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venerdì 20 giugno 2025

La mancanza di cultura segna i ragazzi

Rubrica: Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati

LA MANCANZA DI CULTURA SPESSO SEGNA  I RAGAZZI 

Situazioni di profondo disagio spesso derivano da mancanze culturali, da genitori poco o affatto istruiti che non riconoscono il valore della scuola. Un ragazzo educato al pensiero non si omologherà alla massa che gli dirà di obbedire alle regole della strada, del dittatore di turno, della violenza di gruppo.

"La mancanza di cultura genera miseria".

Stasera rifletto su una delle principali motivazioni che spingono l'inserimento di un minore in una comunità educativa.

<<Il ragazzo o la ragazza dice parolacce, parla solo in dialetto, è oppositivo, fuma e fa uso di sostanze, ha atteggiamenti promiscui, vive in condizioni igieniche non adatte, abbandona la scuola, vive per strada. Nell'ipotesi più orribile il minore ha subito un abuso. Il minore è vittima di triangolazione genitoriale>>.

Molti dei nostri ragazzi derivano da situazioni di profonde mancanze culturali. Finanche i problemi economici hanno spesso una matrice sociale e culturale.

Genitori poco o affatto istruiti che non riconoscono il valore della scuola come istituzione che educa al "pensiero" poiché incapaci essi stessi di pensare. Genitori, deliranti di onnipotenza, poco o affatto in grado di gestire un conflitto sono in grado di smuovere universi pur di non ammettere un fallimento, piuttosto di ammettere "l'umiliazione" di una scusa, piuttosto che imparare a "litigare".

Genitori non educati all'igiene, al rispetto, alla "cura".

Molti dei nostri ragazzi sono cresciuti essendo figli di tutto questo.

Ricordo il manuale di Pedagogia Generale; recitava: "la famiglia è la prima e la più importante agenzia educativa".

La prima e la più importante agenzia educativa e spesso fa acqua da tutte le parti. Come può educare?

Figli della strada.

La strada, penso ai miei libri su Padre Pino Puglisi, istiga i ragazzi alla durezza, alla sopravvivenza, alla freddezza, all'odio verso le istituzioni da cui spesso si sentono abbandonati e non protetti, istiga i ragazzi alla delinquenza, quale facile inclinazione all'ottenimento di risorse economiche necessarie alla sopravvivenza e garanti di una vita degna di chi ha sofferto tanto. In strada si parla il dialetto perché quella è la lingua d'appartenenza; in strada non v'è bellezza. In strada gli adulti sono datori di lavoro del malaffare o nemici dell'infanzia che un tempo fu negata.

Molti dei nostri ragazzi derivano da ambienti di povertà economica derivanti dall'incapacità di genitori di rimboccarsi le maniche, dalla non voglia di agire, dalla voglia di lamentarsi del tutto.

Molti dei nostri ragazzi sono figli di genitori privi di cultura, che si annoverano fra la voglia di evadere dai doveri genitoriali e dalle regole. Privi di qualsivoglia gentilezza perché non sono anch'essi mai stati educati ad essa.

Un ragazzo abbandonato, che sa di essere solo, che ha vissuto per strada sa che deve sopravvivere non "vivere". Un ragazzo che vive per strada dipinge le strade dei suoi colori perché le pareti di casa sono i muri abbandonati delle periferie. Una ragazzo abbandonato parla il dialetto perché nessuno gli ha mai parlato del viaggio fantastico di Dante Alighieri, nessuno gli ha mai detto della voglia di Leopardi di scappare dai suoi genitori e da quella casa prigione, nessuno ha mai parlato dell'orgoglio di Socrate, nessuno gli ha mai detto il perché del definire la Guerra ed i totalitarismi pericolosi perché uccidono, il Perché il Brunelleschi realizzò una cupola impossibile, il perché l'arte dona all'uomo speranza di bellezza, il perché le poesie furono il principio della canzoni a cui ci si appiglia con forza, nella speranza di sentirsi meno soli, nessuno gli ha mai letto da bimbo un albo illustrato, e lasciato che si sognasse su quelle meravigliose immagini.

Ci sono casi e casi e su questo non v'è dubbio. Ma spesso i nostri ragazzi, con i loro racconti, dimostrano che la misera è figlia indiscussa della non conoscenza, della non cultura.

Il pensiero educa al confronto, educa alla messa in discussione, educa alla riprogettazione, educa alla non lamentazione, educa alla ricerca, educa alla bellezza.

In che modo vi chiederete?

Ebbene un ragazzo educato alla bellezza di perdersi in un quadro, non imbratterà mai un monumento. Un ragazzo educato alla buona musica saprà scegliere di non parlare male dei primi ribelli che scrissero le prime note della musica classica perché la ribellione insita in quella musica la sentirà vibrare nell'anima. Un ragazzo educato al pensiero non si omologherà alla massa che gli dirà di obbedire alle regole della strada, del dittatore di turno, della violenza di gruppo. Un ragazzo educato alla cultura del sesso non diventerà genitore in così tenera età, rischiando per questo di non essere in grado di gestire due o tre figli nati anch'essi nell'ignoranza che vivranno inevitabilmente per strada creando tortuosi circoli di continue ed inevitabili richieste d'intervento per il sostegno delle marginalità sociali.

Stasera ascoltavo una ragazza sbraitare contro un mondo di gente che non la comprende ed è colpevole gravemente di questo, ed è colpevole perché non è stata educata ad ascoltare il grido di una ragazza cresciuta troppo in fretta.

Il dialetto è meraviglioso quando è amore verso il proprio paese non quand'è difesa da un mondo per cui o sei così o sei fuori.

La non cultura genera miseria.

La cultura genera conoscenza, indipendenza, unicità, riconoscimento della specialità e della differenza, ricerca...

Ora mi chiedo se non siano queste le competenze in grado di combattere bruttezza, degrado ed abbandono...

Mi ostino all'idea che bisogna leggere libri, non arrendersi alla bruttezza di chi non conosce bellezza, insistere nella cultura perché educa alla vita.

Stasera pesco questo libro dalla libreria degli educatori.

Lo osservo e penso.

Penso che i nostri ragazzi sono attori itineranti su palcoscenici distrutti.

Il nostro lavoro è nascosto nel tentativo di donare loro gli strumenti per costruire teatri sempre più belli, in cui esibire la loro storia ed il proprio coraggio con orgoglio.

La cultura costruisce teatri, strade, musei, giardini, case, quartieri e speranze.

La cultura dona ad in nostri ragazzi la possibilità di esibirsi sul palcoscenico della vita con un copione differente da quello preimpostato, diverso da quello che ha visto i loro genitori crollare sotto il peso delle loro stesse scelte, della loro propensione a desistere, della loro lontananza dal bello, dal valore, dalla giustizia che un bambino merita.

Uno che racconti della complessità di un mondo che spesso si dimentica quanto sia difficile restare sotto i riflettori della vita mentre tutti ti osservano e nessuno ti guarda.

Dott.ssa Pittari Chiara

(Pedagogista, Educatrice presso la Casa Famiglia Murialdo)

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Cos’è la rubrica: Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati

Da un po’ di tempo la mente di noi educatori è talmente colma di pensieri e riflessioni che spesso straripa . Lo scrivere è diventato per noi salvataggio indelebile, la messa al sicuro dei momenti della vita che trascorriamo con in nostri ragazzi.

Noi educatori spesso la notte scriviamo pagine di una vita vissuta fra le mura condivise con degli sconosciuti che a tratti riescono a sentirsi parte di una casa, parte di una famiglia

Un giorno abbiamo deciso di raccontare e di raccontarci per mostrare anche oltre le nostre mura, la bellezza di una giornata trascorsa assieme ai nostri compagni di strada, la paura verso i giorni che verranno, gli aneddoti divertenti dei giorni di sole e le tempestose giornate di pioggia.

Raccontare è per noi un dono ed è prezioso perché permette di rivederci nello specchio e comprendere che vi è sempre da imparare, perché noi danziamo  e danziamo col vento.

mercoledì 4 giugno 2025

Il lavoro in Casa Famiglia

IL (DURO) LAVORO IN CASA FAMIGLIA


<<Ciao Chiara, ti chiamavo per chiederti se avessi il piacere e la voglia di lavorare con noi. La casa famiglia femminile è rimasta scoperta di un'unità e abbiamo pensato a te. Fammi sapere se sei interessata e...spero tanto che l'idea di tornare a lavorare qui, ti faccia piacere>>.

Credo che fu, senza prova di dubbio, l'anno più difficile della mia vita fino a questo momento. Fu un anno turbolento, insidioso. In quell'anno le possibilità di lavoro erano diventate sempre più complesse e, ahimè, ridotte. Per la prima volta in tutta la mia vita ero pronta per andar via dalla mia amata Lucera perché il non lavorare, per chi come me, aveva la testa piena di sogni, per chi in delirio di onnipotenza si era innamorata di quella cultura intrisa di lavoro e voglia di trovare il proprio posto nel mondo, la stessa cultura con la quale i sapienti libri avevano forgiato i miei ideali, il non avere un futuro...era una prospettiva terribile. In un solo anno avevo provato la gioia di avere un lavoro, l'angoscia di perderlo, il vuoto di frasi eteree che galleggiavano nell'aria sulle note impietose di "le faremo sapere" e l'amarezza per il nulla che appariva tetro e macchiava di scuro il mio futuro.

"Ti offriamo 100 euro al mese con prospettive di aumento. Non occorre la laurea, richiediamo dalle 8 alle 12 ore di lavoro ma potrebbe esserti richiesta maggiore disponibilità anche nei festivi. Tu non sei di qua vero? Comunque il trasporto è a carico tuo" Ricordo frasi di questo tipo e... quella stretta allo stomaco.

Piansi molto quell'anno... tutte le mia certezze stavano andando in fumo.

Avevo trascorso tutta una giovinezza a pensare alle cose straordinarie che la vita mi avrebbe riservato, eppure la vita, in quel momento, si stava prendendo beffa di me.

In poco tempo fui disoccupata, maestra d'asilo, ragazza alla ricerca e pronta ad andare via ed... educatrice.

In agosto Marco mi chiamò per chiedermi se avessi voluto lavorare in comunità. Ricordo che dissi: sì. Fu un "si" liberatorio, istintivo e ...felice.

<<Lavoro>>...qual parola complessa.

Ripensai al tirocinio che decisi di svolgere proprio in quella cooperativa, per conoscere quella realtà a cui ambivo, a Lucia che mi faceva da Tutor e sapientemente educava la mia mente a sperimentarsi e a correggersi; ripensai al volontariato, al progetto di Assistenza Domiciliare Educativa ADE che avevamo cercato di ripristinare in ogni modo...

Un lavoro, nella terra che ho sempre amato.

Un lavoro per il quale avevo studiato.

Era utopia...eppure ad un tratto era...vero.

Ricordo che il Presidente mi disse: << è un lavoro duro, impegnativo ma che, se fatto nel modo giusto e non so dirti quale sia perché lo scoprirai da te, darà soddisfazioni e certe volte tristezze e batoste. È un mestiere, quello dell'educatore, che prevede turni, notti e spesso festivi trascorsi a lavoro e talvolta emergenze...se scegli di farlo devi sapere che le condizioni sono queste.

Un ragazzo che piange di notte, beh quello è il tuo lavoro, vorrei saperti dire di più, ma è solo facendo che potresti comprendere>>

Il primo giorno mi accolse una signora gentile dai capelli corvini; mi accolse in quella casa che chiamavano: "casa famiglia" e mi spiegò cosa fosse e chi ci vivesse e ... perché.

Cosa fosse il Murialdo e l'opera San Giuseppe, le idee e le speranze celate al di sotto di quei mattoni rossastri ed in quei campetti preservati con cura da abili mani, cosa fosse quella casa, chi fossero quelle ragazze e quei ragazzi erano una incognita per me.

La mia prima notte guardai fuori da questa finestra e mi sentii grata e ansiosa e timorosa di sbagliarle tutte.

Anche stanotte guardo quella finestra...

Ho messo a dormire la bimba piccola e le ho dato una carezza, ho cucinato le piadine per delle adolescenti affamate, ho parlato con le ragazze di tutto e di niente...abbiamo fatto una passeggiata ed una di loro ha chiesto: "torniamo a casa? Ho una voglia di stare nel mio letto col venticello".

Torniamo a casa....nel mio letto.

Queste parole mi hanno scaldato i ricordi delle ragazze e dei ragazzi che ho visto passare per di qui, incrociare le loro storie con le mie. Penso a quanti pannolini sono stati cambiati, a quanti bagnetti, allo zaino nuovo, appena comprato per il primo giorno di scuola, appeso nell'ingresso, a quanti compiti, a quante torte, alle chiacchiere di notte, agli incubi che l'oscurità porta con sé, ai progetti...

Sono trascorsi gli anni...ed io benedico ancora quella finestra che mi accolse benevola, il primo giorno, con la sua brezza.

Sono già trascorsi anni...e a poco a poco questa casa è diventata un po' anche la mia.

Il poeta Ligabue cantava:

"Una vita da mediano, a recuperar palloni....Una vita da mediano

Da chi segna sempre poco,

Che il pallone devi darlo

a chi finalizza il gioco".

Quella chiamata, quel contratto, quelle scelte all'epoca prive di senso, quel si...mi portarono qui, come Oriali a vincere...caso mai i miei mondiali.

Con l'università scelsi di giocare la mia partita...poi la vita fece il resto.

Ed io son qui...

Dott.ssa Pittari Chiara

(Pedagogista, Educatrice presso la Casa Famiglia Murialdo)

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giovedì 22 maggio 2025

Che sapore ha la vita?

Rubrica: Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati

 CHE SAPORE HA LA VITA?

A volte basta un film per far emergere mille emozioni, mille riflessioni, gesti inaspettati e insegnamenti inattesi. 

Certe volte la naturalezza degli eventi sorprende e forse ci cambia dentro.

Quando la serata procede senza intoppi mi sembra quasi di essere a casa; in una casa come tante.

Nel forno i muffin per la colazione diventano buffe cupolette che profumano di cioccolato, la tovaglia è ancora sulla tavola perché la ritardataria di turno sta mangiando il suo panino mentre racconta gli avvenimenti della serata. Da lontano giunge il rumorino dello spazzolino che strofina i dentini della più piccola mentre lei è nel suo bagnetto e balla e canticchia a bocca chiusa; la vocina eccheggia sulle pareti del bagno e viaggia allegra fino alla cucina.

Due figure affamate si muovono attorno al forno nell'attesa della cottura che sperano essere la più veloce della storia.

 <<Come fai a capire quando sono pronti?>> Chiede una fra loro osservando i dolcetti con la massima attenzione per capire se il momento sacro è finalmente giunto.

<< Quando non li vedi più nel forno perché li ho mangiati tutti io!>>  ridacchia la piccola mentre con la mano le dà dei colpetti sulla fronte.

Siamo state talmente veloci a cenare che siamo in anticipo con la tabella di marcia della preparazione degli zaini, dei vestiti per l'indomani e della nanna.

<<Ci vediamo un film????? Ti preeeeeego>>

Lasciamo alla TV o forse alla sorte la scelta del film. La locandina con il cane le convince: "Io & Marley", ecco cosa vedremo stasera.

Per tutti gli amanti dei cani quel film, si sa, è devastante; io (proprio perché so) non sono molto felice della scelta. La piccola si sistema sulla sedia con il suo pigiamino fucsia ed i calzini a strisce arancioni, la più grande nel suo pigiama rosa si appoggia alla sedia mentre mangia ben tre pezzi del dolce che "dovrebbe" arrivare alla colazione di domani. Loro guardano il film, io rassetto. A bassa voce con la grande si parla dei programmi della settimana, dei vestiti, degli amici. Ogni cosa scivola lenta e piacevole.

Marley intanto cresce, ne combina di tutti i colori; la cucina è pulita ma profuma ancora e meravigliosamente di cacao.

Io, intanto, ho finito i miei servizi e mi siedo con le due piccole. Inizia quella parte del film che per me è sempre stata terribile: il cagnolone è stanco, più bianco di quanto non sia mai stato, e non ha più la forza di alzarsi. Nella mia mente torno indietro a qualche mese fa, a quando nello stesso modo il mio di cagnolone ci avvisava della sua stanchezza...

I miei occhi resistono ma ad un certo punto rilasciano come rubinetti gocce su gocce di lacrime. La più grande stacca per un secondo gli occhi dallo schermo, prende un tovagliolo e me lo porge, senza dire una parola. Poi si riappoggia con il capo al mio braccio, stringendomi la mano.

Il film prosegue il suo racconto fino ai titoli di coda. Rattristate io e la più grandicella ci alziamo. La piccola no, lei è seduta in silenzio con la manina davanti agli occhi. La più grande la abbraccia e le dà un bacio sulla guancia.

Stupidamente credevo non avesse compreso che il cagnolino non ce l'aveva fatta. Lei invece in tutta la sua dolcezza racconta: <<Mi sento triste perché il cane è morto, lo so che era grande ma mi dispiace tanto.>> Crescendo lei ha sviluppato una grande passione per gli animali e stasera ha dimostrato, in tutta la sua dolcezza, la sensibilità più pura che possa appartenere a questo mondo. Mi sento una vera idiota per aver pensato che non potesse capire la scena.

Siamo in camera e riempiamo la cartella con i giusti libri, prepariamo la merenda, rimbocchiamo le coperte. Scegliamo con cura il risveglio per domani perché dovete sapere che da noi il risveglio ha delle parole ben precise. <<Buongiorno principessa, buongiorno arcobaleno, unicorno, amore, fiorellino, stellina, poetessa, pittrice... Ecco domani mi svegli così, con tutti questi buongiorno.>>

Le coperte sono tirate sulla sua testa ed i lunghi capelli inondano il cuscino.

Avverto il rumore della lavastoviglie che si apre perché ha terminato il programma del lavaggio.

Intanto c'è l'ultimo abbraccio, l'ultimo "Ti voglio bene", l'ultimo bacio e l'ultima sistemata sulle coperte.

<<È triste se vuoi bene tanto a qualcosa e poi quella cosa non c'è più, tu volevi bene al tuo cane. Anche io ti voglio bene>>. È una nanetta, nel mio gergo comune si chiama "Pulce" la personcina che ha pronunciato questa frase. Eppure la pulce ha dimostrato ancora una volta quanto poco crediamo alla sensibilità dei bambini.

In questo periodo, come non mai, mi sono chiesta quale sia il sapore della vita; quali siano il rumore, l'odore, il valore della vita.

Questa sera sono giunta ad una conclusione.

La vita ha il sapore di muffin al cacao, i colori del pigiama con le pecorelle. Ha il rumore delle sedie che si spostano dalla tavola e della lavastoviglie in funzione. La vita ha il sapore delle lacrime salate miste a quelle della tisana alla cannella. La vita ha il calore di una mano che ti porge il tovagliolo per asciugarti gli occhi dal ricordo di un cagnolino che non c'è più. La vita è il "track track" del letto mentre la pulce si rigira in cerca della sua posizione preferita per dormire.

La vita normale riempie una casa che spesso di normale ha quasi nulla.

Stasera credo che alle volte la "normalità" profumi di avventura, come quando si è piccoli e si gioca a nascondersi su una casa sull'albero. La normalità stasera mi riempie le narici, mi fa gioire senza un perché, mi fa piangere e mi fa venire voglia di non essere da nessun'altra parte se non qui con le mie compagne di viaggio.

Il turno di notte in Casa Famiglia si gode la gioia del suo tempo lungo...ed io con esso.

Dott.ssa Pittari Chiara

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mercoledì 7 maggio 2025

Vivi autenticamente

 VIVI AUTENTICAMENTE

Una splendida lettera di un padre a suo figlio


Caro figlio,

mentre ti scrivo queste parole, il cuore è colmo di speranza e di amore. Spero che tu possa leggere tra le righe non solo consigli, ma anche il mio più profondo desiderio di vederti crescere come uomo integro, felice e realizzato.

1. Sii sempre fedele a te stesso

La vita ti metterà spesso alla prova, cercando di farti conformare a modelli che non ti appartengono. Ricorda: la vera forza risiede nell'autenticità. Non aver paura di essere diverso, di seguire il tuo cuore anche quando il mondo sembra andare in direzione opposta. La tua unicità è il tuo valore più grande.

2. Tratta gli altri con gentilezza e rispetto

La gentilezza non è mai sprecata. Ogni gesto di compassione, ogni parola di conforto, costruisce ponti tra le persone. Tratta gli altri come vorresti essere trattato, senza mai aspettarti nulla in cambio. La vera ricchezza si trova nelle relazioni sincere e nel rispetto reciproco.

3. Accogli le sfide come opportunità di crescita

La vita non è fatta solo di successi, ma anche di fallimenti. Non temere gli ostacoli; sono occasioni per imparare, per diventare più forte e più saggio. Ogni difficoltà superata ti avvicina alla persona che sei destinato a diventare.

4. Prenditi cura di te stesso

Il corpo e la mente sono i tuoi compagni di viaggio più fedeli. Nutri il tuo corpo con ciò che è sano, fai movimento, riposa quando necessario e, soprattutto, ascolta le tue emozioni. Solo prendendoti cura di te stesso potrai affrontare con energia e serenità le sfide della vita.

5. Coltiva relazioni sincere

La famiglia e gli amici sono il tuo rifugio nei momenti di tempesta e la tua gioia nei giorni di sole. Investi tempo ed energie nelle persone che ti vogliono bene e che ti sostengono. Le relazioni autentiche sono il tesoro più prezioso che puoi avere.

6. Segui le tue passioni

Non accontentarti di una vita che non ti appassiona. Cerca ciò che ti fa battere il cuore e dedicaci il tuo tempo. La felicità si trova nel fare ciò che ami, non nel fare ciò che gli altri si aspettano da te.

7. Gestisci le tue finanze con saggezza

Il denaro è uno strumento, non un fine. Impara a risparmiare, a spendere con consapevolezza e a non lasciarti sopraffare dal consumismo. La vera sicurezza si trova nella libertà di fare scelte indipendenti, non nell'accumulo di beni.

8. Esplora il mondo

Viaggiare ti arricchisce, ti apre la mente e ti fa comprendere la bellezza della diversità. Non limitarti al conosciuto; cerca nuove esperienze, nuove culture, nuovi orizzonti. Ogni viaggio è un'opportunità di crescita e di scoperta.

9. Pratica la gratitudine e il perdono

La vita è imperfetta, e anche tu lo sei. Impara a perdonare te stesso e gli altri. La gratitudine trasforma ciò che abbiamo in sufficienza e ci permette di vivere con serenità. Riflettere su ciò che di buono c'è nella tua vita ti aiuterà a mantenere la pace interiore.

Caro figlio, questi sono i miei consigli per te, frutto delle esperienze vissute e dell'amore che ti porto. Spero che tu possa portarli con te nel tuo cammino, come una bussola che ti guida verso una vita piena e soddisfacente.

Con tutto l'amore di un padre.

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martedì 29 aprile 2025

Quando un bambino viene criticato smette di amarsi

 QUANDO UN BAMBINO VIENE CRITICATO, NON SMETTE DI AMARE. SMETTE DI AMARSI.

Ci sono parole che restano incollate alla pelle.

Non si vedono, ma si sentono.

Crescono in silenzio e diventano voce interiore.

Quella voce che un giorno dirà:

“Non valgo abbastanza.”

“Non sono capace.”

“Non merito.”

Le neuroscienze oggi ci confermano ciò che il cuore già sapeva: il cervello dei bambini e delle bambine si sviluppa attraverso relazioni affettive sane, empatiche, rispettose.

Ogni parola, ogni sguardo, ogni tono di voce lascia una traccia.

La qualità dell’attaccamento influenza la percezione di sé, la capacità di apprendere, di fidarsi, di vivere.

Le sinapsi non si formano solo con stimoli “giusti”, ma con la qualità dell’affetto ricevuto.

Un bambino e una bambina criticati costantemente non smettono di amare chi li critica.

Smettono di fidarsi di sé.

Cominciano a dubitare del proprio valore.

E invece di crescere liberi, autonomi, sicuri, crescono in difesa.

I bambini e le bambine sono persone. Intere.

Degne di rispetto, da subito.

Non quando saranno più grandi, non quando “capiranno di più”.

Adesso. Qui. Come sono.

E allora chiediamoci, con coraggio:

Che impronta lasciano le nostre parole?

Cosa insegniamo con i nostri silenzi, con i nostri giudizi, con la fretta di correggere?

Educare non è aggiustare.

È accompagnare, proteggere senza soffocare.

È saper stare accanto con cura, anche quando si sbaglia, anche quando si cade.

Ogni bambino e ogni bambina hanno diritto a uno sguardo che dica “Tu vai bene così”

Uno sguardo che non misura, non corregge, non confronta.

Ma accoglie. 

Ogni bambina e ogni bambino hanno bisogno, prima ancora delle parole, prima ancora delle proposte educative, di essere sentiti e tenuti.

Sentiti e tenuti dentro una relazione sicura che faccia sentire interi, amati.

Perché solo quando ci si sente amati, si impara ad amarsi.

E da lì… tutto può fiorire.

Autori: Gianluca Lo Presti Ilenia Schioppetti

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giovedì 24 aprile 2025

Quando finirà tutto questo

 Rubrica: Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati 

QUANDO FINIRA’ TUTTO QUESTO?

Una bambina è triste, si chiede quando tutto tornerà a posto, quando tutto questo finirà, quando i suoi problemi svaniranno. Questo purtroppo non lo sappiamo, ma sicuramente non la lasceremo mai sola a navigare in questo mare in tempesta, noi ci saremo sempre al suo fianco.


Il rientro dalle vacanze non è mai una cosa semplice. Buffa l'idea che qualcuno desidera ardentemente di andare via da qui; al tempo c'è qualcuno che vorrebbe andare via ma non saprebbe dove e da chi e chi invece di andare via non è ha molta voglia o forse a pensarci bene di buffo qui... non c'è proprio nulla.

L'ambivalenza di una casa famiglia è spaventosa certe volte.

Stasera il suo sguardo, di solito così attento e vigile, è fisso su di me ma è volto verso il basso ed è così incredibilmente indifeso. Le lunghe ciglia avvolgono, come in un abbraccio, gli occhioni scuri inondati di lacrime.

L'ho già visto quello sguardo... Era di un'altra bimba.

La paura che questa fase della sua vita duri per sempre è tanta, troppa da reggere a questa età.

So che lei cerca oltre il mio sguardo la risposta o forse la data esatta in cui tutto questo finirà, in cui tutti i suoi problemi svaniranno, la gloriosa data entro il quale ogni cosa si rimetterà al suo posto. Scava con gli occhi nella mia mente per cercare questa risoluzione magica...

Ma io questa data non posso e non so dargliela perché mi è ignota esattamente come lo è per lei.

<<Perché i grandi sbagliano e io ci vado di mezzo... Che c'entro io? Io non ho fatto niente.>>

Le lacrime cadono lente sul pigiamino rosa.

<<Quando finisce tutto??!>>

Le parole in questi casi svaniscono dalla mia bocca. Sembra quasi che la mia voce si rintani da qualche parte nella gola per proteggersi da quelle domande.

Osservo la libreria e i libri che pian piano la stanno riempiendo.

Conosco la sua passione per i libri e per le storie e mi appello alla fantasia, perché forse solo quella può accorrere in nostro aiuto stasera.

<<Non sono mai gli eroi a cercare le avventure, è la vita che gliele propone o forse il fatto o forse un incantesimo o forse la sfortuna, pensaci. Tu sei come un'eroina dei tuoi libri. C'è una storia, dei personaggi e tutto procede tranquillo finché non accade un qualcosa che cambia tutto.

Quando senti che tutto è buio, che tutto è incerto, immagina di essere su una nave, immagina di essere una pirata. Ti ci hanno portato su questa nave, tu non sapevi nemmeno che esistesse e perché e non ci volevi e non vuoi neppure salirci. Ma ora ci sei dentro e per un tratto di tempo indefinito sarai parte di questa ciurma, affronterai mari sereni e tremende burrasche, sirene ammalianti e draghi dalle mille spire e la nave si incaglierà qualche volta su scogli aguzzi, sembrerà che stia per affondare ma l'equipaggio farà di tutto per riportare te e me in mari più sereni. Il tuo è un viaggio.

Si, un viaggio e tu sei un pirata proprio come me stanotte.>>

Non so come mai la voce è apparsa tutta d'un fiato.

<<La nostra nave prosegue il suo corso procedendo per le varie tappe... Vedremo le stelle nei cieli più bui e impareremo a seguire una rotta o a invertirla se necessario.

Un giorno tu arriverai al tuo porto e dovrai scendere, questa è la sola certezza che ho: si arriva sempre a un porto. Scenderai e chissà magari un domani tutto questo ti sembrerà sia stato solo un sogno. Arriverà quel momento. Arriva sempre ed è giusto così>>

Le sue manine sono strette attorno all'orsetto marrone. Sembra stia ascoltando anche lui palpitante la nostra avventura. I suoi occhi ora sono spalancati.

Le nostre figure proiettano getti di ombre sul muro e sembra quasi si scorgere il profilo di una nave ed il muoversi delle onde.

<<E tu resti sulla nave? O scendi?>>

L'immagine di un galeone dalle vele maestose che si muovono spostate dal vento inonda la mia fantasia.

<<No, io resto sulla nave assieme al resto dell'equipaggio per continuare il viaggio fra le tante isole che dovremo conoscere.>>

<<E io? Io che faccio?>>il suo sguardo è spaventato.

<<Non temere, sarai diventata una pirata con i fiocchi. Avrai imparato che devi imparare ancora, avrai imparato che la vita è come il mare: percossa dalle onde e dai venti che modificano e influenzano le sue giornate. Affronterai le tue avventure perché sarai abbastanza forte ed al contempo fragile per farcela perché avrai imparato che la vita è come il mare e il nostro compito è quello di imparare a danzare con i venti.>>

La sua fortuna è quella di essere stata amata quando era molto piccola ed è vero. L'infanzia felice protegge dalle paure come un talismano. È questa la sua protezione, ma lei è ancora troppo piccola per capire. Dal momento esatto in cui tutto è cambiato la sua storia è mutata, ma lei può farcela, deve farcela perché il suo coraggio è potente.

<<Arriverà il momento...>>

La sua mano è chiusa attorno alla mia. Gli occhietti sono finalmente chiusi e il respiro è lento.

La casa tace e respira lenta come le sue dolci ospiti.

So che nella sua mente sta navigando su mari profondissimi.

Siamo pirati... Mi dico.

Forse io, in realtà, sono solo una sguattera, un misero mozzo su questa nave. Serro le vele, di tanto sfioro il timone, sto di vedetta, ma i veri pirati sono loro...

Il giorno in cui la vedrò scendere con tutti i suoi libri e la sua curiosità da questa maledetta nave, saprò che a terra vi sarà una persona coraggiosissima.

Il tempo del viaggio...

Pirati...

Forse visto così questo tempo lungo e imprevedibile spaventa meno.

Stanotte siamo pirati...

Arriverà il momento dell'ormeggio...

Per adesso vento alle vele.

Il mare è sereno.

Dott.ssa Pittari Chiara

(Pedagogista, Educatrice presso la Casa Famiglia Murialdo)

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Mercoledì prossimo  si rinnoverà l’appuntamento con

‘Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati’

 

Cos’è la rubrica: Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati

Da un po’ di tempo la mente di noi educatori è talmente colma di pensieri e riflessioni che spesso straripa . Lo scrivere è diventato per noi salvataggio indelebile, la messa al sicuro dei momenti della vita che trascorriamo con in nostri ragazzi.

Noi educatori spesso la notte scriviamo pagine di una vita vissuta fra le mura condivise con degli sconosciuti che a tratti riescono a sentirsi parte di una casa, parte di una famiglia

mercoledì 9 aprile 2025

Seminare, la base dell'educare

  SEMINARE, LA MOSSA BASE 

DELL’ARTE DELL’EDUCARE

L'educatore semina. Il genitore è un bravo seminatore. Semina perché il seme è molto più di una speranza: è una garanzia. Lo diceva bene il poeta libanese Kahil Gibran: "La tempesta è capace di disperdere i fiori, ma non è in grado di sradicare i semi". Però ricordate, come diceva San Bonaventura: "Il merito non sta nel raccogliere molto, ma nel seminare bene".

Educare è un arte che richiede pazienza: oggi si getta un seme...domani si raccoglierà.

Hanno trovato in Egitto chicchi di grano risalenti ai tempi dei faraoni; qualcuno li ha seminati: dopo pochi mesi ondeggiavano spighe ripiene di ottimo frumento!

Potenza del seme!

Per questo l'educatore crede nel seme.

Poco, tanto..., non importa: lui semina.

Semina fin dai primi giorni della vita del figlio.

Semina l'amore perché senza amore non si vive.

Semina il coraggio perché la vita è sempre in salita.

Semina la speranza perché la speranza è la spinta per continuare.

Semina l'ottimismo perché l'ottimismo è il motorino d'avviamento di tutto.

Semina un buon ricordo perché un buon ricordo può diventare la maniglia a cui aggrapparsi nei momenti di sbandamento.

Semina Dio perché Dio è il basamento di ogni cosa.

L'educatore semina!

Semina perché il seme è molto più di una speranza: è una garanzia. Lo diceva bene il poeta libanese Kahil Gibran (1883-1931): "La tempesta è capace di disperdere i fiori, ma non è in grado di sradicare i semi".

Al poeta libanese fa eco il grande scrittore russo Feodor Dostoevskij (1821-81): "Occorre solo un piccolo seme, un minuscolo seme che gettiamo nell'animo di un uomo semplice ed esso non morirà, ma vivrà nella sua anima per tutta la vita, resterà nascosto in lui tra le tenebre, tra il lezzo dei suoi peccati, come un punto luminoso, come un sublime ammonimento".

D'accordo al cento per cento!

Insomma il bravo genitore è un buon seminatore! Seminare è il suo primo dovere.

San Bonaventura (1217-1274) diceva: "Il merito non sta nel raccogliere molto, ma nel seminare bene" (Grazie per l'incoraggiamento!).

Seminare è la sua prima responsabilità.

Il proverbio recita: "Chi semina chiodi, non vada in giro scalzo!".

I cinesi hanno questa bella immagine: il bambino è come un foglio bianco, tutti quelli che gli passano vicino gli lasciano un segno, gli gettano un seme.

PREZIOSA È LA SERA

Il momento più propizio per seminare è la sera!

Di sera è più facile avere pensieri miti, pensieri di pace. La sera è benigna, è tenera, è discreta.

Per questo è l'occasione magica dell'incontro e dell'intimità.

Di sera sentono anche i sordi, perché di sera si parla con il cuore.

Non sprechiamo la sera!

Lo scrittore tedesco Johann P. Richter (1763-1825) era convinto che "le parole che un padre dice ai figli, di sera, nell'intimità della casa, nessun estraneo le sente al momento, ma alla fine la loro eco raggiungerà i posteri".

BOUTIQUE PEDAGOGICA

• "I bambini d'oggi sembra sappiano tante cose, e le sanno, ma sotto il bambino tecnologico c'è quello eterno che non può vivere senza l'affetto e l'amore di qualcuno" (Mario Lodi, maestro scrittore).

• "Il bambino non è un animaletto da addomesticare. Insegnargli a fare riverenze, smorfie, salutini, è ridicolo ed inutile. Non manchiamogli di rispetto. Anche se piccolissimo ha la sua dignità" (Marcello Bernardi, pediatra).

• "Nei grandi allevamenti dell'Ovest americano non è permesso, nelle fattorie, adoperare nessuna espressione volgare. Se una 'pedagogia animale' ha simili esigenze nelle regioni selvagge del Far West, può la 'pedagogia umana' rimanere indietro?" (F.W. Foerster, pedagogista).

• "Alla larga dalla saggezza che non piange, dalla filosofia che non ride, dalla grandezza che non si inchina davanti ai bambini!" (Kahil Gibran, poeta libanese).

Autore: Pino Pellegrino

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