciò che lo circonda. Come si può vedere, le pillole di saggezza offerte da Ortega y Gasset sono un invito all’autoriflessione e alla messa in discussione. Parole a cui ricorrere se vogliamo rompere la rigidità del nostro pensiero.

Fonte: www.lamenteemeravigliosa.it

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mercoledì 20 marzo 2019

5 errori da evitare quando si diventa genitori

5 ERRORI DA EVITARE QUANDO SI DIVENTA GENITORI

Avete notato anche voi quanto vanno di moda i bulldog francesi?
Ho incontrato una coppia che mi ha raccontato quanto desideravano averne uno, il lungo percorso che li ha portati a scegliere il giusto allevatore, l’attesa che nascessero i cuccioli e fossero svezzati e finalmente l’adozione. Poi da quel momento, il racconto è una tragedia infinita. Il cane bisognoso di attenzioni e cure costanti, incidenti alle zampe, problemi gastrointestinali, paura crescente nei padroni e pensiero fisso “ma come c’ho pensato a prenderlo che non campo più adesso?”.
Chiarisco immediatamente che questo non è un articolo sui bulldog francesi, non mi interessano questioni cinofile (al momento) ma mi interessa la curiosa similitudine che questa situazione mi sembra avere con la nascita di un bambino.
Quando nasce un bambino la prima grande trasformazione che la famiglia vive è il passaggio dall’essere coppia all’essere genitori, passaggio che viene agevolato dall’aver già seguito un percorso personale di emancipazione dalla propria famiglia di origine.
Non si diventa genitori se prima non si è adulti e non si diventa adulti se non si smette di essere figli, ovvio, si parla di ruoli e non di biologia.
Se non è chiaro il motivo per cui si desidera un figlio, se non è completamente cosciente il perchè si vuole cambiare drasticamente la propria esistenza (perchè questo avverrà) il rischio è che l’inconsapevolezza e fragilità genitoriale verranno messe a fianco del bambino nella sua culla, come i doni che le fatine fanno ad Aurora.
Deve essere chiaro a chiunque decide di mettere un figlio al mondo, che è l’adulto che deve adattare la propria vita al nascituro e non viceversa.
Questo non significa sacrificare la propria esistenza e finire con l’essere riprodotto in qualche scultura dedicata ai martiri della famiglia, significa piuttosto mettere in atto una sana accettazione che le situazioni cambiano, che una famiglia è una comunità di individui ognuno con i propri bisogni ed in certi momenti i bisogni di qualcuno posso avere una priorità su quelli degli altri. Come nel caso di una malattia, o appunto di una nuova vita che si affaccia.
Gli errori più comuni che vedo messi in atto sono:
·        desiderio di tornare immediatamente alla propria vita mondana portandosi dietro i bambini come fossero accessori di tendenza. Genitori che fanno aperitivi, serate, cene in luoghi chiassosi con bambini di qualsiasi mese e misura a fianco. Bambini piazzati davanti agli schermi, genitori che urlano se i bambini non vogliono vedere il cartone, che li minacciano di tornare a casa se non li ascoltano sapendo che non ce li porteranno mai perchè se i genitori sono lì è proprio perchè a casa non avevano voglia di stare! Il corpo del bambino per riuscire a tenere le energie alte oltre l’orario classico della nanna, produce adrenalina e cortisolo, che inducono irrequietezza e stress. Ergo: mi addormento quando crollo perdendo il mio sano bioritmo.
·        ripresa della propria vita lavorativa esattamente da dove si era lasciata senza riduzioni di orario. Sono perfettamente d’accordo sul fatto che un adulto non debba identificarsi con il ruolo genitoriale ma anche con quello lavorativo, che il proprio lavoro, soprattutto se amato, è fonte di benessere e serenità. Ma cribbio, non potete mettere bambini di 4 mesi al nido perchè dovete subito tornare a lavoro, è assurdo che i nidi tengano bambini di 1 anni per più di 6 ore, non è concepibile lasciare un bambino al nido dalle 8 alle 18!! Allora fate le pratiche di adozione e toglietevi questo peso una volta per tutte. Un bambino, specie nel primo anno di vita, ha BISOGNO dei genitori per la costruzione di una base affettiva-relazionale stabile e sicura, tale relazione avrà effetti per tutto il resto della sua esistenza influenzando tutte le sue relazioni future. E quindi la risposta è sì, per il primo anno, dovete accettare che la priorità ce l’ha vostro figlio e non voi. Sì, per il primo anno dovete gestire meglio la vostra vita lavorativa. E sì, se pensate che il lavoro venga prima di vostro figlio sempre e comunque, avete un grosso problema familiare. Diverso è il caso se il vostro lavoro contempla la presenza di vostro figlio, allora è diverso. Ad esempio, se lavorate in un ufficio dove avete libertà di movimento, di pause, di ripresa, portatevi il piccolo con voi. Finchè è piccolo farà lunghe dormite e accanto a voi riceverà tutto il nutrimento affettivo che necessita mentre voi avrete il vostro spazio personale di realizzazione e benessere.
·        televisioni sempre accese. “Tanto è piccolo mica la vede anche lui”, eh certo! Quindi continua pure a guardare Psyco mentre allatti tuo figlio di 13 mesi che tanto lui mica vede e sente fino ai 3 anni…. (di allattare davanti la tv ne avevamo già parlato).
·        lamentela costante. Chi non ha accettato che una nuova vita porta una nuova vita anche per tutti gli altri componenti della famiglia, tenderà a lamentarsi sempre scaricando il barile sul piccolo (mentre si scrive su instagram “tesoro della vita mia”) e non si comprenderanno le sue reali richieste percependole sempre come pretese, capricci e scocciature. Sempre più spesso nella mia professione di pedagogista, incontro genitori disperati di fronte ai comportamenti dei figli e 9 volte su 10 quello che il bambino sta cercando di dire è “Mi vedi? Ti accorgi di me? Mi ami?”.
·        rifiuto della solitudine. Se c’è una cosa che esser genitore ti insegna, è affrontare la solitudine. Questa è la prova di fuoco per capire se ti sai bastare, se riesci a reggere il silenzio, se hai una relazione con il tuo compagno soddisfacente. Se siete finiti per essere una famiglia o se lo avete scelto. Rifiutare questo passaggio porta i neogenitori e riempire i vuoti. A fare passeggiate nei centri commerciali, a partecipare a qualsiasi attività, a invitare costantemente qualcuno a casa, ecc. Non che nessuna di queste azioni sia scorrette ovvio, il problema nasce quando diventano quasi ossessive. Una ricerca sfrenata di compagnia, importante comunicazione del proprio mondo interiore, che va ascoltata ma soprattutto compresa per rintracciarne le origini.
Insomma, cari genitori, crescere un figlio è davvero un compito stupendo, simile ad un’escursione in montagna. Ci sono salite ripidissime che preferiresti scavarti la fossa con un legnetto piuttosto che affrontarle, panorami mozzafiato, profumi di sottobosco magici, discese facilissime, pause rigeneranti, stanchezza felice e soddisfazione profonda.
Ricordatevi solo una cosa, che un palazzo senza fondamenta non si regge, che una torre se poggia sui cracker ad un certo punto viene giù, che se una corda non è ben legata alla sommità si stacca e cade, che la vita va protetta e i protettori siamo noi, non ce ne sono altri.
E’ vero vi sentirete soli, disperati, spaventati.
Vi chiederete anche voi come la coppia del bulldog : “ma come c’ho pensato a prenderlo che non campo più adesso?”.
Ma non fate l’errore di cercare di fuggire da tutto ciò, non perdete l’occasione d’oro di crescere assieme ai vostri figli.
Ricordate, quello che state vivendo non è un momento di fragilità, ma la scoperta di un nuovo disarmante, affascinante, sconvolgente, incantevole mondo.
Quando il treno parte fa paura è vero, ma non scendete per paura e se siete in difficoltà rivolgetevi a figure professionali in grado di aiutarvi a riflettere sulle cause piuttosto che ricevere consigli sulle pratiche.
Siete vivi, siete pieni di vita, avete di fronte a voi la vita nella sua forma più potente, questo è ciò a cui dovete aggrapparvi.

Fonte: www.hundredsofbuddhas.com

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mercoledì 13 marzo 2019

Bambini al guinzaglio

BAMBINI AL GUINZAGLIO
NON STIAMO ESAGERANDO?

Vi sono piccoli che indossano un braccialetto. No, non è un cinturino o un orologio, ma un sensore. Quando il pargolo si allontana dal campo visivo il ricevitore di cui è munita la mamma, si mette a suonare. Allarme rosso! La madre scatta e intercetta il piccolo che voleva godersi uno spicchio di mondo.
Purtroppo non è fantascienza. Un celebre marchio di apparecchi elettronici di casa, ha pubblicizzato il braccialetto elettronico per piccoli. Bambini pilotati, diretti, dipendenti al 100%!
A tutti è noto il guinzaglio del cane che si allunga - non più di tanto! - regalando un breve spazio di libertà all'animale. Alcuni criminali recidivi sono, oggi, muniti di un bracciale per controllarne gli spostamenti.
Ebbene, anche se può essere urtante, l'onestà ci impone di dire che siamo arrivati a trattare i bambini come i criminali ed i cani!

Ragioniamo
Non è tempo di dire che le mamme 'elicottero', le mamme ' vinavil', anche se pensano di amare il loro bambino, in realtà, lo annientano?
Non è tempo di smettere di trattare i piccoli come le statuine del presepio che possono godersi un po' di luce solo una quindicina di giorni all'anno?
“C'è in Italia un piagnisteo sui pericoli dei bambini che rasenta l'idiozia”, sostiene Roberto Volpi.
Questo per il guinzaglio elettronico.
In realtà vi è un secondo tipo di guinzaglio non meno inaccettabile: si tratta del 'guinzaglio verbale': il guinzaglio delle parole.
“Non toccare!”. “Non correre!”. “Sta' al sole!”. “Non stare al sole!”. “Attento che cadi!”: “Te l'avevo detto che cadevi!”. “Mettiti la maglia!”. “Togliti la maglia!”.
Ecco: bambini pilotati dal tassativo guinzaglio verbale.
A questo punto il ragionamento arriva al sodo.
Privare il piccolo di ogni forma di autonomia, è rubargli la vita!
Tutti sanno che il bambino è avido di vivere.
Ha gli occhi e vuole vedere.
Ha le orecchie e vuole aprirle.
Ha mani e vuole manipolare.
Ha gambe e vuole usarle.
Dire ad un bambino “Non muovere!”, “non toccare!” è come dirgli “Muori!”.
Ha tutte le ragioni la psicologa Anna Oliverio Ferraris a sostenere che “In nessun'epoca il bambino è stato tanto inattivo come oggi!”.

Il bambino ha diritto all'aria libera: in gabbia muore!

Il risponditore automatico
L'esperto Jesper Juul sostiene che i genitori devono abbandonare il “risponditore automatico”, lo strumento che, appena i figli sono a portata di orecchio, attacca con i soliti commenti educativi, di aiuto o di consiglio. È evidente che la maggior parte dei figli già all'età di tre anni smette di ascoltare la macchina parlante, mentre la maggior parte dei genitori dimentica per quali risposte l'aveva programmata. Di solito il nastro contiene un'accozzaglia di “saggezza ricevuta”, che ci arriva dai nonni, frammista a consigli più o meno attuali letti su qualche rivista o sentiti in televisione.
«Ma il fatto che lo strumento sia automatico non significa che sia innocuo; tutt'altro. Le parole in sé possono sembrare abbastanza inoffensive, ma il messaggio sottostante è distruttivo: “Tu non sei in grado di funzionare come un figlio decente/responsabile/beneducato/collaborativo se io non ti metto in testa ogni minuto quello che devi fare!”. O, come dicevano i miei genitori: “Dovresti ringraziare il cielo che ci siamo noi! Altrimenti come finiresti?!”. E quanto più il nastro lo ripete, tanto più il messaggio viene registrato.
La capacità dei figli di esprimere e praticare il loro senso di responsabilità cresce con l'età, e la stessa cosa avviene per gli adulti, i migliori dei quali sono pronti a riconoscere le proprie competenze e quelle dei loro figli».
Tra le nostre tante convinzioni, che da sempre portiamo con noi, la più radicata è questa: se i nostri piccoli si sentissero più volte dire dai genitori: “Corri a giocare!”, avremmo bambini meno tesi, meno tristi, meno violenti, meno annoiati, meno delusi dalla vita.
È la prova della sapienza del proverbio: “La catena, non ha mai fatto un cane bravo e felice”.

«TUTTO DA SOLO!»
In un corridoio di un centro di rieducazione per bambini affetti da disabilità più o meno gravi, un bambino con le gambe inerti, imprigionate da ingombranti tutori di metallo, si trascinava rimanendo seduto sul pavimento, sbuffando e piagnucolando.
«Tiziana, tirami su!» frignava stizzito verso la giovane volontaria che lo guardava sorridendo al fondo del corridoio, a braccia spalancate.
«Aiutami!» piangeva il bambino. Ma la ragazza sorrideva e non si muoveva.
Furioso, con le lacrime agli occhi, il bambino puntò le braccia con tutte le sue forze, con uno sforzo immane costrinse le sue gambe a piegarsi finché si alzò in piedi e traballando, a passo di formica, cominciò a percorrere il corridoio.
Dopo un tempo interminabile, arrivò dalla ragazza che lo aspettava sempre sorridente, con le braccia aperte.
Il bambino si buttò in quelle braccia gridando: «Tutto da solo! Hai visto? Ho fatto tutto da solo!».
La ragazza lo strinse a sé piangendo e rimasero così un bel po'. Tutti quelli che passavano guardavano stupiti quel momento di pura felicità di una ragazza e un bambino che piangevano abbracciati.

Fonte: www.biesseonline.org
Autore: Pino Pellegrino

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mercoledì 6 marzo 2019

Diamo la giusta libertà ai bambini

DIAMO LA GIUSTA LIBERTÀ AI BAMBINI
Dare libertà al bambino non significa lasciargli decidere e fare tutto ciò che vuole 

La libertà, è senz'altro uno degli obiettivi che molti genitori si prefissano per i propri figli. Quando nascono infatti li vogliamo sani, forti e liberi.

Però non è che sia proprio chiaro cosa si intenda per libertà e come vi si possa giungere, la confusione talvolta è così elevata da rischiare di confondere il fine con lo strumento per ottenerlo.

Quindi, laddove si cercava, per amore, di sostenere il bambino in un processo di libertà, ci si ritrova con un figlio ingestibile.

Non raccogliete la parola ingestibile come un giudizio negativo sul bambino, ma come una condizione dell’adulto che perde di vista il proprio ruolo.

Grazie Honegger Fresco, allieva diretta della Montessori, sosteneva che la libertà è un cerchio che cresce attorno al bambino, piccolissimo all’inizio, man a mano si allarga accompagnando il bambino nella crescita.

La libertà è perciò fatta di passaggi graduali, proporzionati all’età e alle competenze del bambino e la caratteristica che la identifica, è la percezione di confine che il bambino riceve dagli adulti.

Laddove il confine si è smarrito e la libertà diventa totale, lo scenario che si palesa è quello di inversione dei ruoli genitore-figlio, richieste pretenziose verso il bambino e de-responsabilizzazione educativa del genitore.

Per i bambini è fondamentale avere regole, che non devono essere assurde e tiranniche, al contrario devono essere ben ponderate, coerenti tra i coniugi, che permettano al bambino di esprimere se stesso chiarendo i confini che lo facciano sentire sicuro.

Non averne mette il bambino in una situazione di eccitazione, scarso ascolto del mondo circostante, ma a volte anche paura. Dobbiamo stare attenti, non è che siamo alla ricerca della nostra libertà e per farlo stiamo utilizzando i nostri figli?
L’impressione rimanda un’immagine spesso simile ad un transfert che il genitore fa sul figlio. Siccome non sente di aver ricevuto in dono libertà dai propri genitori, perché magari si è sentito sempre vincolato in un percorso stretto, in regole troppo rigide, in compiti da dover portare a termine, in frasi tipo “prima il dovere poi il piacere”, decide di “utilizzare” il figlio per riscattarsi. In pratica mette in atto con il figlio l’esatto opposto di quello che è stato fatto con lui, in un distorto principio logico in cui se rigidità priva della libertà, libertà sfrenata la salvaguarda. Inconsciamente, sta usando il figlio per farsi vedere dai genitori e dire “ora con lui faccio quello che mi pare perché sono libero, libero da voi”. Guardando il genitore, perde immediatamente controllo visivo con il figlio e la distorsione che ne deriva è che più mette in atto pratiche educative in opposizione alla famiglia di origine, più paradossalmente vi si avvicina.

Un bambino è per definizione, una creatura perfetta, che abbisogna del sostegno degli esseri adulti per procedere nel cammino della propria costruzione, da loro dipende la sua sopravvivenza e nell’asimmetria del rapporto ne trae sicurezza e serenità.

Qualora nessuno mettesse più in atto il ruolo genitoriale del prendersi cura, creare confini sicuri e situazioni chiare e prevedibili, il bambino vedrebbe la propria armonia evolutiva sgretolarsi e la terra tremargli sotto i piedi.

Alcuni esempi per farvi capire:
IL PASTO: chiedere costantemente ad un bambino cosa vuole mangiare, deresponsabilizza l’adulto dal suo ruolo di educatore anche in ambito alimentare. Un bambino potrebbe scegliere menù poco sani o bilanciati. Se volete coinvolgerlo nel processo decisionale, fategli scegliere tra un ventaglio di possibilità che avete già valutato, oppure fategli scegliere la ricetta dopo aver chiarito quali sono gli ingredienti. Siete voi i responsabili della sua salute, siete voi che dovete stabilire in che direzione procedere (senza dogmatismi sia chiaro).

INSERIMENTO: al nido o alla materna, è necessario un periodo iniziale di ambientamento in cui il bambino venga messo nelle condizioni di costruire una relazione di fiducia con le figure di riferimento educative. Dire al bambino frasi come “dimmi quando posso andare”, lo mette nella spiacevole condizione di dire al genitore di allontanarsi, cioè di assumersi la responsabilità di andare via. Per il bambino questo può essere avvertito come un carico gravoso, eccessivo, tale da richiedergli uno sforzo superiore del dovuto. La verità spesso è “siccome io genitore faccio fatica ad andare via perchè è la prima volta che ci separiamo e vorrei solo piangere, ti prego di gestire tu questa fase al posto mio”. Per gestire al meglio la situazione affidatevi alla professionalità delle maestre, che vi sosterranno per salutare il bambino nel momento e modo più idonei. Al di là dei tempi (che contano moltissimo sia chiaro), la cosa importante in questo esempio è inviare al bambino un messaggio di ruolo. Io sono l’adulto, mi prendo cura di te e salutandoti ti mostro che anche se ho paura mi assumo la mia responsabilità inviandoti un messaggio chiaro, la chiarezza sarà la tua ancora.

La lista degli esempi potrebbe continuare con altre situazioni e titoli (SUPERMERCATO, VESTITI, GIOCHI, FESTA DI COMPLEANNO, ecc..)

Il punto chiave è che, la libertà non è fare ciò che si desidera, non consiste nel disporre di ogni mezzo, strumento e risorsa in qualsiasi momento, non riguarda la semplice scelta di oggetti o situazioni, non è tenere in scacco gli altri con le proprie decisioni che rischiano di diventare dispotismo.

La libertà in ambito educativo, è soprattutto libertà di pensiero, libertà dai condizionamenti, libertà dalle aspettative. Libertà di essere se stessi andando contro qualsiasi previsione e sogno genitoriale, libertà di vedere infrangere le preghiere notturne dei familiari, perchè nessuno dovrebbe nascere per soddisfare qualcun altro. Nessuno ha diritto nè potere sulla vita di qualcun altro, neppure se questo è suo figlio. Libertà è dire grazie per la vita, ora me ne vado e non so se tornerò. Libertà è non sentirsi in colpa per le sofferenze dei genitori. Libertà è poter dire la verità senza paura di sentirsi giudicati. Libertà è spendere le proprie energie per realizzare il proprio talento, la propria spinta vitale.

E questa libertà non si ottiene trattando il bambino come un selvaggio, lasciando che rompa oggetti, che sporchi senza pulire, che vada in giro nudo in inverno, che si riempia di fango sporcando la macchina, che sputi sul muro e dipinga con la saliva, che usi il cellulare quanto vuole, che beva bibite a richiesta, che non vada a letto fino all’una di notte, che strappi i suoi libri. Questo può capitare, fa tutto parte del meraviglioso gioco dell’infanzia, il problema nasce quando qualcuno inconsciamente, o non, desidera proprio queste azioni, come prova della libertà del proprio figlio.
Amateli i figli, lasciateli sperimentare, lasciateli esprimere, ma ricordate l’importanza che i confini hanno durante la crescita. Non schiacciate quel cerchio che cresce attorno a loro e non fatelo diventare abnorme, altrimenti i bambini rischiano di smarrirsi.

E a te genitore chiedo, sei libero?


Ricorda, che non possiamo chiedere niente ai bambini che non siamo in grado di fare e che il miglior strumento educativo, è l’esempio.

Fonte: www.hundredsofbuddhas.com

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