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mercoledì 28 febbraio 2024

Ma starò facendo la cosa giusta?

Rubrica: Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati 

MA STARO’ FACENDO LA COSA GIUSTA?

Un piccolo foglietto ha annullato in pochi istanti tutti i miei grigi ed umidi pensieri; leggendolo ho ricordato una storia, il come è iniziata, il suo svolgimento, le sue difficoltà; quelle parole colorate hanno inondando la mente e l'anima di cose e di ricordi belli. La paura di sbagliare certe volte insegna anche a cadere e forse ad aver voglia di rimettersi a correre e a saltare, e per fortuna oggi sono ancora qua.

Sono settimane o forse mesi che ormai non scrivo. Ultimamente ho attraversato quel momento della vita in cui ogni cosa è attraversata dall'incertezza; ogni giorno era un continuo di domande: stavo lavorando con la stessa passione di prima? Sono cambiata? Mi sono persa?

Ultimamente mi chiedevo se avessi compreso correttamente questo lavoro o se fosse il caso di ricalcolare e mettere in discussione ogni aspetto del mio modo di essere educatrice.

Oggi ho riletto le mie tesi di laurea, gli appunti di quando facevo tirocinio, le riflessioni di una me di tanto, tantissimo tempo fa... l'ho fatto perché temevo di non riconoscermi in quegli scritti, l'ho fatto perché temevo di essere diventata grande... troppo grande.

Questa sera sono venuta a lavoro piena di pensieri; mi capita sempre più spesso. Procedo nella vita come se fossi guidata da un navigatore immaginario che continuamente impone il ricalcolo di ogni parte di me. Ricalcolo quando parlo a scuola con i bambini dei progetti, ricalcolo quando a lavoro mi sento impreparata, ricalcolo quando sono delusa o amareggiata, ricalcolo quando mi accorgo che le cose potrebbero essere differenti o migliori. Questa sera, arrivata in comunità, ho guardato la finestra della stanza degli educatori come facevo i primi tempi per vedere se ne riconoscessi i colori, le ombre e i ricordi ma... niente; c'era solo una stupida immobile finestra.

Poi ho trovato queste lettere sparse per la casa, come accade ogni sera. Questa volta però sul tavolino c'era un qualcosa che mi ha lasciato disarmata: un piccolo foglietto che ha annullato in pochi istanti tutti i miei grigi ed umidi pensieri; leggendole ho ricordato una storia, il come è iniziata, il suo svolgimento, le sue difficoltà; ricordo che con questo inserimento non mi ero mai sentita più inadatta e spaesata... Eppure eccomi qua.

A distanza di anni osservo la meraviglia contenuta in questi fogli, in quei colori brillanti.

Quando ci fu questo inserimento mi sembrava di sbagliarle tutte; temevo di non riuscire a cogliere i momenti, i segnali, i modi.

Ricordo pianti, grida, ricordo quegli sguardi... Ricordo che ogni turno era pesante e demotivante.

Stasera ero in camera con questi fogli fra le mani ...gli occhi erano fissi, immobili come se stessero registrando il momento, alcune lacrime scendevano copiose sulle guance per poi disperdersi sulla maglietta.

Era da tanto, tantissimo tempo che non mi sentivo così tanto: me stessa.

Era da tanto che non sentivo quel calore in petto che potesse accarezzare i miei dubbi e le mie paure che scuotevano il mio mondo con oscuri terremoti di insicurezza; quelle parole colorate stavano inondando la mente e l'anima di cose e di ricordi belli: i primi biscotti, la prima nuotata, la prima torta, il primo film, il primo libro letto assieme, i vestiti nuovi per la cena di Natale, il primo lavoretto e la tovaglia sporca di pittura verde, la prima volta sdraiate per terra a guardare le stelle, la prima volta in cui si lasciarono sfiorare dalla mia mano, il primo abbraccio, il primo <<Ti voglio bene>>, la prima volta in cui ho sentito il buffo appellativo: <<Chiaranetta>>.

Ogni singolo momento è apparso vivido nella mia mente quasi fossi la spettatrice in un deserto cinema dei ricordi; a parte la nostra presenza, non vi era nessuno... c'eravamo solo noi.

Ed io, spettatrice felice, ero a casa finalmente, più vicina a me stessa di quanto non lo fossi stata negli ultimi mesi. Senza accorgermene le ho strette forte a me, grata di quel momento, grata di quelle parole, grata di tanta bellezza. Ho parlato pochissimo, ho ascoltato tanto, ho riempito i miei occhi di quei sorrisi, di quelle frasi buffe ed ora mi accorgo che i miei dubbi non sono scomparsi, sono solo laggiù in fondo dentro me, e credo che in fondo mi servano per mantenermi in allenamento costante per il cambiamento. La paura di sbagliare certe volte insegna anche a cadere e forse ad aver voglia di rimettersi a correre e a saltare.

Forse i dubbi aumentano perché aumentano le cose da imparare, o forse alle volte occorre capire che si rimane sé stessi anche quando si ha paura, anche quando si cresce e si cambia.

Una lettera, un disegno, una preziosa indicazione... Io, il mio essere educatrice, i respiri lenti di bimbe che riposano serene.

Quella finestra si, la riconosco e riconosco anche me stessa riflessa su quei vetri.

Quel riflesso lo devo a loro, alla loro capacità di mettere in bilico la mia essenza, alla loro capacità di scuotermi e di educarmi a danzare con il vento...

Bentrovata Chiaranetta. 

Dott.ssa Pittari Chiara

(Pedagogista, Educatrice presso la Casa Famiglia Murialdo)

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Mercoledì prossimo  si rinnoverà l’appuntamento con

‘Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati’

 

Cos’è la rubrica: Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati

Da un po’ di tempo la mente di noi educatori è talmente colma di pensieri e riflessioni che spesso straripa . Lo scrivere è diventato per noi salvataggio indelebile, la messa al sicuro dei momenti della vita che trascorriamo con in nostri ragazzi.

Noi educatori spesso la notte scriviamo pagine di una vita vissuta fra le mura condivise con degli sconosciuti che a tratti riescono a sentirsi parte di una casa, parte di una famiglia… 


 

mercoledì 21 febbraio 2024

Una dolce domenica in Casa Famiglia

 Rubrica: Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati 

UNA DOLCE DOMENICA IN CASA FAMIGLIA

La domenica è un giorno in cui il tempo scorre lento, ci si può dedicare alla cucina, al gioco, alla fantasia che ci fa viaggiare tra galassie e pianeti lontani. La casa profuma delle risate delle bimbe, del profumo delle cose belle.

Durante la settimana i turni sono sempre veloci: ci sono i compiti, gli impegni della scuola, lo sport, e tutte gli impegni speciali tipici dei ritmi di una comunità educativa.

Durante la settimana vi è sempre troppo poco tempo per dedicarsi alla lentezza; ecco perché adoro il turno della domenica in Casa Famiglia.

Il turno della domenica è un turno dolcemente lento. Ci si può dedicare alla cucina: si possono preparare cose buone e speciali prendendosi tutta la calma del mondo: la crema pasticcera si riposa lentamente dalla sua calda cottura, il sugo sobbolle lento mentre smuove le foglie di basilico che galleggiano pigre su quel mare rossastro. Il forno lascia che le zeppole si gonfino fino ad esplodere in tutta la loro vanitosa pienezza, gli gnocchi vengono a galla, prima uno, poi dieci, poi tutti. Il profumo del polpettone e delle patate si diffonde per la casa invogliando tutti ad accomodarsi per essere degustato.

La tovaglia viene scelta con attenzione: deve essere la più bella, la più colorata, la più idonea ad accogliere le dolci commensali che apparecchiano con estrema cura. La mozzarella si scioglie a contatto con gli gnocchi caldi diventando golosamente filamentosa.

Il pranzo inizia alle due o forse alla tre ma cosa importa? Il tempo accarezza lentamente il pomeriggio e si riempie di risate, tintinnii delle posate e dei bicchieri. I piatti si riempiono e si svuotano. Le guance si sporcano di sugo, poi di crema finché non si rilassano tronfie nel sorriso che solo la sazietà del dopo pranzo sa evidenziare.

La tavola si sgombera e lascia posto a colori di ogni tipo, cartoncini, forbicine e penne glitterate; manine si macchiano di giallo, di rosso, di verde e di blu. Picchiettano, spennellano, incollano, scrivono, evidenziano il dettaglio, realizzano meraviglie.

Un proiettore illumina una camera. Galassie e costellazioni appaiono in quello che una volta era un banale soffitto. Una coperta scozzese è adagiata a terra sulla quale quattro persone si godono la vista di quel viaggio immaginario nello spazio. Non saprei per quanto tempo abbiamo volteggiato nello spazio su quella coperta, forse alcuni minuti o forse anni e anni luce.

Nel frattempo c'è chi ha riacceso il forno e sta preparando le pizzette al pomodoro con l'impasto che lento lento è cresciuto nella sua ciotola per tutto il pomeriggio.

La porta dell'ingresso si muove scattando annunciando l'ingresso della collega per il cambio turno. Il mio turno sembrava iniziato da poco invece è già finito.

Al momento di chiudere la porta della casa famiglia alle mie spalle mi riempio le narici e le orecchie di quei profumi e di quei suoni; durante la settimana c'è sempre troppo poco tempo per fare tutto. Riempio la mia anima della lentezza della domenica ed ora posso andare via.

La casa profuma delle risate delle bimbe, del profumo delle cose belle.

Il mio turno è già finito.

Ci vediamo al prossimo.

Dott.ssa Pittari Chiara

(Pedagogista, Educatrice presso la Casa Famiglia Murialdo)

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Da un po’ di tempo la mente di noi educatori è talmente colma di pensieri e riflessioni che spesso straripa . Lo scrivere è diventato per noi salvataggio indelebile, la messa al sicuro dei momenti della vita che trascorriamo con in nostri ragazzi.

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mercoledì 14 febbraio 2024

Meglio felici che famosi

MEGLIO FELICI CHE FAMOSI

I genitori devono anche insegnare ai loro figli a gustare la gioia di vivere. Ma che cosa rende veramente felice un bambino?

I genitori dovrebbero insegnare ai loro figli a gustare la gioia di vivere. Ma che cosa rende veramente felice un bambino?

Se ci fosse una risposta a questa grande domanda, se potessimo conoscere la ricetta, che sollievo per i genitori! Come possiamo sapere se non stiamo sbagliando obiettivi e mezzi? Forse tornando all’essenziale, solo all’essenziale. Un bambino non può essere felice nel suo presente e nel suo futuro, se non si sente amato con un amore assoluto e incondizionato. Non perché sia bello, intelligente, affettuoso, gratificante, ma perché è lui.

I genitori possono anche insegnare ai loro figli a gustare la gioia di vivere. Amare la vita significa prestare attenzione positiva e gioiosa a ciò che facciamo, a ciò che vediamo, a ciò che sentiamo, a ciò che desideriamo; significa gioire del bello e del buono prima di lamentarsi del triste, del meno buono o del brutto. Significa credere che l’oggi è pieno di piccole e grandi meraviglie e che lo sarà anche il domani, perché la vita dà a chi cerca. Se questo non è uno dei segreti della felicità, è vicino. Nutrito da questi viatici, come potrebbe un bambino essere veramente infelice?

Il segreto

Alcuni anni fa un’indagine, che ha coinvolto migliaia di madri con almeno un figlio tra i 6 ed i 14 anni, ha dato risultati sorprendenti.

Il 72% delle mamme sogna un figlio calciatore; il 49% lo desidera attore; il 44% presentatore televisivo; il 35% imprenditore.

Queste le risposte per i figli maschi. Per le bambine le cose non cambiano: il 64% delle mamme le vuole cantanti, il 56% presentatrici televisive; il 43% ballerine; il 39% attrici/modelle; il 22% buone madri e buone mogli.

Insomma, le mamme desiderano figli emergenti, di successo. Figli famosi. Che dire?

Il genitore controcorrente ha buon gioco a rispondere. Il figlio che ha una madre ed un padre con attese tanto alte, infatti, è destinato al 90% alla tristezza. Sì, perché, quasi sicuramente, si sentirà in colpa per non essere in grado di realizzare i sogni dei genitori; quasi sicuramente sprecherà il tempo più bello della vita ad inseguire mete impossibili.

Ma vi è un’altra ragione, ben più profonda, che porta a dare ragione al genitore controcorrente. Non tutti gli uomini nascono per diventare famosi, tutti nascono per essere felici!

Il bisogno di gioia è scritto nel nostro patrimonio cromosomico genetico.

Ecco perché la pedagogista Elisabetta Fiorentini non ha dubbi: “Per un bambino, la gioia è importante come il pane e il companatico. Se non di più». Dunque la gioia del bambino non è da prendersi sottogamba!

Lo psicopedagogista Franco Frabboni è tassativo: “Se un bambino non ride, bisogna preoccuparsene!”. Parole vere e severe che hanno forti ricadute operative che il genitore controcorrente pratica in questo modo:

non obbliga il figlio a dimostrare d’essere un genio;

non lo costringe a fare l’adulto in anticipo;

si ricorda d’essere stato bambino pure lui;

non lo tiene inscatolato in casa come le statuine del presepio; 

lo sveglia con un bacio, non accendendo la televisione; 

lo coccola;

gli dà più calore che calorie;

ha sempre in mente il saggio proverbio africano: “Quando due elefanti si combattono, chi ci rimette è l’erba del prato”.

Magnifico programma, impegnativo, ma anche esaltante: far felice un bambino, nobilita l’uomo.

La domenica mattina

Da bambina ero felice ogni giorno di scuola, quando tornavo a casa e mia madre mi vedeva sulla soglia e interrompeva all’istante tutte le attività domestiche, si puliva le mani, si toglieva il grembiule, si rimetteva una ciocca di capelli vagante nell’orecchio e diventava madre. “Sono sicura che stai morendo di fame”, diceva, e questo le dava il via libera per prepararmi uno spuntino, un lungo panino imburrato e una tavoletta di cioccolato. Si sedeva accanto a me, guardandomi divorare, e quando una briciola di pane si attaccava al bordo delle mie labbra, faceva un gesto per rimuoverla sulla sua stessa bocca! Ciò che rende felice un bambino è giocare a nascondino e trovare il nascondiglio giusto, il sottile brivido tra il piacere di sfuggire a chi cerca e il desiderio di essere scoperto.

«Sono i giochi della domenica mattina, quegli abbracci sinceri, le risate e i pianti che vengono portati via, la sensazione potente di essere in una vera famiglia dove non può accadere nulla di brutto o doloroso. Gli stessi gesti, le stesse grida, lo stesso stupore deliziato e la voce languida del bambino che si ferma: “Fermati, papà, fermati ancora, ancora!” Mi stupisco sempre quando vedo e sento la gioia di un bambino al ricordo di un momento felice o imprevedibile con uno dei due genitori» scrive il professor Jacques Salomé. «Per esempio, una delle mie nipoti, Emeline, di sei anni, mi ha raccontato, ridendo di gusto, la reazione di suo padre a uno dei suoi scherzi. “Una domenica mattina, papà era ancora a letto, mezzo addormentato, gli sono saltata addosso, so che gli piace, e gli ho chiesto (con voce molto dolce): “Vuoi che ti lavi i denti? Suo padre, ancora insonnolito, acconsentì con un sussurro. Poi, dopo qualche secondo, in un lampo di lucidità, chiede alla figlia: “Dove hai trovato lo spazzolino? – Nel bidone della spazzatura dei vicini! Poi papà si è svegliato all’improvviso e ha detto “Uh, che schifo!” Aprì completamente gli occhi e mi chiese: “E l’acqua, dove l’hai trovata? – Sono troppo piccola, non potevo aprire il lavandino e quindi l’ho presa dal water!” Poi nonno, avresti dovuto vedere papà, si è alzato, saltando verso il soffitto, ridendo “Non è vero, non è vero! Non avrei mai dovuto mettere al mondo una ragazza così intraprendente!” Ed Emeline conclude, ridendo tra le braccia del padre: “Papà dice sempre che bisogna accontentarsi di quello che si ha!”

La felicità di un bambino è legata alla stabilità emotiva dei genitori e all’affidabilità e coerenza delle loro risposte. Quando, ad esempio, non si parla di lui, ma a lui! Quando non facciamo per lui, ma con lui! Quando si hanno desideri verso di lui, e non su di lui!».

Autore: Pino Pellegrino

Fonte: www.biesseonline.sdb.org

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