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venerdì 27 febbraio 2015

Le malattie dell'educazione: la Sclerocardia

LA MALATTIA DELL'EDUCAZIONE: 
LA 'SCLEROCARDIA'
Se la malattia della 'figliolite' può avere una giustificazione nella sensibilità delle mamme, se la 'tarantolite' si può spiegare in tempi di crisi come i nostri, la 'sclerocardia' ('durezza di cuore') sulla quale vogliamo fermarci in questa settimana, non ha giustificazione alcuna, tanto è cattiva e disgustosa.

 
Non è forse vero che non amare i figli è da crudeli? Da sadici? Eppure oggi, mentre la Terra si riscalda, i cuori si raffreddano, l'analfabetismo affettivo si diffonde sempre più la mancanza di tenerezza pare ai minimi storici.
No, non è allarmismo esagerato: è realismo pedagogico! Quando parliamo di 'durezza di cuore' non siamo nel regno della fantasia. Quando parliamo di 'sclerocardia' non parliamo di una malattia esotica, di terre lontane. La 'sclerocardia' abita qui!
Lo avvertono tutti gli spiriti più sensibili e attenti.
Lo psichiatra Paolo Crepet (1951) è molto chiaro: "Dietro migliaia di luci accese nei condomini delle nostre città si nascondono solitudini, rancori, latitanze affettive".
Non meno esplicito era il nostro più noto pediatra del secolo scorso, Marcello Bernardi (1922-2001): "Viviamo in un mondo sempre più povero di amore. Questo è il grande rischio che vedo davanti ai nostri bambini!".
Anche l'educatore Antonio Mazzi (1929) è sulla stessa linea: "La crisi più profonda oggi parte dalla mancanza di abbracci, di relazioni, di amicizia, di tenerezza".
Niente sarebbe più facile che continuare a snocciolare conferme autorevoli sul nostro inverno pedagogico, ma il lettore sa che non è nel nostro stile persistere nel mettere il dito sulle piaghe: preferiamo curarle!
Ebbene diciamo subito che anche alla 'sclerocardia' si possono tranquillamente tagliare le unghie.
Le strategie non mancano. Ci limitiamo a tre.
La 'sclerocardia' si combatte mettendo in circolazione parole di seta.
È noto a tutti che vi sono parole che gelano i cuori, altre che li riscaldano; parole che schiacciano e parole che innalzano; parole che mordono e parole che guariscono.
Ditemi se non sono vitamine psicologiche parole come queste, dette al figlio: "Sei favoloso!". "Siamo orgogliosi di te!". "È bello averti come figlio!"?
Queste sono parole terapeutiche. Privare di esse il figlio, è come disidratargli l'anima, è devitalizzarlo. Non usiamole con il contagocce: quelle sono parole benedette!
Gli studiosi stanno ancora cercando una medicina più efficace delle parole di seta!
La 'sclerocardia' si combatte con le coccole.
Alcuni anni fa era in circolazione un magnifico lavoro intitolato "La terapia delle coccole". L'autore, Piero Balestro, provava che il contatto pelle a pelle ha effetti prodigiosi: giova alla crescita, previene le malattie, migliora l'umore, stabilizza le funzioni cardiache.
È certo: cinque secondi di carezze comunicano più salute che un'ora di parole! Coccolare è baciare l'anima! Lo sapeva Gesù stesso che non per nulla praticava il linguaggio dell'abbraccio (Mc 10,16).
Linguaggio, dissennatamente, dimenticato! Troppi sono oggi i piccoli che soffrono di reumatismi psicologici contratti in quelle famiglie nelle quali si ha paura a lasciarsi andare alle carezze.
Finalmente, la 'sclerocardia' si combatte regalando gentilezze.
Il famosissimo pediatra americano Benjamin Spok (1903-1998) era solito ricordare alle mamme che "La cura amorevole data con gentilezza ai figli vale cento volte di più di un pannolino messo alla perfezione".
Regalare gentilezze è addolcire il cuore. È togliere i viveri alla 'sclerocardia'!
Regalare gentilezze è cortesia, attenzione, premura: è accompagnare il bambino a letto e non mandarlo; è fargli una sorpresa; è preparargli la pietanza che gli piace tanto; è partecipare alla recita scolastica di fine anno, anche a costo di lasciare un impegno importante. Sì, per tutta la vita il figlio si ricorderà che avete preferito lui ai vostri impegni.
Per tutta la vita si ricorderà d'aver avuto genitori che con il loro alto voltaggio emotivo riscaldavano sempre la casa anche con i termosifoni spenti.

PRENDO NOTA
• Una parola calda riscalda tre stagioni fredde.
• Il rimprovero fa bene, l'incoraggiamento di più!
• Nulla rende più ansioso il figlio che sentirsi dire da mamma e papà che potrebbe fare di più!
• La pecora che bela perde il boccone: non è da intelligenti dedicarsi ai lamenti!
• Dare tutto al figlio è preparare un infelice: il passero ubriaco trova amare persino le ciliegie!
• Briglia sciolta, un po' alla volta. Quando il dentifricio è uscito dal tubetto, chi riesce ancora a farlo rientrare?

MEDITATE GENTE!
• "I bambini di oggi sembrano sapere tante cose - e le sanno -, ma sotto il bambino tecnologico vi è il bambino eterno che non può vivere senza l'affetto e l'amore di qualcuno che lo aiuti a crescere" (Mario Lodi, maestro e scrittore, vivente).
• "Se amassimo davvero i nostri figli, non li costringeremmo a passare le giornate tra scuola, piscina, lezioni di nuoto o di violino, palestra, corsi di computer, con il solo scopo di annichilirli!" (Paolo Crepet, psichiatra, vivente).
• "Viene ripetuto in continuazione: 'I giovani sono maleducati, avidi violenti!'. Però nessuno dice: 'Perché sono così?'. Fin dalla nascita, li abbiamo coperti di spazzatura e adesso ci lamentiamo del loro cattivo odore!" (Susanna Tamaro, scrittrice, vivente).

QUESTO DICO AL FIGLIO ADOLESCENTE
"Se non puoi crescere in altezza, cresci in simpatia!".
L'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, non sulla statura.
Mostra la testa, prima dell'ombelico!
Rifiuta d'essere un lavandino nel quale passa tutto: hai pure la tua dignità!
Aspettati grandi cose dal tuo cervello: non ti deluderà!

Autore: Pino Pellegrino
Fonte: Bollettino Salesiano ottobre 2014
 
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mercoledì 25 febbraio 2015

Sostenere l'autostima dei genitori

SOSTENERE L'AUTOSTIMA DEI GENITORI
5 consigli utili

Il “mestiere” di mamma e papà è tra i più difficili e capita a volte di sentirci inadeguati, di concentrarci più sui nostri sbagli, che sulle nostre risorse…dimenticandoci il nostro valore e la sua importanza. Anche l’autostima dei genitori, al pari di quella dei bambini, va sostenuta, perché credere in noi stessi ci aiuterà non solo come persone, ma anche a svolgere meglio il nostro ruolo educativo.
Appena nato il mio primogenito, la mia autostima come mamma era pari più o meno a zero. Nonostante la gioia immensa che si prova in quel momento, misurarmi con il mio nuovo ruolo mi ha fatto entrare un po’ in crisi. Mi sentivo inadeguata, cercavo affannosamente il mio istinto materno per capire il pianto del mio bambino, e i consigli non richiesti non aiutavano di certo. Il culmine l’ho raggiunto quando, in un momento in cui non riuscivo a calmare il bambino, che allattavo al seno, qualcuno mi ha detto con noncuranza “Dai, dagli un po’ di latte artificiale e vedrai che si calma. Si vede che il tuo latte non è abbastanza nutriente.”
Il senso di inadeguatezza a quel punto mi ha travolto, e ho capito che avrei dovuto lavorare sulla mia autostima, cioè sulla consapevolezza di essere una persona, e quindi anche un genitore, di valore, unico, speciale, con punti di forza su cui scommettere e debolezze su cui lavorare.

La fiducia in sé nasce dall’equilibrio tra i diversi ruoli che giochiamo nella vita; per questo, la nostra autostima come adulti influenza quella come genitore, e viceversa.
Posto che la mia autostima cresce se faccio ciò che è giusto fare, e che avere fiducia in se stessi come genitori è fondamentale per crescere serenamente i figli, cosa puoi fare per rafforzarla e proteggerla?

Prendi consapevolezza
Acquisire consapevolezza del modo in cui intendi educare i tuoi figli, del tipo di genitore che vuoi essere è il primo passo. Credo si debba riflettere a fondo su questo aspetto, per andare oltre il “genitore automatico” che hai dentro e che ti fa agire e pensare come i tuoi genitori hanno fatto con te, senza che tu te ne accorga. Loro possono averti cresciuto bene, ma non è detto che ciò che hanno fatto con te vada bene per i tuoi figli, per il loro temperamento e le loro esigenze. Tieni sotto controllo il tuo genitore automatico e definisci i tuoi personali obiettivi come mamma o papà. Decidi ciò che vuoi fare e agisci di conseguenza, con convinzione; in questo modo sarai più forte di fronte a eventuali critiche (non richieste!) sul modo in cui educhi i figli, che cercheranno di abbattere la tua autostima.

Vivi secondo i tuoi valori
Dopo averli identificati, pensa ai valori che ritieni più importanti – il coraggio, l’onestà, la fedeltà o qualsiasi altro – e visualizza nella tua mente una situazione in cui l’hai vissuti. Prova a sentire dentro di te la sensazione di benessere che hai vissuto quella volta. Ci riesci? Questo significa che sei capace di vivere secondo quel determinato valore, quindi puoi rifarlo! Vivere secondo i tuoi valori ti fa sentire meglio, sicuro di fare le cose giuste, ed è anche l’unico modo efficace che hai per trasmetterli ai tuoi figli.

Non procrastinare
Non rimandare a domani le cose importanti che puoi fare oggi, come per esempio le decisioni che riguardano i tuoi figli. Rinviare gli impegni è indice di una mancanza di autodisciplina, una dote che, insieme all’autocontrollo, è un fattore fondamentale che favorisce l’autostima. Quindi, fare ciò che devi fare, subito, aumenta la fiducia in sé. E come puoi combattere la procrastinazione? Semplice, dandoti da fare! Non aspettare che arrivi la motivazione ad agire, quella ti verrà proprio mentre sarai in azione.

Dimostra la tua competenza
C’è qualcosa che sai fare bene, vero? Comincia a ragionare sui tuoi punti di forza, che ti rendono già un genitore sufficientemente buono, e da lì parti per migliorarti. Pensa a quello che ti riesce bene: organizzare una festa, cucinare, fare lavoretti creativi, praticare uno sport, parlare una lingua straniera, suonare uno strumento, cantare… Coinvolgi i tuoi figli nei tuoi interessi, ritagliatevi uno spazio per “fare insieme” ed esercita così con loro la tua competenza, esercitando anche la loro.

Prenditi cura di te stesso
Cura il tuo aspetto e il tuo spirito, prenditi del tempo per studiare, praticare il tuo sport preferito, seguire un corso che ti interessa, lavorare sulla tua crescita personale. Sarà tempo restituito ai figli, perché ti sentirai meglio non solo con te stesso, ma anche con loro. Prendersi cura di se stessi e conoscersi meglio aumenta l’autostima e facilita le relazioni con gli altri, compresi i figli.
In fin dei conti, se hai una sana autostima sei consapevole di “poter essere tutto ciò che puoi essere”, dispiegando tutte le tue potenzialità, anche come genitore. È un percorso che dura per tutta la vita e che ci accompagnerà durante la crescita dei nostri figli, dandole un grande valore aggiunto. Percorriamolo al meglio!

Autrice: Adele Borroni
Fonte: www.mammeimperfette.com

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venerdì 20 febbraio 2015

Le malattie dell'educazione: la Tarantolite

LE MALATTIE DELL'EDUCAZIONE: LA TARANTOLITE
Stiamo presentando quelle che ci sembrano le quattro principali malattie dell'educazione, oggi particolarmente diffuse in Italia. Dopo aver parlato della figliolite, è la volta della tarantolite.


La tarantola è - lo sappiamo tutti - un ragno con zampe lunghe e corpo peloso di color nero: brutta bestia che irrita la pelle e porta istintivamente a graffiarci.
I genitori ammalati di 'tarantolite' hanno il cervello 'graffiato' da mille problemi: "Il figlio sarà o non sarà sano?". "Dottore, la vaccinazione gli porterà delle complicazioni?". "Non ha ancora fatto certe domande, sarò normale?". "Non mangia il pesce, cosa fare per dargli una dieta integrale?". "Non ha ancora iniziato a parlare: sarà intelligente?".
A tanti interrogativi possiamo aggiungerne pure uno noi: «È proprio necessario complicarci così la vita?». Grazie a Dio, i figli hanno più risorse di tutte le nostre ansie, di tutte le nostre preoccupazioni!
E poi, forse che la barca si mette a galleggiare sulle nostre lacrime? La pecora che bela perde il boccone, recita il proverbio. Dunque è necessario prendere di petto la 'tarantolite' e vincerla!
I cinesi hanno un bellissimo detto: «Che gli uccelli dell'aria e le preoccupazioni volino sulla vostra testa non potete impedirlo, ma potete evitare che vi facciano il nido».
Ebbene, perché i mugugni non facciano il nido nella nostra mente, la via migliore è quella di un pacato ragionamento. Allora ragioniamo sui piagnistei più diffusi e più pericolosi, oggi, per l'educazione.
Il primo mugugno è quello dell'impossibilità dell'educazione.
"I nostri ragazzi si stanno rovinando, chi ancora li può formare? La televisione ce li rovina, la scuola non ci aiuta, la società ce li guasta"... e giù pensieri vestiti a lutto!!
Ragioniamo, come abbiamo detto. Quando mai è stato facile educare?
Pensate: già un grande filosofo greco, Socrate (469-399 a.C.) si lamentava: "I nostri ragazzi amano il lusso, ridono dell'autorità, non si alzano in piedi davanti ad un anziano...".
Andiamo più indietro ancora: su un coccio babilonese, datato 2000 anni avanti Cristo, leggiamo: "Questi ragazzi sono marci nel cuore, sono malvagi e pigri. Dove arriveremo?".
Siamo arrivati al 2000 dopo Cristo, e non fu tutto male!
Se avessimo più senso storico, tante 'tarantole' non farebbero il nido nella nostra mente!
Oltre al mugugno dell'impossibilità di educare, oggi, altri pensieri neri agitano il cervello di troppi genitori.
Si tratta di vere e proprie trappole, come le tre che seguono:
- La trappola del bambino da manuale.
I libri di psicologia stabiliscono le tappe della crescita del bambino. "Il mio non rispetta la tabella di marcia! Abbiamo in casa un ritardato!?"
- La trappola del bambino televisivo.
Il bambino televisivo è una gioia di bambino! Non suda, non fa capricci, non ha bisogni, tranne quello di un po' di Nutella, peraltro subito soddisfatto. Spenta la televisione, che delusione! "Il mio...."
- La trappola del bambino del vicino.
«Lui sì che è bravo! Lui studia, lui ubbidisce, lui è educato...!»
Suvvia, siamo saggi! Il bambino da manuale esiste solo sui libri. Il bambino televisivo è un'astuta invenzione. Il bambino della famiglia che ci sta di fronte è un'illusione, come quella di chi pensa che la moglie del vicino sia una tacchina, mentre, in realtà, è una semplice gallina!
Il lettore ha capito il messaggio della settimana: la vita potrebbe essere la prova generale del paradiso; troppe volte, per colpa nostra, la facciamo diventare un purgatorio.
E' tempo di mettere fine alle infinite lamentele che distruggono l'educazione. Su un punto non vi è discussione tra pediatri, pedagogisti e psicologi: i genitori lagnosi sono sempre genitori disastrosi. La pedagogista Elisabetta Fiorentini non ha dubbi: "La gioia è importante come il pane e la conoscenza, se non di più!". Il famoso pediatra americano Thomas Berry Brazelton comanda: "Genitori, vi ordino: siate felici!". Il pedagogista Giuliano Palizzi conclude: "I genitori che non si divertono ad educare i figli, hanno sbagliato mestiere!".

APPUNTI SUL FRIGORIFERO
È da saggi scrivere qualche volta sulla bocca: 'Chiusa per nervi'.
Il bambino è persona. Non uno che mangia e si libera.
Il baccano non dà mai una mano.
Dove c'è allegria è sempre estate.
Un sorriso fa fare il doppio di strada di un brontolio!
La vita sarebbe semplice, se non la complicassimo.
Non viviamo cento anni e ci 'tarantoliamo' per mille. Dov'è finito in buon senso?

MEDITATE GENTE!
"La madre serena è come il miele per il bambino" (Sigmund Freud, fondatore della psicanalisi).
"I sorrisi arrivano dritti al cuore senza passare per la trafila del cervello".
"Un bambino felice, quando crescerà, non avrà bisogno di droga, di alcol, non fumerà trenta sigarette al giorno" (Silvio Ceccato).
"Vi è un piagnisteo sui pericoli dei bambini che rasenta l'idiozia!" (Domenico Volpi).
"Non capiremo mai abbastanza quanto bene è capace di fare un semplice sorriso" (Madre Teresa di Calcutta).

Autore: Pino Pellegrino
Fonte: Bollettino Salesiano settembre 2014
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mercoledì 18 febbraio 2015

Non danneggiamo l'autostima dei bambini

NON DANNEGGIAMO L'AUTOSTIMA DEI BAMBINI
5 errori da evitare per non danneggiare l'autostima dei bambini

L’autostima è come una piantina delicata, che ha bisogno di cure e attenzioni per crescere sana e forte. Le sue radici affondano nel terreno dell’infanzia e se tu genitore/educatore ti impegni a piantarle ben solide e a rendere fertile il terreno, il bambino potrà attingere a questa preziosa risorsa per tutta la vita, con tutti i suoi alti e bassi.
Che cosa non fare quindi, per preservare l’autostima di un bambino?
Ecco 5 consigli:
1. Non etichettarlo. Giudica il comportamento del bambino, non la sua personalità! Se ha rovesciato l’acqua non dirgli “Sei un disastro!” ma magari “Amore hai combinato un disastro!”. In questo modo eviti il rischio di congelarlo in un ruolo negativo, a cui prima o poi si adeguerà. Ricorda che quello che pensi di lui lo predispone a realizzarlo, soprattutto se continui a ripeterglielo! Attenzione quindi ai continui “Sei un monello!”, “Sei un pigrone!”,“Non ascolti mai!”,“Hai paura di tutto!”.
Per un bambino le tue parole sono oro colato e, se continui a lanciargli messaggi di questo tipo, lui si convincerà di essere davvero come dici tu e a comportarsi di conseguenza, pensando per esempio “Tanto io sono monello!”
2. Non dirgli sempre “Bravo!”. Non lodare indiscriminatamente ogni sua azione . Apprezza invece i suoi veri successi, piccoli e grandi, lodando soprattutto lo sforzo e cercando di essere sempre specifico; meglio un “Mi piace la torre che hai costruito, hai sistemato i pezzi in modo molto preciso!”, piuttosto che un generico “Bravissimo!”.
Complimentarsi con lui in ogni occasione, in modo anche esagerato, rischia di renderlo dipendente dalle lodi anche all’esterno del nucleo famigliare e di renderlo insicuro nel prendere decisioni autonome, poiché cercherà sempre l’approvazione esterna.
3. Non criticarlo in continuazione. Ricevere critiche troppo frequenti, soprattutto se dure, danneggia fortemente la sicurezza in se stessi, in particolare se provengono da chi amiamo di più. Le critiche non rendono più forti, anzi, minano la certezza del nostro valore personale!
Insomma, occorre cercare un equilibrio tra la voglia di complimentarci sempre con lui e la tentazione di fargli notare tutto quello che non va. Criticandolo spesso, gli fai percepire tutta la tua delusione e gli comunichi il messaggio che sarebbe meglio per lui essere un bambino diverso, visto che non riesce a farsi apprezzare dai suoi genitori.
4. Non usare frasi che feriscono, nemmeno quando sei molto arrabbiato. “Non ti sopporto più!”, “Sparisci!”,“Non voglio sentire nemmeno una parola!”,Mi fai morire!”,“Sei uno stupido, non capisci niente” e altre frasi del genere non andrebbero mai dette. Pensa se qualcuno le dicesse a te, magari davanti ad altre persone; come ti sentiresti? Umiliato? Useresti le stesse espressioni a cuor leggero con altri adulti? Io penso di no. Meglio quindi riflettere bene prima di parlare, anche con un bambino.
In questi casi, poi, spesso non sei arrabbiato con lui, ma con te stesso, per la tua incapacità di farti ascoltare e ubbidire.
Ricorda che il tuo bambino è una persona con dei sentimenti e una dignità che vanno rispettati, esattamente come i tuoi. Non pensare che non capisca quello che gli dici o che non ci rimanga male. I bambini sono piccoli, ma i loro sentimenti e le loro emozioni non lo sono.
5. Non essere iperprotettivo. Tutti abbiamo l’istinto, naturalissimo, di proteggere i bambini dalle sofferenze fisiche, mentali, e dagli insuccessi. Evitare che lui corra un pericolo immediato è giusto, ma a volte tendiamo a vedere il pericolo in situazioni in cui invece basterebbe un po’ di prudenza: saltare da un muretto, salire le scale di uno scivolo, arrampicarsi, andare in bici.
I bambini a cui non è permesso di mettersi alla prova, di sperimentare, di imparare cose nuove in autonomia, rischiano di sviluppare molte più paure degli altri e di non avere gli strumenti per affrontare le sfide che inevitabilmente si presenteranno loro.
Cerca di ridimensionare la tua ansia e permettigli di fare ciò che è in grado o potrebbe essere in grado di fare, e soprattutto ciò per cui mostra interesse. Basta fare in modo che tutto si svolga con un certo grado di sicurezza. La prudenza è sicuramente positiva, ma la protezione eccessiva rischia di minare l’autostima di tuo figlio.
Come genitore è impossibile evitare di sbagliare, ma la consapevolezza di ciò che sarebbe meglio fare è già un buon passo avanti.
Autrice:Adele Borroni
Fonte: www.mammeimperfette.com


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venerdì 13 febbraio 2015

Le malattie dell'educazione: la figliolite

LE MALATTIE DELL'EDUCAZIONE: LA FIGLIOLITE


L'acqua può essere inquinata, l'aria può essere inquinata, il cibo può essere inquinato: tutto può essere inquinato!
Anche l'educazione. L'inquinamento pedagogico nasce da alcune malattie da cui possiamo tutti essere contagiati.
Le più diffuse, oggi, in Italia ci pare siano quattro: la 'figliolite', la 'tarantolite', la 'sclerocardia' (la 'durezza di cuore') e il rachitismo psicologico. Le vedremo, ad una ad una, nel nostro appuntamento settimanale.

1. La figliolite

La 'figliolite' è la malattia dei genitori che stravedono per i figli, la malattia di genitori che non si decidono mai a tagliare il cordone ombelicale.
Erano ammalate di 'figliolite' le madri di Ronco Scrivia (Alessandria) che nel novembre 1999 divennero furibonde ed insultarono l'allenatore di calcio che, giustamente, aveva richiamato i loro figli.
Era ammalata di 'figliolite' quella mamma che a Porto Viro (Rovigo) nel dicembre 1999 aggredì la dirigente scolastica, la prese per i capelli, strattonandola e spintonandola perché ritenuta colpevole d'aver sospeso per un giorno il figlio che aveva notevolmente disturbato le lezioni.
Era ammalata di 'figliolite' quella mamma che per cancellare le prove della colpevolezza del figlio, bruciò ben sette capolavori del famoso pittore spagnolo Pablo Picasso (1881-1973), rubati dal ragazzo al museo di Rotterdam (Olanda) nel luglio 2013.
Era ammalata di 'figliolite' quella madre dei Parioli di Roma che, convocata dall'insegnante per avvertirla che se non si fosse impegnata di più, la figlia avrebbe rischiato la bocciatura, le urlò in faccia. "Questa è una scuola privata! Io pago. Lei non deve seccarmi!".
Quattro esempi di una malattia (la 'figliolite') che produce solo guai!
Il figlio troppo protetto, infatti, si illude d'essere infallibile, perfetto, insindacabile: ed ecco la premessa di un futuro despota, di un futuro prepotente. Questo il primo danno della 'figliolite'.
Il secondo non è meno pesante.
Dalla malattia pedagogica di cui stiamo parlando nascono i cosiddetti 'figli prolungati': i figli che non si decidono mai a lasciare la famiglia, per andarsene a vivere in proprio.
Il fenomeno è tipicamente italiano. In Inghilterra e negli Stati Uniti i figli salutano e se ne vanno ben prima di sposarsi, spesso quando iniziano a frequentare l'Università, già tra i sedici ed i diciotto anni. In Francia l'82% dei ragazzi tra i venti ed i trent'anni vive per conto proprio, in Germania la percentuale scende di poco, attestandosi al 74%. In Svezia a sedici anni i ragazzi vengono mandati fuori casa (forse anche troppo violentemente!) in Italia no! Qui abbiamo figli che a 35-40 anni (!) continuano a riscaldarsi al focolare del tetto natio.
E così, standosene tranquilli in casa, i ragazzi ritardano sempre più il momento di crescere e maturare.
Un'inchiesta condotta pochi anni fa ha rivelato che il 46% dei ragazzi italiani non ha voglia di diventare adulto. Sono ragazzi culturalmente più preparati di qualche generazione fa, ma con un forte ritardo per quanto riguarda la maturazione umana.
Ragazzi incapaci di farsi carico di sé. Ragazzi insicuri. Ragazzi bonsai!
Mamme, per favore, tagliate il cordone ombelicale.
La psicologa Maria Rosa De Rita ci dà questo consiglio: "A 27 anni, al massimo, buttateli fuori di casa, come ho fatto io. Un giorno vi ringrazieranno!".
Se non possiamo arrivare a tanto (scrivere è facile, il momento è difficile: ne siamo ben consapevoli!) d'ora in poi, almeno, quando a sera torna a casa il 'cucciolone' di 35 anni, non sforniamogli più i sofficini.
Sì, perché, diciamocelo chiaro: non è forse vero che talora siamo proprio noi a non volere che il figlio se ne vada di casa?
Siamo noi che, a conti fatti, non abbiamo imparato ad amarlo.
Chi ama i fiori non li calpesta, né li coglie per sé, ma li lascia crescere, liberi e belli, nel campo.
In termini più pedagogici: amare davvero il figlio è liberarlo dal nostro bisogno di aiuto!
Amare il figlio è desatellizzarlo.


BOCCIATI IN AUTONOMIA
I bambini italiani sono bocciati in autonomia. Lo rivelano serie ricerche che hanno interessato molti Paesi europei e diversi Stati del mondo. Da tali ricerche risulta che appena l'8% dei bambini italiani va e torna a casa da scuola da solo, di fronte al 25% dei coetanei inglesi ed il 76% dei tedeschi.
È una delle tante conseguenze della nostra tipica 'figliolite' che rimanda sempre più, come abbiamo detto, l'autonomia del figlio. Accompagnare il piccolo a scuola, infatti, è impedirgli di acquistare sicurezza, è indebolirgli l'autostima, è impedirgli di integrarsi e di rafforzare i legami con le persone del quartiere.
È vero che i pericoli dei bambini non sono un'invenzione. Però è anche vero il proverbio: "Mai la catena ha fatto buon cane". Più vero ancora è quello che ci manda a dire un esperto del mondo giovanile d'oggi, Domenico Volpi: "Vi è in Italia un piagnisteo sui pericoli dei bambini che rasenta l'idiozia!".
Parole decise che ci invitano a liberarci dal cosiddetto 'complesso del bagnino' che vive con il terrore che qualcuno anneghi!

QUESTO DICO AL FIGLIO ADOLESCENTE
• Non giudicare una persona dalla piega dei pantaloni.
• Meglio gentile nei modi che elegante nella moda.
• Se non alzi gli occhi, crederai d'essere sul punto più alto.
• I pugni non hanno cervello.
• La vita non è una scatola di cioccolatini.
• Ridi di te stesso: avrai materia per stare allegro tutta la vita!

APPUNTI SUL FRIGORIFERO
• L'educazione si salva salvando gli abbracci, non le urla.
• La mamma troppo valente fa la figlia buona a niente.
• In ogni sorriso vi è un gol strepitoso.
• Chi non ha mai sbagliato, ben poco ha combinato.
• Prima di parlare è bene chiedere permesso all'esempio!

Autore: Pino Pellegrino
Fonte: Bollettino Salesiano luglio 2014

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mercoledì 11 febbraio 2015

Come stimolare l'autostima dei bambini

COME STIMOLARE L'AUTOSTIMA DEI BAMBINI
 5 CONSIGLI UTILI


L’autostima non è innata, va coltivata e curata fin dalla nascita, così che il bambino possa crescere consapevole di ciò che è, ciò che sa fare e ciò che può imparare a fare. Più che di autostima, nel bambino,  parliamo di fiducia in se stessi e di “autoefficacia”, cioè di “sapere di saper fare” o di poter imparare a fare qualcosa, se ancora non se ne è capaci. Questo è fondamentale per i bambini piccoli.
Credere in se stessi è indispensabile per trovare il proprio posto nel mondo, per trovare la forza di impegnarsi per raggiungere i propri obiettivi e per affrontare le inevitabili difficoltà della vita, compresi i giudizi degli altri.
Cosa si può fare per favorire lo sviluppo di una buona autostima, fin dalla nascita?

Ecco cinque consigli:
1. Amalo senza condizioni. Il bambino ha bisogno di sapere che tu lo ami in ogni situazione, anche quando sei arrabbiato. Questo lo rende sicuro di essere una persona di valore, che merita amore. Non minacciarlo mai di privarlo del tuo affetto, dicendo magari “Se non metti subito in ordine non ti voglio più bene!”, perché lui si svaluterà pensando: “Se mamma e papà non mi vogliono bene, chi potrà farlo?”

2. Ascoltalo sempre. Tu come ti senti quando non vieni ascoltato? Il bambino ha un grande bisogno di essere accolto, ascoltato e compreso. Osservandolo e ascoltandolo costantemente, nella quotidianità, potrai conoscerlo molto meglio e saprai dare risposte adeguate alle sue reali esigenze in quel determinato momento, rispettando la sua personalità. Un bambino che viene ascoltato, poi, sarà molto più ben disposto ad ascoltare a sua volta mamma e papà e a fidarsi di loro.

3. Incoraggialo. Il bambino impara ogni giorno cose nuove ed è essenziale che sia convinto di poter continuare a imparare, sempre; il messaggio deve essere: “Se ti impegni, puoi imparare a farlo, anche se ora non sei capace”. A seconda dell’età, sa fare alcune cose e non altre: pensa per esempio ai suoi enormi progressi tra 0 e 6 anni! L’importante è che resti vivo il suo senso di competenza globale, e in questo il tuo ruolo è indispensabile. Incoraggialo a provare, ma senza forzarlo se non ne ha più voglia e s’innervosisce. Ci riproverà al momento giusto.
Ricorda poi di lodare lo sforzo, più che il risultato. In questo modo lo spronerai  a fare le cose per il piacere di farlo e non per ricevere l’apprezzamento degli altri; eviterai di farlo sentire sempre sotto esame, e di renderlo dipendente dal giudizio altrui.

4. Prenditi cura di te stesso. Cerca di essere tu per primo un modello di buona autostima. I bambini, soprattutto fino a 7 anni, imparano molto imitando gli adulti di riferimento. Se hanno un genitore che si prende cura di se stesso, del suo aspetto fisico e del suo spirito, impareranno a fare altrettanto. Sii curato e prenditi del tempo per seguire i tuoi interessi e le tue passioni; esprimi le tue opinioni, i tuoi desideri, e mostra a tuo figlio che è importante far valere i propri diritti e le proprie esigenze, nel rispetto di tutti.

5. Rispetta la sua personalità. Se, per esempio, non fa amicizia molto facilmente, non spingerlo a buttarsi nella mischia o a frequentare bambini molto più estroversi di lui solo perché pensi che così “si sbloccherà un po’”. Proponigli invece di invitare a casa un bambino alla volta con cui giocare, puntando su quelli con cui ha più affinità e che non lo mettono a disagio. Se lo spingi a negare la sua natura lui penserà di avere qualcosa di sbagliato e questo è molto rischioso per la sua autostima!
Sono tutte azioni semplici, che, compiute con costanza nella quotidianità, aiuteranno il bambino a sviluppare una solida fiducia in se stesso e nelle sue capacità.
E voi, come vi impegnate a favorire l’autostima dei vostri figli/bambini?


Autrice: Adele Borroni
Fonte: www.mammeimperfette.com

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venerdì 6 febbraio 2015

Mamma fai posto anche a papà

MAMMA FAI POSTO ANCHE A PAPA'
Non c'è dubbio che un mondo senza padri è un mondo che ha inquilini umanamente più poveri

Almeno una volta all'anno dovrebbe essere fatto obbligo parlare del padre in tutte le riviste sensibili all'arte educativa, come la nostra. I padri sono, con le madri, i protagonisti decisivi dell'impianto di un uomo nuovo.
Se non li rivalutiamo, faremo poca strada! Sì, proprio oggi, nel momento in cui la donna 'lascia la casa' per il lavoro e la professione, è necessario che i padri tornino a casa. La loro presenza è decisiva!
Il pedagogista Norberto Galli (1926) taglia corto: "Ormai ne sappiamo quanto basta per comprendere che il bambino per evolversi in modo armonioso deve poter interagire con entrambi i genitori".
Perché quel 'deve'?
La ragione ci pare molto chiara e forte: perché un'educazione senza papà è un'educazione a metà (lo stesso vale per la mancanza della madre).
È da sapere, infatti, che l'Uomo completo ha due facce: la faccia femminile e la faccia maschile.
Per non crescere scompensato, il figlio deve poter confrontarsi con tutte e due!
Insomma, arrendersi alla mancanza del papà (o della mamma) è arrendersi al fallimento del figlio.
Privare un figlio della figura paterna (o materna) è un reato pedagogico!
Parole esagerate?
Non più di tanto, se si pensa al danno psicologico subìto dalla mancanza della figura paterna (sottolineiamo questa in quanto il mese di Marzo è, tradizionalmente dedicato alla 'Festa del papà').
La mamma può guidare l'automobile come il papà, la mamma può aggiustare un elettrodomestico meglio del papà..., ma papà è un'altra cosa.


Il padre è meno protettivo della madre. Lo conferma la psicologa Luigia Camaioni (1947-2004): "Il padre interviene positivamente ed incoraggia il bambino più spesso della mamma; a sua volta il bambino si diverte di più a giocare con il padre che con la madre".
"Il padre è quello che quando ti insegna ad andare in bicicletta sta a qualche metro di distanza e ti dice: 'Se hai bisogno io sono qua, ma tu vai da solo!" (Alessandro D'Avenia, insegnante).
Il padre gioca in 'made' maschile. La mamma, in genere, parlotta con il bambino. Il papà prende il piccolo tra le braccia e lo lancia in alto...
Il padre dà maggior sicurezza, anche in situazioni difficili. Alessandro (otto anni) confida: "Mio padre al mare mi porta anche dove non si tocca e mi dice: ' appoggiati disteso!'. Io so che lui mi tiene e in tutto quel mare non ho paura... Io sto come un pesce con suo padre quando nessuno li pesca".
Il padre è meno ansioso: apre al mondo. Uno dei massimi esperti in materia, Serge Lebovici, non ha dubbi: "Senza la figura paterna, sarebbe molto più difficile per il bambino staccarsi dalla madre e quindi nascere una seconda volta". C'è del vero in questo caustico giudizio dello scrittore-poeta francese Christian Babin (1951): "È bene per il fanciullo avere i suoi due genitori, ciascuno dei quali lo protegge dall'altro: il padre per preservarlo da una madre troppo divorante; la madre per preservarlo da un padre troppo sovrano!".
Il padre è meno sensibile alle contrarietà. La madre vibra al primo cenno di macchia d'unto.
Il padre, in genere, si preoccupa meno della salute del piccolo. Le madri che al primo starnuto già lo vedono al camposanto!
La nota giornalista Costanza Miriano all'intervistatore che le domandava se padre e madre, secondo lei, hanno un ruolo diverso nell'educazione dei figli, rispondeva a tutto tondo: "Assolutamente sì! La madre è l'accoglienza, il padre il senso della realtà. La madre è il pavimento che sorregge, il padre è il muro che protegge, ma anche limita. La madre insegna a vivere, il padre a morire. La madre rende il nido accogliente, il padre dà il coraggio di lasciarlo".
Niente sarebbe più facile che proseguire nel mettere a confronto il doppio stile umano: maschile e femminile.
Il poco detto, ci pare, comunque, sufficiente per concludere che non di sola mamma può vivere il figlio che voglia crescere Uomo.
Non c'è dubbio che un mondo senza padri è un mondo che ha inquilini umanamente più poveri.
Il poco detto vuole essere, oggi soprattutto, un invito ad approfondire il discorso per prepararci mentalmente a difenderci da quella che attualmente è l'insidia più pericolosa nei confronti della famiglia eterosessuale: il tentativo di alcune lobby di annullare le differenze naturali dei due sessi.

Il papà di Madre Teresa di Calcutta
"Mio padre si chiamava Kole Bojaxhiu.
Dato che faceva il commerciante, era sempre in giro per l'Europa. Quando tornava a casa radunava tutti i figli attorno a sé e raccontava quello che aveva visto e fatto.
Era un uomo severo e da noi pretendeva molto. Ma era anche molto generoso. Donava a tutti cibo e denaro senza farsi notare, né vantarsi".
Diceva sempre: "Dovete essere generosi con tutti come Dio è stato generoso con noi: ci ha dato tanto, tanto, per cui fate del bene a tutti!".
Una volta mi ha detto: "Figlia mia, non prendere né accettare mai un boccone di pane, se non è diviso con gli altri".
Un'altra volta mi disse: "L'egoismo è una malattia spirituale".
Il papà di Enzo Biagi, scrittore
"Di mio padre ricordo la grandissima generosità, l'apertura e la disponibilità verso tutti.
Non è mai passato un Natale - ed il nostro era un Natale modesto - senza che alla nostra tavola non sedesse qualcuno che se la passava peggio di noi.
Non è mai arrivato in ritardo allo stabilimento.
E io ho imparato che bisogna fare ogni giorno la propria parte".


Il papà di Giovanni Paolo II, papa beato
"Mio padre è stato meraviglioso e quasi tutti i miei ricordi di infanzia e di adolescenza si riferiscono a lui. Era così esigente con se stesso da non aver bisogno di mostrarsi esigente con suo figlio.
Il suo esempio era sufficiente per insegnare la disciplina e il senso del dovere. Era un uomo eccezionale!".

Il papà di Claudio, 19 anni
"Mio padre è stato bocciato un anno alle Medie e a scuola non era uno dei migliori.
Ora, con tutto quello che ha dovuto affrontare nel lavoro, si è come illuminato. Lui è sempre lì pronto a correggerti, ad aiutarti. Quando stai facendo un lavoro, ti mostra un'altra possibilità di fare quella cosa. In famiglia è come una fonte di salvezza".

Autore: Pino Pellegrino
Fonte: Il Bollettino Salesiano marzo 2014

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mercoledì 4 febbraio 2015

Tuo figlio vuole vincere sempre?

Tuo figlio vuole vincere sempre e non accetta la sconfitta?
 

Vi capita mai di giocare con vostro figlio, di competere con lui e di farlo vincere?
Sicuramente sì! Ogni genitore tende a far primeggiare il proprio piccolo, lodandolo perché è forte, perché è bravo, eccetera, eccetera.
E avete mai provato a farlo perdere?
Io sì, e vi posso assicurare che la reazione non è affatto bella.
Marco, quando era più piccolo e perdeva metteva in atto delle sceneggiate da far rimanere a bocca aperta anche Robert De Niro!
Un attore unico! Con tanto di urla, strepiti, angosce, eccetera.
Adesso invece, se arriva secondo cambia le regole del gioco: vince chi arriva dopo il primo! Oppure: non era questa la gara, bisognava andare di lì, di là, su e giù!

A casa fa il leone. Tra me, il padre e il fratello più piccolo riesce comunque a cavarsela.
Io scherzando gli dico sempre: “Ti piace vincere facile, po, po-po, po-po-po-ro!”, riprendendo le note di una famosa pubblicità!
Ma a scuola no! Lì la competizione è vera, nessuno dei suoi compagni si fa “pecora” per lui! E lì… spesso non vince, e allora?
Allora capita che ci rimane male, che si isola, eccetera.
Ma noi genitori possiamo fare qualcosa per fargli capire che “giocare è bello anche se non si arriva primi?”
Secondo gli esperti di “Figlie Felici” qualcosa possiamo fare.
Innanzitutto stimolare i nostri figli rispettando la sempre la loro natura.
Le interrogazioni a scuola, i voti, le gare sportive, le relazioni con i fratelli o gli amici più grandi per i bambini sono un banco di prova quotidiano su cui costruiscono la loro autostima e sicurezza. Devono capire che in ogni circostanza se la devono cavare da soli. E noi possiamo aiutarli in questo modo:

1) Assecondarli e incoraggiarli quando vogliono mettersi in gioco o diventare più autonomi: “Faccio io mamma, sono bravo!”
2) Scoraggiare e punire i comportamenti prepotenti e scorretti
3) Educarli a rispettare sempre le regole e lasciare che i bambini vivano anche le piccole frustrazioni, in questo modo si rafforzano
4) Indirizzarli verso una competizione con regole e per questo gli sport possono insegnare tanto. Impareranno non solo la lealtà, ma anche che sbagliando si impara.
Ecco invece cosa non fare:
1) Mai farli vincere al gioco solo perché non accettano di perdere. Questo atteggiamento alimenta nei bambini un falso senso di onnipotenza
2) Mai criticarli o prenderli in giro per errori o sconfitte. Si sentono umiliati e scoraggiati.
3) Mai fare paragoni con altri bambini, proponendo modelli “ideali”: si sentiranno inadeguati!

Che dire?
Secondo me questi ultimi consigli sono preziosi!
Soprattutto l’ultimo, quello dei paragoni. Mia madre lo ha sempre fatto e a me dava un fastidio!
All’università, quindi ero bella grandicella, ogni volta che dovevo sostenere un esame, puntualmente il giorno prima mi diceva: “La figlia della mia amica ha fatto ieri un esame e ha preso trenta!”.
Grrrrrrrr! Che rabbia! Avevo già i nervi tesi per fatti miei. L’ultima cosa che volevo sentirmi dire è che questa tizia aveva preso 30. Magari pure con la lode!
Ve lo giuro, non lo sopportavo.
Io e questa ragazza prima eravamo anche amiche. Ma sapete che alla fine, per colpa di questo atteggiamento di mia madre, preferivo evitarla? Poverina lei non mi aveva fatto nulla! Ma a pelle… non la digerivo più! … E la mia autostima era più che costruita e solida!

Non voglio immaginare i danni che si possono fare ai bambini con questi atteggiamenti!
Pensiamoci prima di fare paragoni….


Autrice: Maria Nigo
Fonte: www.vivalamamma.tgcom24.it

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