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mercoledì 28 marzo 2018

L’incapacità di gestire le emozioni negli adolescenti porta al ‘ritiro sociale’

L'INCAPACITÀ' DEGLI ADOLESCENTI DI GESTIRE LE EMOZIONI PORTA AD UN 'RITIRO SOCIALE'

C'è chi si ritira dal mondo e chi invece fa abuso di sostanze stupefacenti. Due tendenze che hanno un punto in comune: l'incapacità di gestire le emozioni e l'assenza dei genitori. Ed è proprio da questi ultimi che deve partire il cambiamento alla ricerca di un nuovo equilibrio più sano

   

Oggi due sono le tendenze psicopatologiche emergenti: i casi di ritiro sociale, dove i ragazzi rinunciano addirittura ad andare a scuola; e dall'altra l'abuso di sostanze stupefacenti, intese però come “perdite programmate di controllo”. «Il presupposto è che qualsiasi ragazzo (ma anche un adulto) che sviluppa una fase di abuso non lo fa per stare peggio, per perdere un equilibrio, ma per mantenere l'unico equilibrio per lui possibile» spiega Federico Tonioni, psichiatra e fondatore dell'ambulatorio per l'ascolto e la cura del cyberbullismo dell'ospedale Gemelli di Roma, che di recente ha condotto l'incontro “Nuove dipendenze o nuovi adolescenti” al Festival dell'Educazione di Viterbo.
 
IL RITIRO SOCIALE dei ragazzi di oggi

Una risposta al disagio moderno dei ragazzi è il ritiro sociale. I giovani cominciano dall'abbandonare lo sport che praticano e finiscono con lo smettere di andare a scuola, passando anche 20 ore attaccati a un computer per giocare. «Spesso si tratta di giochi online molto violenti, che utilizzano per esternare la loro aggressività» sottolinea l'esperto. In genere, infatti, si tratta di ragazzi repressi che non hanno la possibilità di esprimere la loro aggressività e che non riescono a gestire la rabbia. Così preferiscono allontanarsi dal mondo, per evitare di esplodere.

«Ci siamo accorti che hanno tutti un punto in comune: non è possibile incrociare il loro sguardo. E non è timidezza, è come se fossero senza pelle. In questo senso, la chat è uno strumento estremamente funzionale, perché con una webcam possono affrontare anche argomenti sensibili, ma senza arrossire. Il rossore è infatti un effetto dell'emozione che passa attraverso il corpo, che fa parte della conversazione non verbale. Il nodo centrale in questi ragazzi è dunque proprio la difficoltà a gestire le emozioni».

IL POLIABUSO

La stessa cosa, ma con modalità differenti, accade ai ragazzi che fanno abuso di sostanze stupefacenti. «La moda è quella di mischiare diverse droghe, ma non per una ricerca del piacere, come accadeva in passato con la cocaina: oggi ci si droga in sequenza e in combinazione, unendo musiche, circostanze, compagnie e luoghi ad hoc per “programmare” come stare» evidenzia Tonioni.

Questi ragazzi, al pari dei “ritirati sociali”, sono caratterizzati da un'incapacità di tollerare gli stati emotivi e quindi li pianificano per evitare di doverli gestire all'improvviso. Il difetto delle emozioni, infatti, è che sono spontanee: non si può sapere quando si balbetterà o ci verrà la tachicardia. «E in questo il corpo ci tradisce, perché dice sempre la verità anche quando noi non vogliamo o non siamo pronti».
 
CAUSE E RIMEDI DI QUESTI COMPORTAMENTI

Ma qual è il motivo di questi comportamenti? «Soprattutto l'assenza dei genitori– sintetizza l'esperto – che con gli strumenti moderni hanno trovato nuove forme per stare lontani dai loro figli. Pensiamoci: guardiamo lo schermo del cellulare ogni 3 minuti senza un motivo preciso, ma perché è diminuita la nostra capacità di stare da soli e di attendere. I nuovi mezzi ci hanno reso tutti più compulsivi».

In queste nuove forme di assenza, la presenza per i ragazzi è garantita sempre più dalla tecnologia: «Pensiamo a che baby-sitter meravigliosa è un'app o la console dei giochi. Una delle frasi tipiche delle mamme e papà moderni è: “davanti al computer mio figlio non si vede e non si sente”. Peccato che i piccoli abbiano proprio bisogno di essere visti e pensati. Quando li lasciamo da soli con questi strumenti si dissociano, uno stato che è anche normale, ma la cui pericolosità dipende dalla durata. Una situazione che per fortuna è reversibile: non c'è nessun bambino, infatti, che preferisca giocare con il computer piuttosto che stare con i genitori. Tutto sta alla disponibilità di questi ultimi».

Diverso è l'adolescente che, pur avendo bisogno degli adulti, ha la necessità di sperimentare anche se stesso, allontanandosi dai genitori: «La distanza sana da avere nei confronti di un adolescente è data dalla fiducia. Quando capiamo che non riusciamo a fidarci dei nostri figli lo dobbiamo presentare come un nostro limite. Con loro il muro contro muro non serve a niente, meglio imparare a chiedere scusa quando ci rendiamo conto di aver sbagliato. E solo se le scuse sono autentiche e sincere, li ritroveremo. 
Trovare insieme limiti e regole

Una strategia per essere presenti è trovare insieme limiti e regole, crescendo nel confronto e facendo tutti uno sforzo comune per venirsi incontro. Un modo per evitare di vedere i nostri figli allontanarsi e soffrire, sentendoci in colpa. Anche perché la distanza più ampia da loro sono proprio i nostri sensi di colpa» conclude Tonioni.

La possibilità di migliorare le cose parte dunque proprio dai genitori, con la loro presenza, l'ascolto e l'impegno a venirsi incontro.

Autrice: Alice Dutto
Fonte: www.nostrofiglio.it
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mercoledì 21 marzo 2018

Come togliere potere al bullo

COME TOGLIERE POTERE AL BULLO

Il bullismo è un comportamento aggressivo, ripetuto nel tempo, che si basa su uno squilibrio di potere (reale o anche solo percepito) tra l’aguzzino e la vittima.
L’obiettivo di chi pratica bullismo è quello di infliggere dolore fisico e psicologico ad un’altra persona.
  
Chiunque può rivelarsi un bullo: donne e uomini, ricchi e poveri, adulti e bambini.
Possono essere i genitori, l’amante, il compagno di classe, l’insegnante, il capo e il collega.
    
Il grande problema di avere a che fare con questa gente è che spesso ha un potere veramente enorme rispetto agli altri.
Spesso sono grossi e muscolosi oppure hanno posizioni privilegiate.
Dal momento che la loro specialità è succhiare il potere di chi li circonda, voglio condividere con te 4 consigli per bloccare questo meccanismo e addirittura invertirlo.

1. Dimostrati sicuro di te.
Amy Cooper Hakim, psicologa specializzata in lavoro e organizzazioni, ritiene che i bulli perdano il loro potere quando vedono che le loro vittime non si lasciano sopraffare.
E’ come se iniziassero a credere di non meritare il loro rispetto, quindi cominciano ad ammirare (se non temere) la loro sicurezza.
Consiglio numero uno: quando il bullo attacca, non rispondere con la stessa modalità (alzando le mani o la voce a tua volta) e non far vedere che le sue parole hanno in qualche modo turbato la tua psiche.
Piuttosto, dimostrati sfacciato mantenendo un contegno forte e cortese.
Mantieni un contatto visivo diretto, parla con un tono di voce calmo, mantieni una distanza appropriata e pronuncia il nome del bulloquando gli parli: lo lascerà spaesato.

2. Crea il tuo branco.
Se fossero animali, i bulli potrebbero essere considerati dei predatori molto intelligenti.
Il loro obiettivo è quello di far sentire la vittima sola e senza alcun potere.
Per fare questo, prima e durante l’attacco, si assicurano di aver fatto terra bruciata attorno al bersaglio scelto: nessuno deve intervenire o, al massimo, può solo unirsi alla tortura.

Consiglio numero due: mantieni il controllo sulle relazioni con i tuoi potenziali alleati e crea il tuo branco.
Se durante un attacco si crea la situazione in cui tutti i tuoi amici o colleghi si dispongono in cerchio al cui interno ci sei tu e il bullo, rompi questo schema. A causa del fenomeno della diffusione di responsabilità, le persone tendono a non intervenire durante una situazione incerta perché pensano che lo farà qualcun altro.
Il risultato è che nessuno si muove.
Durante l’attacco, non aver timore di coinvolgere gli altri per sostenerti.
Indicali e rivolgiti direttamente a loro chiedendo di prendere le tue parti.

Conoscevo un ragazzo mingherlino che era un asso nell’usare questa tecnica. A causa della sua statura minuta, era spesso un bersaglio fisso. Il ragazzino, però, aveva dalla sua un’ottima oratoria e buone abilità sociali: conosceva il nome di quasi metà istituto (e per questo fu eletto rappresentante degli studenti). Quando i 3-4 malintenzionati lo braccavano, si creava intorno a loro una cerchia di spettatori preoccupati. Il ragazzo, allora, iniziava a muoversi in cerchio, come una danza, e si rivolgeva al pubblico. Indicava uno ad uno gli spettatori, li chiamava per nome, e gli chiedeva cosa ne pensavano della situazione, invitandoli a dire la propria e a prendere posizione. E’ veramente difficile restare in silenzio quando qualcuno ti indica e ti “passa la palla” di fronte a 10-20 persone! Alla fine il pubblico si mobilitava, lo schema si rompeva e i bulli rinunciavano perché avevano perso il controllo della situazione.
3. Utilizza la comunicazione assertiva.
L’assertività è la capacità di utilizzare, in ogni situazione, una comunicazione che rende altamente probabile reazioni positive nelle persone, annullando o riducendo le reazioni negative.”
– James Libet, psicologo
Hai mai sentito parlare di “comunicazione assertiva“?
La comunicazione assertiva è un modo di comunicare che ha come obiettivo quello di stabilire delle buone relazioni sociali con gli altri.
Chi utilizza tecniche di comunicazione assertiva è in grado dipromuovere le proprie idee senza che gli altri si sentano minacciati,finendo con il convincerli a fare ciò che si chiede.
Dale Carnegie è uno dei massimi esponenti di questa disciplina, avendo pubblicato quasi un secolo fa un best-seller intitolato “Come trattare gli altri e farseli amici“.
    
Consiglio numero tre: usa l’assertività contro il prepotente.
Signa Whitson, esperta di comportamenti aggressivi, consiglia di utilizzare l’assertività rispondendo ai bulli con frasi dirette e prive di emozioni.
L’assertività fa capire al prepotente che la vittima non ha intenzione di essere maltrattata, quindi manca quell’elemento di “sfida” che inebria di potere il bullo.
In mancanza di ciò, la sua attenzione si dirige verso altro.

4. Agisci immediatamente, senza esitazione.

Signa Whitson aggiunge un altro suggerimento per uscire dal circolo vizioso del bullismo:

“Più a lungo un bullo si accanisce sulla vittima, più forte diventa.
Capita spesso che il bullismo nasca da piccoli gesti fastidiosi, come dare nomignoli offensivi o deridere eccessivamente l’altro quando commette un errore.
Dopo che il bullo ha “sondato le acque” e ha capito che può spingersi più in profondità e trovare una sfida più intrigante (vedi il punto 3.), allora le aggressioni aumentano di numero e di gravità.”

Consiglio numero quattro: il gioco va fermato all’inizio.
Non ridacchiare quando qualcuno ti prende leggermente in giro o ti fa uno “scherzetto”.
Ingenuamente, potresti pensare che è un segno di riconoscimento, come se il burlone ti stesse facendo capire che sei un “membro del gruppo”, un amico con cui si può scherzare.
Non è così.
Ho personalmente visto situazioni partite come scherzi goliardici e finire come veri e propri assalti, con i bulli che scaricavano un intero bidone della spazzatura sulla testa del povero malcapitato, umiliandolo di fronte a centinaia di studenti.
Conclusioni.
Ovviamente le situazioni cambiano in base al contesto.
Ti troverai in situazioni in cui è impossibile fermare la violenza: chi hai di fronte è uno squilibrato, vuole in assoluto danneggiarti, come è il caso delle baby gang.
In questi casi non puoi fare altro che difenderti e fuggire, per evitare problemi più grandi.
In generale, però, la stragrande maggioranza del bullismo che si presenta a scuola, in famiglia e sul lavoro riguarda questi piccoli giochi di poteri.
I suggerimenti che ti ho dato dovrebbero esserti utili per spostare l’equilibrio dalla tua parte e vincere intelligentemente lo scontro, senza nemmeno farlo iniziare.

Autrice: Carlo Balestriere
Fonte: www.pscicologiaapplicata.com
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mercoledì 14 marzo 2018

Salviamo la tenerezza

SALVIAMO LA TENEREZZA


Siamo una società al capolinea; una società che si sta suicidando? Non vogliamo crederlo: l'uomo è programmato per togliersi d'impaccio. Resta, comunque, il fatto che la barca del mondo naviga in acque agitate come mai. Ha bisogno di sostegno per evitare il naufragio. A offrire tale sostegno mira la nostra proposta.

Salviamo la tenerezza. Un salvataggio prezioso! “Tenerezza” è parola di nove lettere, ma di spessore enorme. Più che parola, è un vocabolario, una miniera: più la scavi e più trovi. Godiamoci, dunque, la nostra parola affascinante e preziosa. 
La tenerezza è un coraggio senza violenza, una forza senza durezza, un amore senza ira. È soprattutto pace: il contrario della guerra, della crudeltà, dell'aggressività, della violenza, dell'insensibilità. È rispetto, protezione, benevolenza. È il rifiuto assoluto di far soffrire qualunque altra creatura. 
Sii gentile con chiunque tu incontri, perché sta combattendo una grande battaglia. E nessuno di solito se ne accorge.


Tenerezza è: 
• salutare per primi 
• accorgersi che la minestra è buona 
• controllare l'acqua nella vasca dei pesci 
• lasciare il cellulare e passare alla stretta di mano 
• ricordarsi dei compleanni 
• chiamare per nome 
• usare parole balsamiche 
• offrire una coperta a chi trema di freddo 
• essere presente, non invadente.

La tenerezza: 
• ascolta senza guardare l'orologio 
• preferisce portare un fiore ai vivi che accendere un cero ai morti 
• ama dire 'noi', più che dire 'io' 
• rifiuta l'arroganza 
• scioglie i grumi del cuore 
• risponde con un sorriso 
• non alza la voce 
• non invita la televisione a tavola: preferisce il contatto visivo al contatto televisivo 
• accarezza la mano del malato, più che subissarlo di parole 
• consola 
• condivide 
• sta 'insieme' e non solo 'accanto' agli altri.

Insomma, la tenerezza non è tenerume, non è melassa: è ricchezza, da proteggere e salvare ad ogni costo! La tenerezza è il lubrificante dei rapporti umani, il condimento della vita. Se salta la tenerezza, trionfa la crudeltà. 
Alcuni anni fa in una casa della periferia di Tokyo è stato trovato un uomo infagottato e rimpicciolito nel pigiama. Era morto da 20 giorni e nessuno si era accorto della sua scomparsa, né i suoi due figli, né i colleghi di lavoro. 
Basterebbero venti milioni di italiani (a cominciare dai lettori!) conquistati dalla tenerezza, per far sì che l'Italia diventi l'anticamera del paradiso.

REGALARE GENTILEZZA 
È una gelida giornata invernale a San Francisco negli Stati Uniti. Una donna su una Honda rossa, con i regali di Natale accatastati sul sedile posteriore, arriva al casello del pedaggio per il ponte sulla baia. 
Pago per me e per le sei auto dietro di me” dice con un sorriso, consegnando sei biglietti per i pendolari. Uno dopo l'altro, i sei automobilisti arrivano, dollari in mano, solo per sentirsi dire: «Una signora là davanti ha già pagato il biglietto per lei. Buona serata!”. 
La donna della Honda (si venne a sapere, poi) aveva letto su un biglietto attaccato con nastro adesivo al frigorifero di un amico: “Praticate gentilezza a casaccio e atti di bellezza privi di senso”. 
La frase le sembrò rivolta direttamente a lei e se la ricopiò. Anche a suo marito Frank piacque tanto che l'appese alla parete dell'aula ove insegnava. Tra gli alunni vi era la figlia di una giornalista locale. La giornalista la trascrisse nella sua rubrica sul quotidiano. 
Ora la frase si sta diffondendo sugli adesivi, sui muri, in fondo alle lettere e ai biglietti da visita. 
Ecco: “Praticate gentilezza!”. 
La gentilezza può generare gentilezza, tanto quanto la violenza può generare violenza.

UNA STORIA DEGLI INDIANI D'AMERICA 
Durante un anno di grande fame e difficoltà per una tribù, una nonna e il suo nipotino un giorno se ne stanno seduti assieme a parlare. 
La nonna pensosamente dice: «Sento nel mio cuore che due lupi stanno lottando: uno è rabbia, odio e violenza; l'altro è amore, compassione e perdono». 
«Quale vincerà la lotta per il tuo cuore, nonna?», chiede il bambino. 
E la nonna risponde: «Quello che io nutro di più».

Autore: Pino Pellegrino
Fonte:www.biesseonline.org

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