Rubrica: Danzanti col vento...storie
e racconti di educatori appassionati
LA MANCANZA DI CULTURA
SEGNA SPESSO I RAGAZZI
Situazioni di profondo disagio spesso
derivano da mancanze culturali, da genitori poco o affatto istruiti che non
riconoscono il valore della scuola. Un ragazzo educato al pensiero non si
omologherà alla massa che gli dirà di obbedire alle regole della strada, del
dittatore di turno, della violenza di gruppo.
"La
mancanza di cultura genera miseria".
Stasera
rifletto su una delle principali motivazioni che spingono l'inserimento di un
minore in comunità.
<<Il
ragazzo o la ragazza dice parolacce, parla solo in dialetto, è oppositivo, fuma
e fa uso di sostanze, ha atteggiamenti promiscui, vive in condizioni igieniche
non adatte, abbandona la scuola, vive per strada. Nell'ipotesi più orribile il
minore ha subito un abuso. Il minore è vittima di triangolazione
genitoriale>>.
Molti dei
nostri ragazzi derivano da situazioni di profonde mancanze culturali. Finanche
i problemi economici hanno spesso una matrice sociale e culturale.
Genitori
poco o affatto istruiti che non riconoscono il valore della scuola come
istituzione che educa al "pensiero" poiché incapaci essi stessi di
pensare. Genitori, deliranti di onnipotenza, poco o affatto in grado di gestire
un conflitto sono in grado di smuovere universi pur di non ammettere un
fallimento, piuttosto di ammettere "l'umiliazione" di una scusa,
piuttosto che imparare a "litigare".
Genitori non
educati all'igiene, al rispetto, alla "cura".
Molti dei
nostri ragazzi sono cresciuti essendo figli di tutto questo.
Ricordo il
manuale di Pedagogia Generale; recitava: "la famiglia è la prima e la più
importante agenzia educativa".
La prima e
la più importante agenzia educativa e spesso fa acqua da tutte le parti. Come
può educare?
Figli della
strada.
La strada,
penso ai miei libri su Padre Pino Puglisi, istiga i ragazzi alla durezza, alla
sopravvivenza, alla freddezza, all'odio verso le istituzioni da cui spesso si
sentono abbandonati e non protetti, istiga i ragazzi alla delinquenza, quale
facile inclinazione all'ottenimento di risorse economiche necessarie alla
sopravvivenza e garanti di una vita degna di chi ha sofferto tanto. In strada
si parla il dialetto perché quella è la lingua d'appartenenza; in strada non
v'è bellezza. In strada gli adulti sono datori di lavoro del malaffare o nemici
dell'infanzia che un tempo fu negata.
Molti dei
nostri ragazzi derivano da ambienti di povertà economica derivanti
dall'incapacità di genitori di rimboccarsi le maniche, dalla non voglia di
agire, dalla voglia di lamentarsi del tutto.
Molti dei
nostri ragazzi sono figli di genitori privi di cultura, che si annoverano fra
la voglia di evadere dai doveri genitoriali e dalle regole. Privi di
qualsivoglia gentilezza perché non sono anch'essi mai stati educati ad essa.
Un ragazzo
abbandonato, che sa di essere solo, che ha vissuto per strada sa che deve
sopravvivere non "vivere". Un ragazzo che vive per strada dipinge le
strade dei suoi colori perché le pareti di casa sono i muri abbandonati delle
periferie. Una ragazzo abbandonato parla il dialetto perché nessuno gli ha mai
parlato del viaggio fantastico di Dante Alighieri, nessuno gli ha mai detto
della voglia di Leopardi di scappare dai suoi genitori e da quella casa
prigione, nessuno ha mai parlato dell'orgoglio di Socrate, nessuno gli ha mai
detto il perché del definire la Guerra ed i totalitarismi pericolosi perché
uccidono, il Perché il Brunelleschi realizzò una cupola impossibile, il perché
l'arte dona all'uomo speranza di bellezza, il perché le poesie furono il
principio della canzoni a cui ci si appiglia con forza, nella speranza di
sentirsi meno soli..nessuno gli ha mai letto da bimbo un albo illustrato, e
lasciato che si sognasse su quelle meravigliose immagini.
Ci sono casi
e casi e su questo non v'è dubbio. Ma spesso i nostri ragazzi, con i loro
racconti, dimostrano che la misera è figlia indiscussa della non conoscenza,
della non cultura.
Il pensiero
educa al confronto, educa alla messa in discussione, educa alla
riprogettazione, educa alla non lamentazione, educa alla ricerca, educa alla
bellezza.
In che modo
vi chiederete?
Ebbene un
ragazzo educato alla bellezza di perdersi in un quadro, non imbratterà mai un
monumento. Un ragazzo educato alla buona musica saprà scegliere di non parlare
male dei primi ribelli che scrissero le prime note della musica classica perché
la ribellione insita in quella musica la sentirà vibrare nell'anima. Un ragazzo
educato al pensiero non si omologherà alla massa che gli dirà di obbedire alle
regole della strada, del dittatore di turno, della violenza di gruppo. Un
ragazzo educato alla cultura del sesso non diventerà genitore in così tenera
età, rischiando per questo di non essere in grado di gestire due o tre figli
nati anch'essi nell'ignoranza che vivranno inevitabilmente per strada creando
tortuosi circoli di continue ed inevitabili richieste d'intervento per il
sostegno delle marginalità sociali.
Stasera
ascoltavo una ragazza sbraitare contro un mondo di gente che non la comprende
ed è colpevole gravemente di questo, ed è colpevole perché non è stata educata
ad ascoltare il grido di una ragazza cresciuta troppo in fretta.
Il dialetto
è meraviglioso quando è amore verso il proprio paese non quand'è difesa da un
mondo per cui o sei così o sei fuori.
La non
cultura genera miseria.
La cultura
genera conoscenza, indipendenza, unicità, riconoscimento della specialità e
della differenza, ricerca...
Ora mi
chiedo se non siano queste le competenze in grado di combattere bruttezza,
degrado ed abbandono...
Mi ostino
all'idea che bisogna leggere libri, non arrendersi alla bruttezza di chi non
conosce bellezza, insistere nella cultura perché educa alla vita.
Stasera
pesco questo libro dalla libreria degli educatori.
Lo osservo e
penso.
Penso che i
nostri ragazzi sono attori itineranti su palcoscenici distrutti.
Il nostro
lavoro è nascosto nel tentativo di donare loro gli strumenti per costruire
teatri sempre più belli, in cui esibire la loro storia ed il proprio coraggio
con orgoglio.
La cultura
costruisce teatri, strade, musei, giardini, case, quartieri e speranze.
La cultura
dona ad in nostri ragazzi la possibilità di esibirsi sul palcoscenico della
vita con un copione differente da quello preimpostato, diverso da quello che ha
visto i loro genitori crollare sotto il peso delle loro stesse scelte, della
loro propensione a desistere, della loro lontananza dal bello, dal valore,
dalla giustizia che un bambino merita.
Uno che
racconti della complessità di un mondo che spesso si dimentica quanto sia
difficile restare sotto i riflettori della vita mentre tutti ti osservano e
nessuno ti guarda.
Dott.ssa
Pittari Chiara
(Pedagogista,
Educatrice presso la Casa Famiglia Murialdo)
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rinnoverà l’appuntamento con
‘Danzanti col
vento...storie e racconti di educatori appassionati’
Cos’è la rubrica: Danzanti col
vento...storie e racconti di educatori appassionati
Da un po’ di tempo la mente di noi educatori è talmente colma
di pensieri e riflessioni che spesso straripa . Lo scrivere è diventato per noi
salvataggio indelebile, la messa al
sicuro dei momenti della vita che trascorriamo con in nostri ragazzi.
Noi educatori spesso la notte scriviamo pagine di una vita
vissuta fra le mura condivise con degli sconosciuti che a tratti riescono a
sentirsi parte di una casa, parte di una
famiglia…
Un giorno abbiamo
deciso di raccontare e di raccontarci per mostrare anche oltre le nostre mura, la bellezza di una
giornata trascorsa assieme ai nostri compagni di strada, la paura verso i
giorni che verranno, gli aneddoti divertenti dei giorni di sole e le tempestose
giornate di pioggia.
Raccontare è per noi un dono ed è prezioso perché permette di
rivederci nello specchio e comprendere che vi è sempre da imparare, perché noi danziamo e danziamo col vento.