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mercoledì 13 dicembre 2017

Lavoriamo sul nostro quoziente emotivo

LAVORIAMO SUL NOSTRO QUOZIENTE EMOTIVO

Lo psicologo Daniel Goleman ha rivoluzionato il modo in cui intendiamo le emozioni, parlando per la prima volta di intelligenza emotiva e proponendo, accanto al famigerato QI (il quoziente intellettivo), un QE (Quoziente Emotivo), che misura il modo in cui regoliamo le nostre emozioni e le condividiamo con gli altri.

Perché ha proposto questo parametro? Nel corso dei suoi studi, si è accorto che il QI era predittivo dell’intelligenza di un individuo, ma non della sua felicità. Al contrario, persone di grande intelligenza avevano poi una vita emotiva problematica ed insoddisfacente. Da questa valutazione (simile, peraltro, a quella che ha spinto Gardner a parlare di intelligenze multiple), è nato un filone di ricerca e di studi, con l’obiettivo di studiare le emozioni, il modo in cui le elaboriamo e il modo in cui le utilizziamo nell’interagire col mondo.

Aspirare a un alto quoziente di intelligenza emotiva significa voler essere “socialmente equilibrati, espansivi, allegri, non soggetti a paure e con una spiccata capacità di dedicarsi alle altre persone". 

I fattori principali dell’intelligenza emotiva sono: autoconsapevolezza, controllo, motivazione, empatia, competenza sociale.
Ma perché scegliere di provare l’empatia? Comprendere i sentimenti degli altri, significa in primo luogo arricchire se stessi. Ci abitua ad entrare in un mondo complesso e a gestirne al meglio le variabili e gli imprevisti.

Due ragazzi della scuola superiore avevano litigato con un amico, cominciando poi a tormentarlo e a minacciarlo; un giorno, questi giunse a scuola con una pistola calibro 38 e freddò i due, nell’atrio della scuola.
Daniel Goleman, Intelligenza Emotiva

Com'è possibile che azioni di questo tipo, accanto a fenomeni di minore intensità ma ugualmente preoccupanti (basta pensare agli episodi di bullismo o ai suicidi in adolescenza) non si riescano a prevedere e prevenire? Questo, secondo Goleman, dipende dal fatto che siamo così presi dall'insegnare a leggere e scrivere da non preoccuparci della gestione delle emozioni dei bambini; in altre parole, ci preoccupa più la lezione di matematica che sapere se saranno ancora vivi la prossima settimana.

Tre spunti per lavorare sul Quoziente Emotivo:
  • impariamo ad ascoltare
  • impariamo ad esprimere i nostri sentimenti
  • impariamo a riconoscere le nostre emozioni e a controllarle.

Voi come trasformereste questi tre fondamentali in esercizi da portare nella vita di tutti i giorni?

Autore:Matteo Princivalle
Fonte: portalebambini.it

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mercoledì 6 dicembre 2017

Bambini felici con le 15 regole Montessori

BAMBINI FELICI CON LE 15 REGOLE MONTESSORI


Il Metodo Montessori è un modello educativo rivoluzionario che ha rimodellato il campo dell’istruzione, ponendo al centro del processo educativo la libertà del bambino.

La Montessori credeva fortemente che il bambino dovesse essere lasciato libero di esplorare, toccare, capire il mondo che lo circonda. A tal proposito, il consiglio che rivolge agli insegnanti è quello di guidare il bambino, senza però lasciargli sentire troppo la loro presenza, in modo da essere sempre essere pronti a fornire l’aiuto desiderato, ma senza mai costituire un ostacolo tra il bambino e la sua esperienza.

L’innata curiosità che, insita nell’animo umano sin dagli albori, spinge il fanciullo ad approcciarsi senza timori all’ambiente è il vero motore dell’apprendimento, e va alimentata e supportata, senza che ci siano delle “interferenze” nocive da parte dell’adulto.

Per un corretto e completo sviluppo psico-fisico, il bambino ha bisogno di essere immerso in un ambiente ricco, vario e stimolante. I genitori giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo cognitivo ed emotivo dei figli, attraverso azioni educative atte a garantire un sano ed equilibrato processo di crescita.

Maria Montessori asseriva che il primo compito dell’educazione è agitare la vita, ma lasciandola libera perché si sviluppi. L’impegno di questa grande educatrice italiana è stato tale da lasciare un’impronta indelebile nel mondo dell’educazione, attraverso preziosi contenuti, pratiche e consigli, di cui educatori e genitori fanno ancora tesoro.

Bambini Felici

Dallo scrigno prezioso lasciatoci in eredità, abbiamo estrapolato 15 principi che possono essere considerati validi anche oggi, a distanza di quasi un secolo:

1. Educate con l’esempio: mamma e papà devono essere il migliore esempio per i figli. I bambini sono come spugne, apprendono da tutto ciò che li circonda: non solo dalle parole, ma soprattutto dai fatti.

2. Non criticateli sempre e soprattutto in pubblico: diventeranno degli adulti frustrati e saranno portati a giudicare il prossimo.

3. Elogiateli in maniera sincera per i comportamenti positivi che mettono in atto. Gli elogi li aiuteranno ad imparare a dare valore alle cose.


4. Non siate ostili e arrabbiati in loro presenza o nei loro confronti. Tenderanno a litigare più frequentemente se avranno a che fare con dei genitori perennemente arrabbiati.

5. Non ridicolizzateli mai o avranno una bassa autostima che sfocerà in una forte timidezza che difficilmente riusciranno a debellare nel corso del tempo.

6. Abbiate fiducia nelle loro capacità e nei loro sogni, aiutateli ad accrescere la loro autostima in modo da potersi relazionare agli altri dando loro fiducia a loro volta.

7. Mai sottovalutarli e dire loro che non potranno mai riuscire ad ottenere un obiettivo che si prefiggono o rischieranno di sviluppare sentimenti di frustrazione e tristezza, oltreché sensi di colpa.

8. Ascoltateli e rendeteli partecipi: si sentiranno importanti e svilupperanno fiducia in sé stessi poiché capiranno che tenete in alta considerazione le loro idee e opinioni.

9. Date loro tutte le cure e l’amore di cui siete capaci. Sentendosi amati impareranno a trovare l’amore nel mondo.

10. Non parlate mai male dei vostri bambini, né in loro presenza, né tantomeno quando sono assenti.

11. Curate la crescita emotiva dei vostri figli: un genitore ha il dovere di prestare grande attenzione alle competenze sociali ed emozionali proprie e dei propri figli, coltivando con impegno queste abilità del cuore.

12. Non ignorateli mai, ma rispondete sempre quando vi parlano o cercano di comunicarvi qualcosa.

13. Tutti sbagliamo, anche i bambini, devono poterlo fare per imparare a vivere: davanti ai loro errori, rispettateli comunque. Gli sbagli saranno corretti nel tempo.

14. “Aiutiamoli a fare da soli”: aiutateli quando è necessario, ma abbiate anche la pazienza di lasciarli liberi di commettere errori in modo che trovino la strada migliore da sé.

15. Rivolgetevi ai vostri figli con gentilezza, con positività e affetto: è sicuramente il primo passo per garantire loro un sano equilibrio affettivo. Cercate sempre di offrire loro il meglio di voi. Ve ne saranno sempre grati!

Fonte:www.youreduaction.it

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mercoledì 29 novembre 2017

Poca pazienza con i bambini? Ecco la sfida dei 2 minuti

POCA PAZIENZA CON I BAMBINI? 
ECCO LA SFIDA DEI 2 MINUTI

La pazienza è la virtù dei forti, ma non tutti siamo così forti. Ogni genitore, anche il più calmo, perde la pazienza più o meno di frequente. Nessuno di noi è perfetto e, a complicare il tutto, ci sono le frustrazioni date dal lavoro, dal poco tempo, dai conflitti del mondo adulto che spesso ci portiamo dietro anche quando siamo con i nostri bambini.

QUALI GENITORI SI INNERVOSISCONO E SI STANCANO? TUTTI!
Non cadete nel luogo comune di pensare che gli altri siano più pazienti di voi: i bambini sono meravigliosi, ma richiedono un concentrato di energie e pazienza da far invidia al Mahatma Gandhi. Risultato? Tutti i genitori prima o poi perdono il controllo, si sfiancano e si chiedono cosa stanno sbagliando di fronte a piccoli testardi, cocciuti, spesso ribelli. Provate a pensare a queste situazioni:
Quando il bambino sbaglia e non fa le cose come le avete in mente voi
Quando vostro figlio non vi ascolta in nessun modo e non obbedisce
Quando non riuscite a sopportare le frustrazioni e vorreste evitarle ai figli
La sera quando tornate stanchi dal lavoro
Quando vi imponete di fare delle cose con lui anche se non ne avete voglia e siete stanchi
Voi cosa fate? Vi capita di perdere le staffe? Non colpevolizzatevi! In parte si tratta di circostanze in cui, partendo dal conflitto, ci si più allenare a migliorare la propria comunicazione e la propria efficacia.
Insomma, bisogna imparare a vedere il lato positivo del perdere la pazienza: ci insegna che siamo umani, che abbiamo dei limiti e che, se non impariamo a riconoscerli, difficilmente riusciremo ad aiutare i nostri bambini a controllarsi a loro volta.

SPUNT-ESERCIZIO: La metafora della farfalla
La pazienza è soggettiva: c’è chi resta imperturbabile anche di fronte alle circostanze più irritanti, chi invece sbotta facilmente ed ha scarsa tolleranza allo stress e agli imprevisti. La prima cosa da fare è interrogarsi su quanto si è pazienti, magari partendo da una riflessione sincera sulle situazioni menzionate in precedenza. Dopo un’attenta autoanalisi, probabilmente arriverete alla conclusione che no, non siete per niente pazienti.
Però non colpevolizzatevi: tornate a casa la sera stanchi dal lavoro, pieni di pensieri e nervosismo. Ci sta che non siate propriamente un modello di serenità e che la tolleranza al capriccio sia pari a zero. Provate ad allontanarvi mezzo minuto dalle urla e ammettere: “Sento che mi sto arrabbiando, non c’è nulla di strano, come viene la rabbia se ne va…”. Togliersi temporaneamente dal “campo di battaglia” non vuol dire “estrarsi dalla lotta”, ma cercare di ridurre il rischio di farsi travolgere dall’arrabbiatura.
Il consiglio che sentiamo di darvi è di rinunciare all’ipercontrollo: se siete stati otto ore in ufficio, avete praticato la pazienza tutto il giorno. Non potete pretendere di continuare a farlo appena rientrati a casa. Per cui, non potendo consigliarvi di litigare di più in ufficio o rivedere le vostre priorità (se poteste lavorare meno e in modo meno stressante probabilmente lo avreste già fatto), vi suggeriamo un consiglio tratto dal sito www.donothingfor2minutes.com che lancia la sfida “2 minuti senza fare niente”.
Sedetevi, rilassatevi e non fate nulla, isolandovi dal mondo. Ce la fate a resistere? A volte ci creiamo l’alibi del “Mi stanno chiamando”. E se fossi io a rispondere troppo in fretta, dando agli altri l’occasione di pretendere troppo in fretta da noi? Insegnate a far aspettare (un attimo!): imparerete anche voi ad avere più pazienza.

Ultimissimo spunto: la metafora della farfalla per ricordarci che ogni cosa richiede tempo. Alcune volte non possiamo agire per forzare le cose, ma dobbiamo lasciare che seguano il loro corso. Ci lasciamo prendere dall’impazienza quando i risultati (anche con i bambini) non arrivano subito. Quando diciamo “Smettila” e non otteniamo la risposta desiderata.
Pensate a questo: avete mai cercato di aiutare una farfalla a uscire dal bozzolo? Se lo faceste, magari con l’intento di alleviare la farfalla dallo sforzo necessario per aprire un varco e di velocizzare il processo, quella farfalla morirebbe. Il doloroso e faticoso processo che il bruco attraversa per diventare farfalla in realtà dà all’animale il tempo necessario per crescere le ali e lo sforzo necessario per svilupparle.
Velocizzare questo processo creerebbe solo danni. Cosa vogliamo dirvi? Semplicemente che essere pazienti è parte di un lavoro di squadra e ha i suoi tempi. I bambini vi ascoltano se voi ascoltate, vi considerano esempio se voi riuscite a esserlo. Non nel controllarvi sempre o apparire perfetti, ma nel vostro lavoro costante per crescere e migliorarvi. Questo, in definitiva, il valore più profondo dell’allenare e capire la pazienza.

Autrice: Alessia de Falco
Fonte: portalebambini.it

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mercoledì 22 novembre 2017

La lettera di Albert Einstein a sua figlia

LA LETTERA DI ALBERT EINSTEIN A SUA FIGLIA

Albert Einstein è stato un fisico e un  filosofo , padre della teoria della relatività e della nota formula E=mc2; ma forse in pochi conoscono la sua vita privata, sanno della sua primogenita illegittima , morta a poco più di un anno per scarlattina. Einstein conobbe la sua prima moglie nel 1898, Mileva Marić, una brillante studentessa serba, unica donna ammessa a frequentare il Politecnico Federale svizzero; fu con lei che ebbe Lieserl, nel gennaio 1902, ed è a lei che pare scrisse e dedicò una lettera .

Albert e Mileva si sposarono in Municipio nel 1903 e in seguito ebbero altri due figli: Hans Albert (1904), che sarebbe diventato ingegnere, e Eduard (1910) che, nonostante il talento nella musica e negli studi, fu travolto dalla malattia mentale e trascorse gran parte della sua vita tra la casa materna di Zurigo e l’ospedale psichiatrico Burghölzli. La lettera che segue pare sia stata scritta di suo pugno e dedicata alla figlia morta prematuramente. E’ difficile stabilirne la vera paternità, molto probabilmente si tratta di un falso, tradotta anche in diverse lingue, ma che sia veramente scritta dal famoso fisico o meno l’importante è il messaggio che vuole trasmettere.

In questa lettera viene racchiuso il pensiero di Einstein e collegato indissolubilmente all’amore che viene definito come una forza universale, una forza che governa tutte le altre, che è la più potente perché è quella che rappresenta il meglio di noi stessi, è quella che unisce, attrae ed elimina l’egoismo dall’umanità .

E definisce che se vogliamo salvare il mondo l’unica possibilità è affidarci all’amore . Se non fu scritta da Einstein è un peccato non poter attribuire la giusta paternità a questa lettera che è davvero molto bella e ricca di significato.

Ecco la presunta lettera di Albert Einstein a sua figlia Lieserl.

Quando proposi la teoria della relatività, pochissimi mi capirono, e anche quello che rivelerò a te ora, perché tu lo trasmetta all’umanità, si scontrerà con l’incomprensione e i pregiudizi del mondo. Comunque ti chiedo che tu lo custodisca per tutto il tempo necessario, anni, decenni, fino a quando la società sarà progredita abbastanza per accettare quel che ti spiego qui di seguito.

Vi è una forza estremamente potente per la quale la Scienza finora non ha trovato una spiegazione formale. È una forza che comprende e gestisce tutte le altre, ed è anche dietro qualsiasi fenomeno che opera nell'universo e che non è stato ancora individuato da noi. Questa forza universale è l’Amore. Quando gli scienziati erano alla ricerca di una teoria unificata dell’universo, dimenticarono la più invisibile potente delle forze.

L’amore è Luce, visto che illumina chi lo dà e chi lo riceve.
L’amore è Gravità, perché fa in modo che alcune persone si sentano attratte da altre. L’amore è Potenza, perché moltiplica il meglio che è in noi, e permette che l’umanità non si estingua nel suo cieco egoismo. L’amore svela e rivela . Per amore si vive e si muore.

Questa forza spiega il tutto ed à un senso maiuscolo alla vita. Questa è la variabile che abbiamo ignorato per troppo tempo, forse perché l’amore ci fa paura, visto che è l’unica energia dell’universo che l’uomo non ha imparato a manovrare a suo piacimento. Per dare visibilità all’amore, ho fatto una semplice sostituzione nella mia più celebre equazione .

Se invece di E = mc2 accettiamo che l’energia per guarire il mondo può essere ottenuta attraverso l’amore moltiplicato per la velocità della luce al quadrato, giungeremo alla conclusione che l’amore è la forza più potente che esista, perché non ha limiti .

Dopo il fallimento dell’umanità nell'uso e il controllo delle altre forze dell’universo, che si sono rivolte contro di noi, è arrivato il momento di nutrirci di un altro tipo di energia. Se vogliamo che la nostra specie sopravviva, se vogliamo trovare un significato alla vita, se vogliamo salvare il mondo e ogni essere senziente che lo abita, l’amore è l’unica e l’ultima risposta.

Forse non siamo ancora pronti per fabbricare una bomba d’amore, un artefatto abbastanza potente da distruggere tutto l’odio, l’egoismo e l’avidità che affliggono il pianeta. Tuttavia, ogni individuo porta in sé un piccolo ma potente generatore d’amore la cui energia aspetta solo di essere rilasciata. Quando impareremo a dare e ricevere questa energia universale, Lieserl cara, vedremo come l’amore vince tutto, trascende tutto e può tutto, perché l’amore è la quintessenza della vita.

Sono profondamente dispiaciuto di non averti potuto esprimere ciò che contiene il mio cuore, che per tutta la mia vita ha battuto silenziosamente per te. Forse è troppo tardi per chiedere scusa, ma siccome il tempo è relativo, ho bisogno di dirti che ti amo e che grazie a te sono arrivato all’ultima risposta .

Tuo padre Albert Einstein

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mercoledì 15 novembre 2017

Feste di compleanno che diventano matrimoni. Non si sta esagerando?

FESTE DI COMPLEANNO CHE DIVENTANO MATRIMONI. 

NON SI STA ESAGERANDO?

Quando le feste familiari diventano uno spettacolo eccessivo, organizzato per la nostra immagine, non per far felice il bambino.

Le feste di compleanno dei figli stanno diventando una moda nazionale. Biglietti d'invito stampati in tipografia del tutto simili a quelli che si usano per la celebrazione delle nozze, oppure camioncini dotati di altoparlanti che girano per le strade del paese a dire al mondo che otto anni fa Edoardo approdava sul nostro pianeta. 
La casa addobbata come se fosse Natale e Pasqua insieme, truccatrici pagate fior di quattrini per le facce delle piccole invitate, giocolieri e poi buffet da sfamare un esercito. 
Incredibile eppure rigorosamente vero. 
Vien da domandare: «Dov'è andato a finire quello che un tempo si trovava tra le due orecchie? Non stiamo forse perdendo l'equilibrio? Non stiamo sbandando alla grande?» 
Ecco le domande di questo nostro appuntamento mensile.

Un po' di testa nella festa 
Oh, intendiamoci bene, festeggiare il compleanno è bellissimo. 
Festeggiare il compleanno è festeggiare la vita. In particolare, festeggiare il compleanno di un piccolo è passargli tanti messaggi positivi che gli impiantano quella fiducia di fondo che è indispensabile per vivere. 
Festeggiare il compleanno del figlio è dirgli: “Siamo felici che ci sia!”, “Tu per noi sei prezioso”, “Ti vogliamo felice!”. 
Dunque nessuna condanna alle feste del compleanno. 
Le perplessità nascono quando tali feste diventano una festa di nozze anticipata, uno spettacolo organizzato per la nostra immagine, non per far felice il bambino. 
Allora è necessario riflettere. 
Tanta coreografia non può far passare al figlio l'idea che basti 'apparire' per 'essere'? 
Tanti sorrisi e tanti elogi obbligati non possono trasmettergli il virus dell'ipocrisia? 
C'è di più. Soffocato da montagne di regali, il bambino può illudersi che la vita sia zucchero filato. 
Tanta attenzione può fargli credere d'essere il signorino che dovrà essere sempre soddisfatto, anche se altri sono in difficoltà e non possono permettersi tanto lusso. 
Insomma, non stiamo guastando una delle più belle occasioni di socievolezza e di serenità così attesa e gradita al figlio? 
Che ne dite? Non è urgente mettere un po' di testa nella festa? 
Una bella merenda in compagnia a base di semplici panini e pizzette, con sottofondo musicale lieve e le immancabili patatine fritte innaffiate dalle solite bibite con bollicine (concesse a volontà, per l'occasione) è la più simpatica festa di compleanno sognata dal bambino. 
La discussione è aperta.

COMPRESSE PEDAGOGICHE 
• Non obblighiamo il figlio a fare gli straordinari per dimostrare a tutti la nostra capacità di mettere al mondo un prodigio. 
• I figli imparano molto più spiandoci che ascoltandoci. 
• Briglia sciolta un po' alla volta. Quando il dentifricio è uscito dal tubetto chi riesce ancora a riportarlo dentro? 
• Ogni sorriso è un gol strepitoso. 
• Il rimprovero fa bene, l'incoraggiamento di più. 
• Salvare la cena è salvare la famiglia. 
• L'ansia dei genitori peggiora sempre la situazione. 
• Chi tocca il cuore modella la testa.

PUNTO LUCE 
«I bambini non costituiscono una categoria, una specie di classe sociale ben separata da quella dei 'grandi', quasi un'umanità diversa, meno evoluta, se non inferiore. Sono come noi, tali e quali. Se non hanno ancora la capacità di comprendere o di fare certe cose, se hanno bisogno di aiuto, questo non fa che aumentare i loro diritti. L'uomo è uomo, che abbia trenta giorni o trent'anni, e le uniche cose di cui dobbiamo privare il bambino sono quelle che potrebbero far del male a lui, e non quelle che potrebbero dar fastidio a noi» (Marcello Bernardi).

Autore: Pino Pellegrino
Fonte:www.biesseonline.org

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mercoledì 8 novembre 2017

In famiglia ci deve essere empatia e rispetto

IN FAMIGLIA CI DEVE ESSERE EMPATIA E RISPETTO

Crescere e, soprattutto, educare i bambini non è un compito facile, poiché agendo in modo errato, possiamo distruggere i legami familiari. Sono necessarie tonnellate di pazienza, affetto e buona volontà per favorire una crescita sana e responsabile che permetta ai bambini di svilupparsi nel miglior modo possibile e, al tempo, stesso prendersi cura del partner.

In questo compito, risultano rilevanti alcune abilità, come saper ascoltare i nostri figli, imparare a mettersi nei loro panni, stabilire dei limiti ed essere capaci di trasmettere loro il sentimento di appartenenza ad un gruppo unico che offrirà loro sicurezza e protezione, qual è la famiglia. Tutto questo è importante anche per gli adulti. Continuate a leggere per sapere come proteggere i legami familiari per creare, così, vincoli più forti!

“Alla fine della giornata , una famiglia amorevole dovrebbe trovare tutto perdonabile”
-Mark V. Olsen-


Dire “ti voglio bene”: la base dei legami familiari sani
Ogni membro della famiglia ha le sue necessità, così come qualità ed abilità diverse. È per questo che ognuno esprime l’affetto a modo suo e ha bisogno di modi diversi per sentirsi dire che gli vogliono bene. Tuttavia, è importante comunicarlo. 

Padre che cerca di rafforzare i legami familiari
A volte ci risulta difficile fare critiche costruttive non solo con gli adulti, ma anche con i bambini e ci dedichiamo unicamente a segnalare quello che hanno fatto male. Il problema è che un atteggiamento che a noi può passare inosservato, può invece avere importanti ripercussioni sull’autostima altrui, soprattutto in quella dei bambini. In questo modo, si debilitano i legami familiari.
Per questo motivo, è importante usare parte della nostra comunicazione per dire che vogliamo bene ai nostri bambini e cosa ci piace di loro, che sono importanti per noi e per la nostra famiglia. In questo modo, li nutriremo con amore e miglioreranno la loro autostima.

I legami familiari forti si nutrono di empatia e sforzo
L’empatia è un grande alleato quando si producono conflitti in casa. Cercare di metterci nei panni dell’altro non permetterà di mettere subito fine alla discussione, ma ci aiuterà a capirlo un po’ di più. Ci aiuterà anche a spiegargli che comprendiamo la sua opinione anche se non la condividiamo, giungendo ad un accordo positivo per entrambi.

“Le case felici sono costruite con mattoni di pazienza”
Harold E. Kohn

Metterci nei panni degli altri faciliterà un altro elemento fondamentale per rafforzare i legami familiari: valorizzare lo sforzo altrui. Quando proviamo a cambiare o a fare qualcosa per migliorare la convivenza in casa, non sempre ci riusciamo subito. Tuttavia, sentirci dire che apprezzano il nostro tentativo ci motiverà a migliorare. 
Questo riconoscimento fungerà da rinforzo che potenzia le condotte che ci aiutano a migliorare le relazioni familiari. Il cambiamento, però, si verificherà in modo progressivo.

Rispettare i diritti e i doveri fomenta i legami familiari
Dentro casa tutti i membri hanno i loro obblighi. È necessario che questi siano delimitati e consistenti. Tuttavia, come e quando responsabilizzare i piccoli nei confronti delle faccende di casa? In questo senso, è importante tenere in considerazione l’età dei bambini e chiedere loro di fare certe cose in base alle loro capacità.

Famiglia unita che rafforza i legami familiari
Dal primo anno d’età possiamo chiedere loro di svolgere semplici faccende domestiche che ne fomentino l’autostima. Potranno, dunque, raccogliere i loro giocattoli, aiutarci a portare un oggetto da un posto all’altro oppure pulire qualcosa che hanno macchiato. Sottolineare che ci stanno aiutando in modo impeccabile e quanto sono importanti per la famiglia li farà sentire molto meglio.
Così come i nostri doveri, in casa devono essere rispettati anche i nostri diritti. Il problema si presenta quando, sorgendo dei contrattempi, veniamo meno a questi diritti. È senz’altro importante saperlo fare ogni tanto per il bene delle convivenza, ma non dovrà essere sempre la stessa persona a cedere. 

“La famiglia è l’unica cosa che si adatta ai nostri bisogni”
-Paul McCartney-

In altre parole, non possono essere rispettati di più i diritti di alcuni membri della famiglia rispetto a quelli di altri. Trovare un equilibrio in questo aspetto eviterà l’insorgere di discussioni e malintesi inutili, così come di emozioni negative che minano i legami familiari. 

Fonte: www.lamenteemeravigliosa.it

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mercoledì 25 ottobre 2017

Figlio unico, guaio o fortuna?

FIGLIO UNICO, GUAIO O FORTUNA?

La nostra è, ormai, una società di figli unici. In Italia superano il 25 per cento. Ebbene, essere figlio unico è una fortuna oppure un pericolo? Un'opportunità o un problema?

Perché i lettori possano discutere con cognizione di causa, vediamo i pro e i contro dell'essere figli unici e i pro e i contro della 'fratria', cioè dell'esperienza dei fratelli. 

FIGLIO UNICO: LUCI ED OMBRE 
Secondo alcuni i figli unici sarebbero più fortunati dei figli con fratelli: 
• Il fatto di essere figlio unico permetterebbe di non conoscere l'invidia, almeno in casa. 
• Il figlio unico sarebbe meno aggressivo, non avendo l'occasione di bisticciare con la pestifera sorellina. 
• Il figlio unico sarebbe più ambizioso per voler ricambiare, ad ogni costo, i genitori che tanto hanno fatto per lui. 
• Potrebbe sviluppare meglio l'intelligenza, avendo la possibilità di studiare in pace nella sua cameretta, senza essere disturbato dagli strepiti e dalle urla dei fratellini.

Secondo altri, invece, i figli unici sarebbero svantaggiati: 
• Senza fratelli il bambino corre il pericolo di non imparare a collaborare. 
• Il figlio unico può diventare egocentrico, freddo, narcisista: tutti ostacoli pesantissimi per la crescita armoniosa e serena della persona umana. 
• Il figlio unico può essere caricato, da parte dei genitori, di aspettative esagerate, superiori alle sue reali possibilità. E così può facilmente diventare vittima di quella che viene chiamata la 'sindrome del 4-2-1': quattro nonni, due genitori tutti in attesa dei trionfi dell'unico rampollo che non sempre è in grado di soddisfare tante aspettative. Di qui gli stati di depressione, di insicurezza, di tristezza, di sensi di colpa per non aver realizzato tanti 'sogni di gloria' dell'intera parentela. 
• Senza fratelli, vi è il rischio che i genitori proteggano troppo il bambino. Il pericolo viene evidenziato, ad esempio, dal pedagogista Luigi Pati: «La tentazione di portarlo continuamente dal pediatra o di non allontanarsi mai un attimo da lui nel timore che gli succeda qualcosa è forte, fortissima. Volendo ad ogni costo farlo felice, in realtà lo si rende infelice». 
• Infine, il figlio unico può sentire in maniera molto più amplificata le tensioni di coppia: liti, separazioni, divorzio. Privo di un fratello con cui discutere e comprendere quanto sta accadendo, il figlio unico può soffrire enormemente, tutto chiuso in se stesso, fino a rendersi insopportabile la vita.

Cari fratelli 
Dopo aver visto i pro e i contro dell'essere figlio unico, passiamo a considerare gli elementi positivi e negativi della 'fratria'. Anche qui, infatti, abbiamo luci e ombre. 
• Un primo aspetto positivo del poter vivere con fratelli è il fatto che permetta di vivere con gli altri. Il che è decisamente bene! È dimostrato che da adulto chi ha avuto fratelli è più disponibile, più ottimista, meno pauroso, più propositivo. Insomma, la 'fratria' impedisce l'affievolirsi di alcuni grandi valori sociali quali la solidarietà, la gratuità, l'abitudine alla condivisione, alla tolleranza. Una società di figli unici è psicologicamente più povera e meno felice! 
• Un secondo lato positivo della 'fratria' è il fatto che vince la solitudine che intristisce sempre il bambino. Ecco perché sovente il piccolo invoca: «Mamma, comperami un fratellino!». Avere un fratello significa avere un compagno di giochi con cui spartire gli spazi comuni, con cui vivere la complicità che tanto aiuta a fare gruppo. 
• Terzo aspetto positivo del vivere con fratelli è il fatto che prepara il bambino ad avere, domani, una relazione migliore con il partner. Pare che chi, fin da piccolo, ha fatto l'esperienza di vivere con una persona di sesso opposto, sappia con più esattezza almeno che cosa non volere dal partner di domani. Il che non è poco!

Però anche la 'fratria' ha i suoi lati oscuri. 
• Avere fratelli significa essere detronizzato. 
• Avere fratelli significa incontrare ostacoli, opinioni diverse che quasi inevitabilmente portano a litigi, a screzi. 
Ma dobbiamo domandarci: è un male essere detronizzati? 
No, affatto! «Non vi è niente di più dannoso per un bambino che sentire che tutti sono ai suoi piedi!» sosteneva la famosa psicanalista francese Françoise Dolto. 
Così pure non è male il litigio (ovviamente contenuto entro certi limiti). Il conflitto spinge a crescere, è un esercizio che insegna a togliersi d'impaccio, a farsi le ossa.

A questo punto, possiamo tirare le somme? 
Dunque vi sono luci ed ombre tanto nell'essere figlio unico quanto nel vivere con fratelli. 
Comunque ci pare che le due situazioni non siano omologabili. 
La 'fratria' offre qualcosa in più alla formazione del figlio. 
Vien da dire che i fratelli sono la più bella disgrazia che possa capitare ad un uomo!

Autore: Pino Pellegrino
Fonte:www.biesseonline.org

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mercoledì 18 ottobre 2017

7 consigli per gestire le emozioni dei bambini

7 CONSIGLI PER GESTIRE LE EMOZIONI DEI BAMBINI

Quando un genitore si trova davanti a un'esplosione emotiva del proprio bambino: rabbia e paura, tristezza e disgusto, sorpresa e felicità, spesso non sa come gestirla.

"Non esistono ricette per essere buoni genitori" scrive Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta dell'età evolutiva,  nel suo libro "L'educazione emotiva" (Fabbri Editori), ma secondo recenti ricerche scientifiche basate sulle neuroscienze quello che può far la differenza è l'educazione emotiva: cioè far sentire il proprio figlio compreso e accolto nelle sue emozioni. "L'adulto deve diventare un allenatore emotivo" spiega Pellai.

Le emozioni primarie sono: rabbia, tristezza, disgusto, paura, sorpresa e felicità, dalle quali poi derivano le secondarie che sono: ansia, timore, terrore, angoscia, desolazione.

Ecco quindi sei esempi pratici su come un genitore deve gestire queste emozioni e quali strategie mettere in atto per contenerle

1. Educazione emotiva: il genitore deve "sentire" il proprio figlio
Il genitore, oltre alle funzioni primarie di cura e accudimento, deve occuparsi della crescita serena del proprio figlio. Per far questo è fondamentale che empatizzi con lui. Il bambino deve essere "sentito e compreso" a livello profondo nella mente dei suoi genitori. "Un bambino crescerà tanto più sicuro e protetto quanto più avrà al suo fianco adulti capaci di sentire e pensare ciò che lui sente e pensa e che, comprendendo i suoi stati mentali, forniranno risposte e soddisfazione a quei bisogni che lui non sa esprimere".
 
2. Gestire la rabbia: create in casa un "angolo" dove il piccolo possa sfogarsi
"Le basi per una sana gestione della rabbia vengono costruite in età infantile e derivano dalla competenza con cui gli adulti sanno dare risposta ai bisogni del bambino sin da neonato".
Quando il bambino è in preda alla rabbia e sta facendo un capriccio, il genitore emotivamente competente non deve cadere nel copione "tu sei mio nemico", ma trasformare questa opposizione in cooperazione.
Insomma davanti a un mega capriccio, il genitore anziché perdere il controllo a sua volta deve dimostrare con i fatti che le emozioni forti sono gestibili e noi adulti ne siamo capaci.

Pellai consiglia di stabilire in casa un angolo dove accompagnare i bambini che stanno facendo i capricci, un angolo dove l'emozione possa essere scaricata fino a esaurirsi, così che poi in casa torni la calma e genitore e bambino possano sentirsi nuovamente alleati.

 Si trattata di uno spazio di decantazione. Il genitore, accompagnando il bambino, può dire: "Visto che sei così arrabbiato, ora ti metto nell'angolo della rabbia. Qui puoi urlare quanto vuoi, poi quando ti sei calmato puoi uscire, così facciamo qualcosa di bello insieme".
Nell'angolo della rabbia il bambino impara a recuperare il controllo di sé: questo processo si chiama autoregolazione emotiva.

3. Gestire la tristezza: un massaggio al cuoricino
"Gli adulti non amano vedere i bambini tristi. La tristezza è considerata una specie di tabù".
E' per questo che quando un bambino la sperimenta, tende a chiudersi in se stesso, mentre invece dovrebbe essere aiutato a raccontarla e a condividerla.

Per esempio di fronte a un lutto si tende a dire al bambino che il nonno è partito per un lungo viaggio... Il bambino sperimenterà comunque la tristezza di non vedere più il nonno, in più sarà spaesato dalle false verità che lo circondano.

"Il mondo è pieno di uomini che non sapendo gestire la tristezza diventano violenti, oppure di persone che nascondono la propria tristezza buttandosi nel lavoro o in altro pur di riempire un vuoto" .

Quindi se vediamo nostro figlio triste, anziché cercare di rallegrarlo, abituiamolo a riconoscere questa emozione e aiutiamolo a superarla.

"La cosa migliore è un bel massaggio intorno al suo cuoricino spiegando in modo preciso che cosa pensiamo lo renda così triste! Ad esempio possiamo dirgli: "Piccolino, sei triste perché hai perso il tuo giocattolo preferito, chissà dove si troverà ora? Possiamo andare al parchetto a cercarlo, se poi non lo troviamo, andremo in un negozio a sceglierne uno nuovo assieme".

Così il bambino avverte che la sua emozione viene riconosciuta e compresa,intanto la mano che lo massaggia lo medica proprio là dove sente il "dolore". Inoltre nella narrazione il genitore propone una soluzione per superare il problema.  In questo modo la relazione genitore-figlio ne uscirà rafforzata sul piano della competenza emotiva.
 
 4. Gestire il disgusto: se a tavola non vuole mangiare, provate il gioco del pranzo bendato
"Il disgusto è l'emozione che si prova davanti a qualcosa che percepiamo come pericolosa per la nostra sicurezza".

Le prime manifestazioni di disgusto i bambini le hanno in relazione al sapore del cibo che portano alla bocca. E questa emozione viene espressa in modo esagerata dai piccoli con l'espressione: "Che schifo".

Quando i bambini riportano questa frase a tavola non è tanto perché trovano disgustoso il cibo, quanto perché vorrebbero trovarvi alimenti più saporiti e appetitosi. 

"Come genitori abbiamo il dovere di aiutare i nostri bambini ad apprezzare tutti i gusti e tutti i sapori". Perciò, di fronte a un bambino che a tavola ci dice "non mi piace, mi fa schifo" dobbiamo chiarire che nessun cibo è schifoso in quanto è stato preparato con amore da chi gli vuole bene. E che il nostro corpo ha bisogno non solo di cibi golosi ma anche nutrienti e ricchi di vitamine.

Detto questo, provate con il gioco del pranzo bendato: sistemate nel piatto cinque piccole porzioni di cibi differenti (anche quelli non graditi), poi con gli occhi bendati chiedetegli di assaggiare tutto e indovinare che cosa mette in bocca.

Così il piccolo imparerà che quel cibo che chiamava schifoso può essere, invece, buono.

5. Gestire la paura del buio: il gomitolo di lana
"La paura è un'emozione che ha molti modi di manifestarsi. C'è chi ha paura del buio, chi dei cani, chi del temporale..." Quasi tutti i bambini, nel corso della prima e seconda infanzia hanno molte paure, ma la vicinanza emotiva dell'adulto può aiutarli a superarle. Ed è uno dei primi e più efficaci allenamenti emotivi.

Se un bambino ha una paura, anche molto irrazionale, il genitore deve sforzarsi di entrare nella mente del figlio e comprendere questo terrore. Ad esempio se un piccolo ha paura del temporale, dovete accettare questa emozione, ma anche trovare un modo per gestirla e quindi controllarla.

Se per esempio vostro figlio ha paura del buio e quando va a nanna vuole che gli rimaniate accanto fino a quando si addormenta, provate con il trucco del gomitolo di lana: vostro figlio a letto terrà in mano il filo, mentre voi lo srotolate e vi sedete fuori dalla camera con il gomitolo in mano. Quando il piccolo sente la paura arrivare potrà tirare il filo, in questo modo avvertirà la vostra presenza.

Il filo simbolizza il legame che  c'è con i genitori anche quando sono lontani.

6. Gestire la sorpresa: l'emozione che vi può aiutare a motivare vostro figlio
"La sorpresa è l'emozione che ci coglie quando la vita ci pone di fronte a qualcosa di imprevisto. Può essere una cosa positiva, ma esiste anche il versante negativo".

I genitori possono però usare l'emozione della sorpresa in modo costruttivo. Per esempio dire a un bambino: "Se sarai bravo, poi ti darà una sorpresa" è una frase vincente per aiutarlo a conquistare un traguardo e un obiettivo educativo condiviso. Al piccolo non interesserà tanto l'oggetto ma la sorpresa in se stessa.  La sorpresa è qualcosa che uno non si aspetta e quindi sta a significare: "Ti ho pensato, ti voglio bene, per me sei importante". 

Un gioco che può aiutarvi a motivare il piccolo è il sacchetto delle sorprese.
Se volete che il vostro bambino riesca a conquistare una tappa di autonomia che vi sta a cuore (a nanna presto, lavarsi le mani prima dei pasti, mettere in ordine i giochi...), promettetegli il suo sacchetto della sorpresa una volta che avrà conseguito l'obiettivo proposto. Ogni giorno potete metterci dentro un piccolo regalino che gli consegnerete alla sera se l'obiettivo proposto e discusso con lui è stato conseguito. 

7. La felicità: è un'emozione che va condivisa
"La felicità è un'emozione che ci spinge verso le esperienze più belle della vita".

Anche la felicità è un'emozione che ha bisogno di condivisione. "Se mamma e papà partecipano alla mia felicità, il mondo è un posto bello in cui vivere" pensa il bambino felice. 
 Un bambino che prova tanta felicità si sente disorientato se si trova davanti un adulto incapace di cogliere e condividere con lui questa sua emozione.

"Non solo dobbiamo portare felicità nella vita dei nostri bambini, ma dobbiamo anche riconoscere quando loro sono felici. 
Un suggerimento per creare condivisione è fare dei piccoli album fotografici dei ricordi felici. "Sarà bellissimo sfogliarli insieme ai figli e rivivere di nuovo insieme a loro gli accadimenti in cui avete condiviso quella bellissima emozione".

 L'albume dei ricordi felici sarà un tesoro da conservare preziosamente del tempo.

Autrice: Federica Baroni
Fonte: www.nostrofiglio.it
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