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giovedì 30 marzo 2023

Non abbiamo tempo di guardarci negli occhi

 NON ABBIAMO TEMPO NEANCHE PER GUARDARCI NEGLI OCCHI

Uno dei segni della fretta che condiziona le persone del nostro tempo è l'incapacità crescente di comunicare con gli occhi. I contatti tra le persone si sono moltiplicati: internet, e-mail, telefonino... E ci stiamo dimenticando del contatto più semplice: il contatto visivo.

In famiglia, scompaiono le occasioni che consentivano alle persone di “guardarsi”. Una statistica afferma che il tempo medio che un genitore trascorre con un figlio adolescente è attualmente stimabile in 12 minuti al giorno. Anche il pasto della sera non viene più consumato insieme, per le troppe attività in cui ciascuno è impegnato e i diversi gusti televisivi. Dei 12 minuti, almeno 10 vengono impiegati per dare istruzioni o verificare l'esecuzione di quelle impartite il giorno precedente, gli altri minuti si esauriscono in questioni poco significative.

È così che diventa realmente possibile la preghiera ormai classica: «Signore, fammi diventare un televisore, così la mia mamma e il mio papà mi guarderanno un po' di più».

Il contatto visivo è guardare direttamente una persona negli occhi. La maggioranza della gente non capisce quanto questo contatto sia vitale. Quasi tutti però conoscono il disagio di una conversazione con qualcuno che guarda costantemente altrove e che è incapace di guardare in faccia l'interlocutore.

Le persone hanno bisogno di essere guardate. A che cosa servono le tante cure al vestito, al look, al corpo se non per attirare l'attenzione e lo sguardo degli altri? Anche il piercing, i tatuaggi e le spesso sconcertanti originalità degli adolescenti sono l'inquietante invocazione: «Guardatemi!».

Il contatto visivo è essenziale non solo per comunicare con i bambini ma per soddisfare i loro bisogni emotivi. Il bambino utilizza il contatto visivo con i genitori per nutrirsi emotivamente. Con gli occhi si comunica amore. Lo sanno bene gli innamorati. Tutti sentono la profonda emotività della frase «Mangiarsi con gli occhi». Anche l'evangelista Marco nell'episodio dell'incontro tra Gesù e il giovane ricco, afferma: «Gesù, fissatolo, lo amò...».

Lo sguardo dei genitori significa amore, attenzione reale, apprezzamento e interesse. Gli occhi dei genitori sono una fonte di valore e una forma di nutrimento morale ed emotivo. Un figlio moltiplica il proprio impegno se si sente guardato dai genitori. Purtroppo molti genitori sono occupati a far tante cose per i propri figli e poi si dimenticano di “guardarli”.

Ormai è provato: lo sguardo caldo e incoraggiante dell'insegnante aumenta l'impegno dell'alunno, lo aiuta a capire meglio ciò che gli viene detto. Così pure è certo che i bambini memorizzano meglio le fiabe raccontate guardandoli negli occhi.

Insomma, la mancanza del contatto visivo è un danno umano di non poco conto e non utilizzarlo sarebbe da irresponsabili. Anche perché esiste il pericolo della sua scomparsa (o quasi) a causa della inarrestabile e sempre più invadente comunicazione digitale! L'insidia è davvero alta. Il cellulare, il tablet, lo smartphone connettono, ma non mettono in relazione.

• I “connessi” non sentono la vibrazione dello stare vicino l'uno all'altro, del guardarsi, dello sfiorarsi.

• Si è scoperto che i ragazzi che chattano molto non arrossiscono più ed hanno difficoltà a fissarsi negli occhi. Questa è povertà umana!

• Nei campi di concentramento tedeschi era severamente proibito ai prigionieri guardare negli occhi le guardie di sorveglianza, per timore che queste avrebbero potuto intenerirsi ed essere meno dure.

I contatti sbagliati

Fin qui tutto pare correre liscio. In realtà non è così. Non tutti i contatti visivi, infatti, hanno valenza umanizzante.

Vi sono contatti sbagliati che danneggiano la nostra crescita umana ed altri che la favoriscono.

• Quello dell'occhio poliziesco dei genitori che controllano ogni mossa del figlio, lo pedinano tutto il giorno, gli soffiano continuamente sul collo, gli razionano i metri di libertà. L'occhio poliziesco non è fattore di crescita: potrà fare un disciplinato, ma non un educato. “Mai la catena ha fatto buon cane”, recita l'indovinato proverbio.

• Un secondo tipo di contatto visivo sbagliato è quello dell'occhio minaccioso, fulminante. “Guardami negli occhi!”, urlano alcuni genitori che si dimenticano che la paura non ha mai innalzato alcuno, ma ha sempre solo formato nani.

• Terzo tipo di contatto visivo sbagliato (il peggiore tra tutti!) è quello dell'occhio indifferente. L'indifferenza è sempre insopportabile: ti gela l'anima, ti fa perdere la voglia d'essere al mondo. L'indifferenza è la sorella gemella della crudeltà!

I contatti buoni

Passiamo ai contatti buoni.

• Contatto buono è quello dell'occhio generoso che vede ciò che nessuno vede.

Un tale si era innamorato della celebre cantante e ballerina Elena Sontag che vedeva stupenda.

Un giorno un amico gli disse: “Ma non hai notato che la signorina ha un occhio più piccolo dell'altro?”.

“Macché - ribatté il convinto ammiratore - “ha un occhio più grande dell'altro!”.

A questi livelli di generosità (di umanità) possono arrivare gli occhi generosi, i più apprezzati dai pedagogisti che sono d'accordo con la magnifica intuizione dello scrittore francese François Mauriac: “Amare qualcuno significa essere l'unico a vedere un miracolo che per tutti è invisibile”.

• Buono è il contatto visivo incoraggiante che dà la spinta e fa volare alto.

• Buono è il contatto visivo accogliente che ti avvolge come un manto ripieno d'amore e di empatia. Un contatto visivo con tali caratteri ha più valenza umanizzante di tutti i milioni di contatti digitali del mondo messi insieme

Autore: Pino Pellegrino

Fonte: www.biesseonline.sdb.org

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mercoledì 22 marzo 2023

Le fiammanti paure di una ragazza costretta a crescere troppo in fretta

 Rubrica: Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati

LE FIAMMANTI PAURE DI UNA RAGAZZA COSTRETTA A CRESCERE TROPPO IN FRETTA

Certe volte mi dico che vorrei entrare nei sogni delle mie ragazze in Casa Famiglia, per allontanare quelle tempeste o forse per aiutarli a danzare con la pioggia e con i fulmini. Certe volte mi dico che vorrei che la loro barca arrivasse al porto sicuro del loro futuro. Certe volte invece mi dico che queste ragazze imparano a navigare sin da piccole...devono imparare a farlo necessariamente; è la vita che glielo impone. Noi però, possiamo solo navigare con loro ed imparare a seguire le stelle, a giostrare le vele alla ricerca del vento e di nuove destinazioni. 

Era da un po' che non scrivevo. Ultimamente i turni sono così frenetici che spesso persino la mia mente entra in balia di quanto accade. Ho compreso in questi mesi che un educatore deve necessariamente imparare a saper gestire il tempo in una casa così movimentata e rumorosa, a domarlo cogliendo gli attimi, quelli che si segnano sul diario delle consegne, quelli che si fissano nella memoria, quelli che aiutano ad addentrarsi nel mondo di questi ragazzi. Al pomeriggio liste infinite di compiti invadono la scrivania, la colla a caldo e i cartoncini trepidano in attesa del prossimo lavoretto, l'agenda richiama in rosso le relazioni da scrivere, gli incontri con i servizi, le faccende da sbrigare, la cucina attende i banchetti infiniti che mai saziano del tutto la fame implacabile delle nostre abitanti.

Questa è una casa che pullula perennemente di vita. Al mattino invece le vocine delle più piccole si odono vivaci: <<Sono svegliaaaaa>>. Il tintinnio delle tazze che incontrano i cucchiaini, il brusio di biscotti che si tuffano nel latte e le ciabattine a coniglietto adagiate per terra sotto le sedie sono le prove certe che la giornata è cominciata. Delle più grandi v'è chi è mattiniera ed è già in bagno a prepararsi e chi invece è ancora a letto e si nasconde infreddolita sotto la coperta. Come in un'orchestra ogni cosa qui ha il suo ritmo e la sua parte; i grembiulini rosa sventolano sulle gonnelline scelte la sera prima, orde di trecce si annodano dal capo penzolando ornate di colori luccicanti, le merende volteggiano per la casa in direzione delle destinatarie, gli zainetti attendono le loro bottigliette per essere posti sulle spalle e tutta la frenesia circonda la casa in un walzer sfrenato...

Ogni cosa in questa casa prende vita; eppure fra tanta vivacità un viso evade qualunque sguardo, i suoi occhi puntano in basso. Ogni sera quegli stessi occhi raccontano, proprio come questa sera, le fiammanti e rabbiose paure di una ragazza che viene sottoposta continuamente e senza tregua all'adultità più sbagliata che possa esistere, quella corrotta dall'eccessiva e fasulla consapevolezza di non sbagliare mai. Lei litiga, si arrabbia da anni ormai gridando al mondo la sua indignazione per quanto le sia accaduto...solo che gli adulti non capiscono.

A fine serata, osservo i caldi lettini, i vestiti preparati per l'indomani, osservo le merende, e depongo nel mobiletto il libro che abbiamo letto stasera prima della nanna. Le mie mani scorrono sulle pagine illustrate ed i disegni prendono vita nella mia mente. Risuonano, mentre rileggo, nella mia mente le parole della collega che mi ha ceduto il turno:<< Fa l'incontro con i genitori ma sta lì seduta e non dice nulla oppure esplode>>. Ogni suo tentativo combattivo o risolutivo rispetto la sua situazione spesso viene deviato e deluso dai comportamenti onnipotenti degli adulti che scaricano tutte le loro colpe sui ragazzi. Certe volte guardo quella rabbia e quella delusione lottare incredibilmente contro la speranza che diviene sempre più debole attraverso quegli occhi. La collega mi spingeva a pensare che dobbiamo rafforzare l'idea del suo futuro, piuttosto che lasciare che si perda nel presente, prima che si chiuda del tutto, prima che si perda in quel mondo famelico di realtà e brutture e di poca fantasia e bellezza.

Quando è arrivata da noi il suo sguardo era timido; era molto piccola. Oggi è cresciuta ma di quella grandezza frettolosa che spesso fa male; non si possono avere in così tenera età tutti gli strumenti per affrontare tale pesante complessità. <<Bisogna crescere per forza in fretta altrimenti la vita ti ingoia, che ti pensi che non vorrei essere piccola ancora e non pensare a tutto questo?!>> Una sera queste parole mi avevano raggelata. La verità è che il futuro è tutto per questa ragazza e per questi bambini anche se è stato deturpato o deriso dal passato. Stasera rientrata a casa, raccontava della sua difficoltà a dire <<Quelle cose sdolcinate che si dicono ai ragazzi, ma a me non escono però, a me piace sentirmi dire "dove sei? o come stai?">>... ( Le sue spalle si curvano quasi a difendere il corpo da quell'idea, muove verso la tovaglia il suo sguardo e poi incrocia il mio che le sorride dolcemente) <<Queste sono le frasi che piacciono a me, mi sanno di presenza>>. Quella bimba certe volte la rivedo nell'adulta forte e corazzata dell'oggi. La rivedo quando mangia le crostate di marmellata di cui va matta, la rivedo nel come socchiude gli occhi dopo la carezza che le percorre la guancia prima di dormire, la rivedo quando rimbocca le coperte alla bimba più piccola, la rivedo quando gesticola raccontando la sua giornata, la rivedo nello sguardo ferito quando si accorge che le cose attorno a lei non cambieranno perché gli adulti non vogliono cambiare. Domattina si alzerà per ultima e serrerà il suo sguardo per indurirsi contro il mondo dinnanzi lo specchio mentre si sistema i capelli; è diventata una sua routine di bellezza questa.

Riosservo il disegno percorrendo con le dita il blu del mare e smuovo le ali del grandi drago e penso a cosa sognino queste bambine e questi ragazzi la notte. Mari in tempesta e draghi giganti...

Certe volte mi dico che vorrei entrare nei loro sogni per allontanare quelle tempeste o forse per aiutarli a danzare con la pioggia e con i fulmini. Certe volte mi dico che vorrei che la loro barca arrivasse al porto sicuro del loro futuro. Certe volte invece mi dico che queste ragazze imparano a navigare sin da piccole...devono imparare a farlo necessariamente; è la vita che glielo impone.

Io, la mia collega... Possiamo solo navigare con loro ed imparare a seguire le stelle, a giostrare le vele alla ricerca del vento e di nuove destinazioni.

Domani inizia un'altra giornata.

La più piccina si muove nelle sua culla, la osservo mentre si rigira sul fianco. Chissà su quali mari starà volando con la fantasia.

Intanto lei passa con il suo pigiama rosa confetto, mi sorride e spegne la luce lasciando alle sue spalle un oscuro silenzio.

Certe volte il silenzio di questa casa fa più rumore dei tuoni di una tempesta.

Dott.ssa Pittari Chiara

(Pedagogista, Educatrice presso la Casa Famiglia Murialdo)

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Mercoledì prossimo  si rinnoverà l’appuntamento con

‘Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati’

 

Cos’è la rubrica: Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati

Da un po’ di tempo la mente di noi educatori è talmente colma di pensieri e riflessioni che spesso straripa . Lo scrivere è diventato per noi salvataggio indelebile, la messa al sicuro dei momenti della vita che trascorriamo con in nostri ragazzi.

Noi educatori spesso la notte scriviamo pagine di una vita vissuta fra le mura condivise con degli sconosciuti che a tratti riescono a sentirsi parte di una casa, parte di una famiglia

Un giorno abbiamo deciso di raccontare e di raccontarci per mostrare anche oltre le nostre mura, la bellezza di una giornata trascorsa assieme ai nostri compagni di strada, la paura verso i giorni che verranno, gli aneddoti divertenti dei giorni di sole e le tempestose giornate di pioggia.

Raccontare è per noi un dono ed è prezioso perché permette di rivederci nello specchio e comprendere che vi è sempre da imparare, perché noi danziamo  e danziamo col vento.

mercoledì 15 marzo 2023

7 consigli per gestire le emozioni dei bambini

 7 CONSIGLI UTILI PER GESTIRE LE EMOZIONI DEI BAMBINI

Non esistono ricette per essere buoni genitori, ma a fare la differenza può essere l’educazione emotiva, facendo sentire il proprio figlio compreso e accolto nelle sue emozioni.

Quando un genitore si trova davanti a un'esplosione emotiva del proprio bambino: rabbia e paura, tristezza e disgusto, sorpresa e felicità, spesso non sa come gestirla.

"Non esistono ricette per essere buoni genitori" scrive Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta dell'età evolutiva,  nel suo libro "L'educazione emotiva" (Fabbri Editori), ma secondo recenti ricerche scientifiche basate sulle neuroscienze quello che può far la differenza è l'educazione emotiva: cioè far sentire il proprio figlio compreso e accolto nelle sue emozioni. "L'adulto deve diventare un allenatore emotivo" spiega Pellai.

Le emozioni primarie sono: rabbia, tristezza, disgusto, paura, sorpresa e felicità, dalle quali poi derivano le secondarie che sono: ansia, timore, terrore, angoscia, desolazione.

Ecco quindi sei esempi pratici su come un genitore deve gestire queste emozioni e quali strategie mettere in atto per contenerle

1. Educazione emotiva: il genitore deve "sentire" il proprio figlio

Il genitore, oltre alle funzioni primarie di cura e accudimento, deve occuparsi della crescita serena del proprio figlio. Per far questo è fondamentale che empatizzi con lui. Il bambino deve essere "sentito e compreso" a livello profondo nella mente dei suoi genitori. "Un bambino crescerà tanto più sicuro e protetto quanto più avrà al suo fianco adulti capaci di sentire e pensare ciò che lui sente e pensa e che, comprendendo i suoi stati mentali, forniranno risposte e soddisfazione a quei bisogni che lui non sa esprimere".

2. Gestire la rabbia: create in casa un "angolo" dove il piccolo possa sfogarsi

"Le basi per una sana gestione della rabbia vengono costruite in età infantile e derivano dalla competenza con cui gli adulti sanno dare risposta ai bisogni del bambino sin da neonato".

Quando il bambino è in preda alla rabbia e sta facendo un capriccio, il genitore emotivamente competente non deve cadere nel copione "tu sei mio nemico", ma trasformare questa opposizione in cooperazione.

Insomma davanti a un mega capriccio, il genitore anziché perdere il controllo a sua volta deve dimostrare con i fatti che le emozioni forti sono gestibili e noi adulti ne siamo capaci.

Pellai consiglia di stabilire in casa un angolo dove accompagnare i bambini che stanno facendo i capricci, un angolo dove l'emozione possa essere scaricata fino a esaurirsi, così che poi in casa torni la calma e genitore e bambino possano sentirsi nuovamente alleati.

Si trattata di uno spazio di decantazione. Il genitore, accompagnando il bambino, può dire: "Visto che sei così arrabbiato, ora ti metto nell'angolo della rabbia. Qui puoi urlare quanto vuoi, poi quando ti sei calmato puoi uscire, così facciamo qualcosa di bello insieme".

Nell'angolo della rabbia il bambino impara a recuperare il controllo di sé: questo processo si chiama autoregolazione emotiva.

3. Gestire la tristezza: un massaggio al cuoricino

"Gli adulti non amano vedere i bambini tristi. La tristezza è considerata una specie di tabù".

E' per questo che quando un bambino la sperimenta, tende a chiudersi in se stesso, mentre invece dovrebbe essere aiutato a raccontarla e a condividerla.

Per esempio di fronte a un lutto si tende a dire al bambino che il nonno è partito per un lungo viaggio... Il bambino sperimenterà comunque la tristezza di non vedere più il nonno, in più sarà spaesato dalle false verità che lo circondano.

"Il mondo è pieno di uomini che non sapendo gestire la tristezza diventano violenti, oppure di persone che nascondono la propria tristezza buttandosi nel lavoro o in altro pur di riempire un vuoto".

Quindi se vediamo nostro figlio triste, anziché cercare di rallegrarlo, abituiamolo a riconoscere questa emozione e aiutiamolo a superarla.

"La cosa migliore è un bel massaggio intorno al suo cuoricino spiegando in modo preciso che cosa pensiamo lo renda così triste! Ad esempio possiamo dirgli: "Piccolino, sei triste perché hai perso il tuo giocattolo preferito, chissà dove si troverà ora? Possiamo andare al parchetto a cercarlo, se poi non lo troviamo, andremo in un negozio a sceglierne uno nuovo assieme".

Così il bambino avverte che la sua emozione viene riconosciuta e compresa,intanto la mano che lo massaggia lo medica proprio là dove sente il "dolore". Inoltre nella narrazione il genitore propone una soluzione per superare il problema.  In questo modo la relazione genitore-figlio ne uscirà rafforzata sul piano della competenza emotiva.

 4. Gestire il disgusto: se a tavola non vuole mangiare, provate il gioco del pranzo bendato

"Il disgusto è l'emozione che si prova davanti a qualcosa che percepiamo come pericolosa per la nostra sicurezza".

Le prime manifestazioni di disgusto i bambini le hanno in relazione al sapore del cibo che portano alla bocca. E questa emozione viene espressa in modo esagerata dai piccoli con l'espressione: "Che schifo".

Quando i bambini riportano questa frase a tavola non è tanto perché trovano disgustoso il cibo, quanto perché vorrebbero trovarvi alimenti più saporiti e appetitosi.

"Come genitori abbiamo il dovere di aiutare i nostri bambini ad apprezzare tutti i gusti e tutti i sapori". Perciò, di fronte a un bambino che a tavola ci dice "non mi piace, mi fa schifo" dobbiamo chiarire che nessun cibo è schifoso in quanto è stato preparato con amore da chi gli vuole bene. E che il nostro corpo ha bisogno non solo di cibi golosi ma anche nutrienti e ricchi di vitamine.

Detto questo, provate con il gioco del pranzo bendato: sistemate nel piatto cinque piccole porzioni di cibi differenti (anche quelli non graditi), poi con gli occhi bendati chiedetegli di assaggiare tutto e indovinare che cosa mette in bocca.

Così il piccolo imparerà che quel cibo che chiamava schifoso può essere, invece, buono.

5. Gestire la paura del buio: il gomitolo di lana

"La paura è un'emozione che ha molti modi di manifestarsi. C'è chi ha paura del buio, chi dei cani, chi del temporale..." Quasi tutti i bambini, nel corso della prima e seconda infanzia hanno molte paure, ma la vicinanza emotiva dell'adulto può aiutarli a superarle. Ed è uno dei primi e più efficaci allenamenti emotivi.

Se un bambino ha una paura, anche molto irrazionale, il genitore deve sforzarsi di entrare nella mente del figlio e comprendere questo terrore. Ad esempio se un piccolo ha paura del temporale, dovete accettare questa emozione, ma anche trovare un modo per gestirla e quindi controllarla.

Se per esempio vostro figlio ha paura del buio e quando va a nanna vuole che gli rimaniate accanto fino a quando si addormenta, provate con il trucco del gomitolo di lana: vostro figlio a letto terrà in mano il filo, mentre voi lo srotolate e vi sedete fuori dalla camera con il gomitolo in mano. Quando il piccolo sente la paura arrivare potrà tirare il filo, in questo modo avvertirà la vostra presenza.

Il filo simbolizza il legame che  c'è con i genitori anche quando sono lontani.

6. Gestire la sorpresa: l'emozione che vi può aiutare a motivare vostro figlio

"La sorpresa è l'emozione che ci coglie quando la vita ci pone di fronte a qualcosa di imprevisto. Può essere una cosa positiva, ma esiste anche il versante negativo".

I genitori possono però usare l'emozione della sorpresa in modo costruttivo. Per esempio dire a un bambino: "Se sarai bravo, poi ti darà una sorpresa" è una frase vincente per aiutarlo a conquistare un traguardo e un obiettivo educativo condiviso. Al piccolo non interesserà tanto l'oggetto ma la sorpresa in se stessa.  La sorpresa è qualcosa che uno non si aspetta e quindi sta a significare: "Ti ho pensato, ti voglio bene, per me sei importante".

Un gioco che può aiutarvi a motivare il piccolo è il sacchetto delle sorprese.

Se volete che il vostro bambino riesca a conquistare una tappa di autonomia che vi sta a cuore (a nanna presto, lavarsi le mani prima dei pasti, mettere in ordine i giochi...), promettetegli il suo sacchetto della sorpresa una volta che avrà conseguito l'obiettivo proposto. Ogni giorno potete metterci dentro un piccolo regalino che gli consegnerete alla sera se l'obiettivo proposto e discusso con lui è stato conseguito.

7. La felicità: è un'emozione che va condivisa

"La felicità è un'emozione che ci spinge verso le esperienze più belle della vita".

Anche la felicità è un'emozione che ha bisogno di condivisione. "Se mamma e papà partecipano alla mia felicità, il mondo è un posto bello in cui vivere" pensa il bambino felice.

Un bambino che prova tanta felicità si sente disorientato se si trova davanti un adulto incapace di cogliere e condividere con lui questa sua emozione.

"Non solo dobbiamo portare felicità nella vita dei nostri bambini, ma dobbiamo anche riconoscere quando loro sono felici.

Un suggerimento per creare condivisione è fare dei piccoli album fotografici dei ricordi felici. "Sarà bellissimo sfogliarli insieme ai figli e rivivere di nuovo insieme a loro gli accadimenti in cui avete condiviso quella bellissima emozione".

L'albume dei ricordi felici sarà un tesoro da conservare preziosamente del tempo.

 

Autrice: Federica Baroni

Fonte: www.nostrofiglio.it

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mercoledì 8 marzo 2023

9 frasi da non dire mai ad un bambino

9 FRASI DA NON DIRE MAI AD UN BAMBINO

Parole dette senza pensare, che ci sembrano banali, oppure che ci sono uscite in un momento di stanchezza o di rabbia possono offendere i nostri figli. Ecco le 9 frasi più comuni che è meglio non dire a un bambino. Tratto da un articolo di parenting.com

A tutti noi genitori stanchi e sempre di fretta può capitare di rivolgerci ai nostri figli con frasi sbagliate, che possono lasciare i nostri piccoli feriti e arrabbiati. Paula Spencer, blogger del sito americano parenting.com, ha stilato un elenco delle 9 cose che è meglio evitare di dire ai bambini e con quali frasi sostituirle.

1 Lasciami in pace!

E' più che lecito che un genitore si prenda una pausa dai figli. Ma dire troppo spesso a un piccolo frasi come: "Lasciami in pace", "non disturbarmi", "sono occupata"... si rischia di far interiorizzare al bambino il messaggio che voi non avete mai tempo per lui.

In questo modo sarà difficile che quando sarà grande abbia un dialogo con voi e vi racconti i suoi problemi da adolescente.

Bisognerebbe, invece, abituarli fin da piccoli che i genitori hanno bisogno di un tempo per sé. Lasciateli qualche volta con una baby sitter, con una nonna o da un amico, e prendetevi un po' di spazio. Quando tornerete da loro sarete più disponibili.

E quando siete stressate e dovete fare qualcosa di corsa, preparatevi in anticipo delle frasi da dire ai vostri figli. Ad esempio potete dire: "La mamma deve finire una cosa importante, state tranquilli a disegnare per qualche minuto, appena ho finito vi porto fuori".

Ovviamente siate realistiche: difficilmente un bambino di età prescolare potrà intrattenersi un'ora da solo...

2 Tu sei così...

Le etichette, soprattutto se negative, rimangono appiccicate ai bambini e si trasformano in profezie che si autoavverano "Perché sei sempre così... timido"? "Perché sei così scema...". Alla fine un piccolo si sente davvero stuipido e inizierà a comportarsi di conseguenza.

Ma anche l'etichetta di "intelligente" rischia di trasformarsi in un'aspettativa difficile da sopportare per un bambino piccolo.

Un approccio di gran lunga migliore è quello di affrontare il comportamento specifico ed evitare gli aggettivi sulla sua personalità. "Hai sbagliato a trattare male la tua amica. Vediamo insieme come si può rimediare..."

3 Non piangere

Dire frasi come: "Non essere triste"; "Non fare il bambino"; " Non c'è motivo di avere paura"... Ma i bambini piccoli che ancora non riescono a dire a parole quello che provano è normale che piangano, così come è normale che abbiano delle paure. Dirgli che non devono piangere o non c'è motivo di essere tristi, significa mandargli il messaggio che le loro emozioni non sono valide. E che non è un bene essere tristi o spaventati.

Piuttosto che negare le emozioni di un bambino, è molto meglio dimostrargli di riconoscere quello che prova, ad es: "Devi essere molto triste perché lui non vuole essere più tuo amico". "E' normale che tu abbia paura delle onde, ma io ti starò vicino e ti terrò per mano e vedrai che non ci sarà nessun percolo".

Nominate le emozioni che prova vostro figlio, imparerà a gestirle e a non farsi travolgere. E la prossima volta anziché piangere descriverà con parole sue cosa sta provando.

4 Perché non sei come tua sorella?

A volte viene naturale prendere un fratello d'esempio: “Tua sorella alla tua età si vestiva già da sola...”. Ma i paragoni si possono ritorcere contro. Inoltre ogni bambino è diverso dall'altro.

Lasciate che ognuno si sviluppi secondo il proprio ritmo, il proprio temperamento e la sua personalità. Paragonarlo sempre agli altri, potrebbe far sembrare a vostro figlio che voi lo avreste desiderato diverso.

Inoltre i confronti continui non aiutano a migliorare i comportamenti. Sentirsi sempre sotto pressione per qualcosa che non è pronto a fare o che non gli piace fare può essere fonte di confusione e stress e può minare la sua autostima

Oppure potrebbe risentirsi e non fare ciò che gli chiedete per ripicca e iniziare così un braccio di ferro che non porta da nessuna parte. Meglio invece incoraggiare i successi e portare ad esempio ciò che riesce a fare: “Bravo, ti sei infilato il cappotto da solo!”...

5 Dai che lo sai fare benissimo!

Come i confronti, le frecciatine ai figli possono fare più male di quello che un genitore immagina. Imparare è un percorso fatto di prove ed errori. Davvero pensate che vostro figlio sia capace di versarsi l'acqua da quella brocca così pesante? Se non se la sente non insistite, casomai provate insieme a vedere come fare. Magari riempite la brocca con meno acqua così non avrà paura di non riuscire a versarla.

E se sbaglia evitate un commento negativo: non sarà né produttivo né d'aiuto.

Da evitare anche frasi come: “Non posso credere che l'hai fatto!” “Era ora!” . Non sembrano frasi terribili, ma non vogliono dire niente e il messaggio che un piccolo potrebbe ricevere è “tu non fai

6 Smettila o te le do!

Le minacce sono il risultato di genitori frustrati e raramente sono efficaci. A volte ci troviamo a urlare avvertimenti come: “ Se lo fai ancora ti sculaccio!”. Il problema è che poi dovete dare seguito alle minacce, altrimenti perderete il vostro potere. E ormai è provato che sculacciare non migliora il comportamento.

E' molto più efficace sviluppare un repertorio di tattiche costruttive: siate autorevoli e calmi, spiegategli che non va bene comportarsi così, che capite le sue motivazioni ma ora non è il momento di avere l'ennesimo biscotto. In alternativa proponetegli di leggere un libro assieme. 

7 Aspetta quando papà torna a casa!

Questa frase molto usata è solo un altro tipo di minaccia. Inoltre si rinvia il problema in un secondo momento. Mentre davanti a un capriccio bisogna intervenire subito. Se si rinvia l'intervento del genitore, il piccolo rischia di non collegarlo con l'azione sbagliata da lui commessa. Quando l'altro genitore torna a casa è probabile che il bambino abbia dimenticato quello che ha fatto.

Inoltre passare la patata bollente a qualcun altro mina anche la vostra autorità. Vostro figlio potrebbe pensare: “Perché devo ascoltare la mamma se poi tanto lei non fa nulla?”.

Infine si mette il vostro partner nella posizione del cattivo poliziotto.

8 Sbrigati!

Viviamo in un tempo fitto di appuntamenti, orari, mancanza di sonno, traffico e siamo sempre di corsa. E quando un bimbo, ignaro del ritmo frenetico, non trova le sue scarpe, non vuole infilarsi la giacca, noi perdiamo la pazienza e finiamo per urlargli di muoversi.

Quando noi siamo così di fretta i bambini si sentono in colpa. Questo sentimento li fa stare male, ma non li motiva a fare più veloce.

"Alla mattina a casa mia c'è un tale nervosismo, e l'ultima immagine che hanno di me i miei figli è la mia faccia arrabbiata. Così ho fatto un patto con me stesso, qualsiasi cosa accada alla mattina: il latte rovesciato sui vestiti puliti, la cartella non ancora pronta... devo mantenere la calma e sforzarmi di trovare modi gentili per accellerare" racconta Paul Coleman, terapeuta famigliare.

9 Bravissimo! Sei un genio! Il rinforzo positivo, dopo tutto, è uno degli strumenti più efficaci che un genitore ha.

Il problema arriva quando la lode è vaga e indiscriminato. Dire frasi come:"Ottimo lavoro!" per ogni piccola cosa che il vostro bambino fa, alla fine lo svuota di significato.

I bambini capiscono benissimo quando la lode è meccanica.

Quindi meglio evitare elogi indiscriminati. Lodate solo i risultati che vengono da sforzi reali. Per esempio, finire un bicchiere di latte non è un traguardo eccezionale.

Siate specifici. E' inutile dire: “Bellissimo il tuo disegno” a tutte le decine di disegni che vostro figlio fa ogni giorno. Meglio commentare dicendo: “Bravo, vedo che hai disegnato l'albero con tanti rami e hai fatto le foglie verdi...”

E lodate il comportamento piuttosto che il bambino: “Sono contenta perché sei stato tranquillo a fare il puzzle mentre io finivo di cucinare, proprio come ti avevo chiesto...” 

Fonte: www.nostrofiglio.it

 

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mercoledì 1 marzo 2023

Ma i genitori servono ancora?

MA I GENITORI SERVONO ANCORA?

Il DNA e le influenze ambientali hanno il loro peso ma, fino ad oggi, non si è ancora trovata altra strategia migliore per educare un uomo che quella di una coppia di bravi genitori.

Da qualche anno è in circolazione un libro della psicologa Judith Rich Harris: “Non è colpa dei genitori” che sembra fatto apposta per far discutere.
In esso la psicologa americana sostiene che, ormai, i figli imparano più fuori casa che in famiglia, più dai coetanei che dai genitori. Insomma i genitori conterebbero sempre meno: la crescita buona o meno buona dei figli dipenderebbe non già dal padre e dalla madre, ma dal codice genetico e dal contesto sociale.
Che dire? Ha ragione la Harris?
Intanto, per iniziare il dibattito, ecco la nostra opinione. «La Torre di Pisa pende dalla base»
Non c'è dubbio che nella formazione della persona umana intervengono più fattori: due di questi sono, appunto, il fattore ereditario e l'ambiente in cui ci si viene a trovare.
Nell'adolescenza, in particolare, il fattore 'gruppo' è fondamentale. In esso il ragazzo si sente protetto, deresponsabilizzato, fino a perdere, talora, la propria identità e ad assumere un 'io' collettivo.
Dunque il libro del quale stiamo discutendo ha, indubbiamente, una funzione positiva: serve a liberare i genitori dai sensi di colpa, come se un eventuale fallimento educativo dipendesse totalmente da essi.
Il che non è affatto vero! Ogni essere umano dipende anche dalla propria libertà, dalla propria coscienza.

Sì, aveva tutte le ragioni il cardinale Carlo Maria Martini (1927-2012) a domandarsi: “È forse colpa della sorgente se il corso del torrente si perde in un pantano?”.
Fin qui perciò possiamo essere d'accordo con il libro: “Non è colpa dei genitori”.
Però (andando più a fondo nell'analisi) vi è un risvolto che può essere grave e pericoloso.
Il lavoro della Harris può fornire un comodo alibi ai padri e alle madri per smettere d'essere genitori generativi, vale a dire genitori che continuano a far nascere i figli fino all'ultima sera della loro vita. Il che sarebbe da irresponsabili.
Da irresponsabili perché ancor oggi i genitori, lo vogliano o non lo vogliano, formano o deformano i figli.
È vero, ripetiamo, che l'eredità e il contesto sociale hanno una loro incidenza, ma il primo ambiente, il primo gruppo con cui il bambino viene a contatto è quello familiare proprio nei primi anni della vita nei quali si impianta lo zoccolo duro della nostra personalità.
La Torre di Pisa pende dalla base”. “Passati i primi sei anni è difficile mutar panni”, recitano due indovinati proverbi.
Per non dilungarci, la conclusione più razionale ci pare possa essere questa: ammesso pure che le dotazioni native e le influenze ambientali abbiano il loro peso, fino ad oggi non si è ancora trovata altra strategia migliore per educare un uomo che quella di una coppia di bravi genitori.
Ancor oggi continua ad aver ragione lo psicologo statunitense John Powell (1963) quando dice: “In certi casi può sembrare spaventoso, ma il nostro destino è nelle mani dei genitori. Noi siamo, tutti quanti, il prodotto di coloro che ci hanno amati o che si sono rifiutati di amarci”.
I genitori servono ancora?
I genitori d'oggi servono come quelli di ieri!
La differenza sta nel fatto che oggi il loro influsso è meno appariscente, ma non meno decisivo in quanto indelebile: padre e madre ce li portiamo 'dentro' per la vita intera.
Spazio permettendo, lo potremmo provare in lungo e in largo. Questa la nostra opinione sul ruolo fondamentale dei genitori anche nella nostra società digitale 2.2.

Genitori con la patente pedagogica a pieni punti.
1. Non perdono mai la capacità di produrre sorriso.
2. Sono seducenti, non seduttori.
3. Si ricordano d'essere stati pur essi bambini.
4. Lasciano che il figlio a sei anni si sbucci l'arancia da solo.
5. Non lo fanno crescere con il sedere nel burro.
6. Scrivono qualche volta sulla bocca: Chiusa per nervi.
7. Accettano pienamente il figlio, anche se non diventerà un cavallo di razza.
8. A parole d'oro non fanno seguire fatti di piombo.
9. Non fanno pensare che diventare adulti significhi diventare noiosi.
10. Hanno il cervello con le radici nel cuore.

Fonte: www.biesseonline.org

Autore: Pino Pellegrino

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