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martedì 7 gennaio 2020

Come spiegare la diversità ai bambini

COME SPIEGARE LA DIVERSITA’ AI BAMBINI

“Perché lui è in carrozzina?”, “Perché tu e papà non state insieme come i genitori dei miei compagni?”, “Perché lui ha la pelle nera e io bianca?”. Queste sono solo alcune delle domande dei nostri figli che ci ricordano come i bambini siano degli ottimi osservatori. Notano le differenze ma non giudicano, si domandano per capire e non per puntare il dito.

Sono le nostre risposte a fare la differenza!

Spesso, colti di sorpresa, non sappiamo cosa rispondere, facciamo stare zitto il bambino per evitare il nostro imbarazzo in pubblico, tentiamo di abbozzare una risposta generica o ancora peggio adottiamo comunicazioni non verbali che trasmettono la “pericolosità” della diversità, prendendo per mano il bambino, come per rassicurarlo che l’incontro con il diverso sia solo un caso sfortunato o un qualcosa da evitare. Così il nostro imbarazzo si traduce in una indicazione comportamentale: meglio evitare di parlare di tutto ciò che è diverso da noi. Ed ecco innescato il seme del pregiudizio.

Il bambino non ha preconcetti né ha una comprensione a priori di cosa sia la normalità. Siamo noi genitori e sono le influenze sociali a forgiare il suo modo di interpretare il mondo e i suoi condizionamenti. Come fa notare Paolo Valerio, professore di Psicologia Clinica presso l’Università̀ Federico II di Napoli: “Gli stereotipi agiscono in senso deumanizzante, in quanto veicolano i rapporti sociali sulla base di categorie predeterminate e non sulla conoscenza reale dell’altro”. Mentre il bambino nutre una sincera e naturale curiosità verso la diversità, l’adulto spesso la interpreta secondo i suoi condizionamenti. È la nostra stessa difficoltà di rapportarci alla diversità a creare in loro timore. La diversità dell’altro ci fa paura, è come uno specchio nel quale vediamo riflesse le parti ombra che non vogliamo accettare in noi stessi.

Imparare a guardare dentro di noi

Per spiegare e fare accettare ai nostri figli la diversità, occorre in primis che noi adulti prendiamo confidenza con i territori stranieri dentro di noi, con l’ignoto, con gli aspetti per i quali gli altri potrebbero prenderci in giro e vederci diversi. Guardare le nostre diversità permette di conoscerle e non averne paura. A questo punto il passo con i nostri figli è breve: è bene innanzitutto non sottrarsi all’argomento né edulcorare la pillola, evitare atteggiamenti discriminanti o di eccessiva pietà e usare parole semplici, che non neghino la verità.

Cerchiamo insomma di trasmettere il messaggio che essere diversi è normale, che ha in sé qualcosa di potente, perché essere diversi è quello che ci definisce e ci rende unici. E questa diversità va cercata, valorizzata, amata.

È bene non enfatizzare solo gli aspetti positivi, ma parlare – ad esempio – a nostro figlio del bambino disabile come un bambino che ha abilità “differenti”, che ha delle difficoltà nel relazionarsi con gli altri bambini, ma ha grandi capacità nel ricordare tutti i nomi dei calciatori. Possiamo aiutare i nostri bambini anche facendo loro domande sul compagno di classe “diverso” che però mettano in luce ciò che li accomuna o le capacità specifiche dell’altro, oppure invitare il bambino a una merenda in casa nostra. Insegnare a gestire l’emozione di questo incontro è importante in quanto ci permette di adattarci alla sua presenza e di comprenderla, di imparare a guardare le cose da un altro punto di vista; in una sola parola forma la nostra competenza sociale.

È bene inoltre spiegare la differenza tra equo e uguale: i bambini per esempio provano un senso di ingiustizia quando un compagno con delle difficoltà di apprendimento prende lo stesso voto loro con una verifica diversa, “facilitata”. Siamo noi adulti a dover spiegare che se il compagno disabile riesce a completare senza errori la verifica calibrata sulle sue competenze e possibilità merita il 10, come tutti i compagni che hanno ottenuto il massimo nella loro verifica e che questo significa che è stato trattato in modo equo e non uguale. Il compito di ognuno è di accettare l’altro come è. Il che significa accoglierlo e cercare le strategie per incontrarlo davvero.

Non si crea empatia negando la diversità.

Autore: Francesca Maria Collevasone

Fonte: www.giovanigenitori.it

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