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mercoledì 23 dicembre 2015

Educare i bambini alla generosità

EDUCARE I BAMBINI ALLA GENEROSITA’

Tutti i genitori prima o poi si troveranno a gestire un perentorio “è mio!” che sarà il primo di una lunga serie.
E’ una fase normale perché i bambini, fino ai due anni, sviluppano un senso di onnipotenza derivato dall’attaccamento e dalla relazione con la mamma. Una condizione quasi necessaria che regola il vostro rapporto, pratica e semplice: “ho un bisogno e la mamma lo appaga, quindi tutto ciò che ottengo mi appartiene”.
Questa prima fase di onnipotenza viene poi sostituita con la fase del possesso e con la difesa di quest’ultimo.
Queste due fasi sono assolutamente normali fino al raggiungimento della consapevolezza che oltre al “me” esiste anche “l’altro”. Ma è una consapevolezza che si acquisisce gradualmente e che passa dalle esperienze che il bambino farà in seno alla famiglia, e fuori dalla famiglia.
In famiglia si troverà a battagliare con oggetti e affetti da dividere con altri famigliari (i fratellini più grandi o più piccoli, i cugini, i figli degli amici). Fuori di casa invece i due contesti formativi li incontrerà a scuola o nei momenti di svago.
Il primo suggerimento per spiegare al bambino che non tutto quello che lo circonda è suo… è proprio la spiegazione semplice dei concetti di condivisione. Che non deve mai essere aggressiva, né risultare una minaccia, né costituire un violento esproprio: bisogna solo pazientemente spiegare che è bello condividere e che le cose che piacciono a lui piacciono anche agli altri.
Del resto, ben presto incontrerà sul suo cammino qualcuno che è più prepotente di lui e sarà un’occasione buona per spiegare quanto sia spiacevole un comportamento così possessivo. I bambini capiscono molto meglio un principio educativo volto al positivo che non uno volto al negativo.
A tal proposito, un bambino che cresce in un ambiente famigliare ospitale, generoso, e che ama condividere, difficilmente prolungherà la fase dell’affermazione del possesso, perché l’esempio è sempre la cosa più efficace nei primi anni di vita.
Un trucco da usare in caso di “possesso eccessivo” in famiglia è quello di istituire (o portare in casa) oggetti condivisi. Affermandolo. Per esempio: “questi biscotti sono di tutti”, oppure “ questo gioco di società è di tutti e tutti  ci giocheremo insieme”.
Il principio di condivisione è contagioso. E non si deve avere fretta di superarlo con atteggiamenti di rimprovero e minacce. Perché non si farebbe che peggiorare la situazione gettando il bambino non solo nel senso di possesso ma anche nel senso di colpa per le proprie emozioni.
Viceversa, molti genitori sono talmente terrorizzati dall’allevare un piccolo despota egoista che tendono a trasmettere un totale disinteresse e incuria verso le proprie cose. Trovandosi ovviamente a combattere con episodi di giocattoli dimenticati al parco, noncuranza nelle proprie cose, scarso valore per i regali ricevuti.
Anche in questi casi la spiegazione deve essere chiara e messa in pratica con l’esempio. Generosità non significa non avere amore e cura per le proprie cose, significa che una cosa può essere nostra pur condividendola con altri.
In tal senso, quando il bambino vi chiederà di poter usare qualcosa che non gli appartiene, richiedetene la restituzione immediata quando ha smesso di usarla. Controllando e facendo notare che la restituisca nello stato in cui gli è stata consegnata.
Stabilire regole e insegnare ai nostri bambini che sciupare, non curare e sprecare le proprie cose è un atteggiamento negativo tanto quanto il tenere egoisticamente tutto per sé, costituisce una vera armonia dello stare insieme.
Fonte: www.fluirespira.it
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mercoledì 16 dicembre 2015

Un'esistenza sottovuoto

UN'ESISTENZA SOTTOVUOTO

Che si tratti di andare a vivere da soli, di intraprendere un nuovo percorso professionale, di sposarsi o di mettere al mondo un figlio, la costante che sembra accompagnare ogni decisione importante è la tendenza a rinviare, a prendere tempo.

Aspettare, temporeggiare, rimandare, procrastinare: il “lessico familiare” dei giovani adulti del terzo millennio si nutre di interminabili attese, soste forzate, continui rinvii, differimenti a data da destinarsi. Un'esistenza spesso “congelata”, in sospeso, in cui progetti, aspirazioni, propositi di cambiamento faticano a trovare cittadinanza e vengono sistematicamente messi in stand-by in attesa di tempi migliori, di una maggiore stabilità economica o affettiva, di uno stipendio più alto, di una casa più grande o, più semplicemente, del momento giusto. 
Che si tratti di andare a vivere da soli, di intraprendere un nuovo percorso professionale, di sposarsi o di mettere al mondo un figlio, la costante che sembra accompagnare ogni decisione importante è la tendenza a rinviare, a prendere tempo. In molti casi, essa è il frutto di circostanze oggettive, l'inevitabile conseguenza della strutturale precarietà che costituisce l'orizzonte quotidiano delle nuove generazioni: precarietà economica e lavorativa che, quasi fatalmente, si traduce in precarietà esistenziale, nell'impossibilità di immaginare un progetto di vita a lungo termine, nella necessità di ritardare alcuni passaggi decisivi nel percorso di crescita verso l'adultità. Talvolta, però, l'abitudine a differire e rimandare ogni scelta è dettata dalla paura di sbagliare, dal timore di non essere pronti a compiere un passo importante e definitivo, correndo il rischio di rimanere intrappolati in un destino irreversibile. 
Come in una profezia che si autoavvera, tanti giovani scelgono allora di rimanere fermi ai pit-stop, di lasciare in sospeso i propri piani per il futuro, di mettere “sottovuoto” sentimenti, speranze, progetti e aspirazioni in attesa di poterli “scongelare” al momento opportuno, augurandosi che, con il passare dei mesi e degli anni, conservino il gusto e la brillantezza originari e non finiscano con l'avvizzire e trasformarsi in fossili ormai dimenticati. Ma l'attesa, se è vissuta in maniera inerte e rinunciataria e non è accompagnata dall'operosità quotidiana in vista del raggiungimento della meta finale, rischia di prolungarsi a tempo indeterminato e di fiaccare persino l'entusiasmo più ardente. 
Un'esistenza vissuta in pienezza impone, invece, apertura verso il “nuovo”, la volontà di migliorarsi e progredire continuamente, la capacità di adattarsi creativamente alle circostanze che la vita offre ad ognuno, facendone il punto di partenza per costruire una biografia singolare e irripetibile. Significa preferire il vento impetuoso del cambiamento all'indolenza della bonaccia, la laboriosità dell'impegno quotidiano all'indugio dell'esitazione, la vigilanza attiva della speranza all'inerzia della rassegnazione, il dinamismo della ricerca all'attendismo della stasi. 
Aprirsi all'orizzonte del possibile e imparare la difficile arte della “resilienza”: è dunque questo l'unico antidoto per resistere alla tentazione del rinvio, per vincere il rischio dell'acquiescenza, per “vivere” davvero anziché limitarsi a “sopravvivere”.

Prendi forza, datti fiato: 
questo è il tempo di decidere. 
Vuoi davvero esistere 
o soltanto sopravvivere? 
Quante cose non ho fatto mai, 
quante volte ho rimandato a un'altra volta, 
quanti giorni non posso ricordare, 
sottovuoto e vuoti a rendere. 
Non cercare di capire se è fatica o se è paura. 
Senza rabbia né ossessione, 
senza impegno ed ambizione, 
col coraggio di sbagliare... 
Con le mani aperte come il mare 
e la voglia di imparare, 
questa volta non c'è un'altra volta... 
Prendi forza, datti fiato 
per esistere e resistere. 
Senza ruoli e senza costrizioni, 
al di là di dover essere migliore, 
e anche se non mi ricorderò di un giorno, 
io sarò sicuro che ho vissuto. 
Cammino a piedi nudi e sento l'umido, 
sperando di scoprirmi uomo sulla Terra. 
All'improvviso un vento gonfia l'onda 
che si infrange su di me; 
mi fa rinascere, mi lascio esistere. 
Spero di esistere 
ogni attimo che questa vita immensa mi spalanca, 
spero di esistere 
oltre il bisogno di essere una storia o una leggenda, 
spero di esistere, 
di avere dentro sempre tutta questa vita immensa, 
e di resistere, 
vivendo la mia storia anche se non sarà leggenda...
(Max Gazzè, Vuoti a rendere, 2008)

Autrice: Alessandra Mastrodonato
Fonte: www.biesseonline.org

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mercoledì 9 dicembre 2015

Bambini in salute: l'alimentazione nell'infanzia

BAMBINI IN SALUTE: 
L’ALIMENTAZIONE NELL’INFANZIA
I bambini, si sa, sono "clienti" difficili ed esigenti. La maggior parte dei cibi sani e consigliabili non trova gradimento nel loro palato. Ci sono, però, tanti trucchi per contrastare le cattive abitudini e radicare in loro sane abitudini di vita. Il cancro è una patologia strettamente legata al cibo: mangiare correttamente sin da piccoli è il miglior investimento per la salute.
Le preferenze alimentari e l'abitudine a un regolare esercizio fisico si consolidano nei primi anni di vita. Per questo è molto importante insegnare ai più piccoli ad alimentarsi correttamente e invitarli a praticare sport nella giusta quantità.
Diversi studi epidemiologici hanno dimostrato che oltre il 30% dei tumori è associato al tipo di alimentazione seguita e che un consumo di cibi sani fin dalla più giovane età si accompagna a una più bassa incidenza di tumori.
Questo dato è stato confermato anche da un grande studio epidemiologico europeo, lo studio EPIC, al quale anche AIRC ha contribuito.
Un elemento determinante, secondo lo studio EPIC, è l'elevato consumo di vegetali fin dalla più tenera infanzia, a fronte di un apporto contenuto di proteine di origine animale.

Questione di proporzioni
Perché i più piccoli siano sempre svegli e pieni di energie è necessario che l'apporto calorico segua lo schema rappresentato qui sotto.
L'importanza reciproca di pranzo e cena è, purtroppo, spesso invertita: i bambini che mangiano nelle mense scolastiche tendono a non consumare l'intero pasto (spesso perché non gradito), mentre i genitori che lavorano riservano alla sera il menù più completo, favorendo così l'aumento di peso. Durante la notte, infatti, il bambino non ha modo di smaltire le calorie in eccesso.

La colazione è una cosa seria
La colazione del mattino, spesso sottovalutata in Italia, è molto importante perché al risveglio, dopo una media di 10 ore di digiuno, l'organismo ha bisogno di "carburante" per ripartire.Per fare una buona colazione, l'elemento chiave è il tempo. Alzarsi dieci minuti prima per sedersi a tavola è una strategia vincente: non solo si dà al bambino il tempo di svegliarsi con calma e di sentire gli effetti del digiuno notturno, ma si incentiva un inizio della giornata non troppo frenetico.
Una colazione scarsa innesca un vero e proprio circolo vizioso: è facile infatti che il bambino che non mangia al risveglio si butti affamato sulla merenda di metà mattina. Di conseguenza a pranzo non avrà fame. La merenda pomeridiana sarà quindi eccessivamente abbondante e la cena scarsa: in sostanza si sposta il bilancio nutrizionale verso gli spuntini di scarso valore a scapito dei pasti principali.
La merenda di metà mattina dovrebbe essere costituita da un frutto fresco o da semplice pane, meglio se integrale, che fornisce un buon apporto di carboidrati senza l'eccesso di zuccheri e grassi presente invece nelle merendine e nei biscotti.

Educare a stare a tavola

Insegnare ai propri figli a mangiare bene è parte dell'educazione che fornite loro. E poiché l'educazione parte dall'esempio, dovete fare innanzitutto un bilancio delle vostre abitudini alimentari per modificarle se non sono salubri: ne guadagnerà in salute l'intera famiglia.
Per cominciare, la frutta e la verdura sono la base di una sana alimentazione. Ogni giorno sia i bambini sia gli adulti dovrebbero consumarne almeno cinque porzioni, ma raggiungere questi standard con i più piccoli può diventare un'impresa impossibile. Esistono però alcuni "trucchi" per rendere i vegetali più appetibili e per educare i bambini a un corretto comportamento nei confronti dei cibi.
·         Non accettate mai un rifiuto netto
·         Tenete conto dei gusti dei piccoli
·         Non consentite ai bambini di alzarsi da tavola quando vogliono
·         Viceversa, controllate la quantità e la qualità dei bis che richiedono
·         Servite porzioni piccole
·         Evitate di farli mangiare davanti alla TV accesa
·         Fateli partecipare alla preparazione dei piatti
·         Non preparate mai pasti differenziati per i diversi membri della famiglia
·         Non esistono tabù alimentari
·         Ricordate l'unica arma che avete per controllare l'alimentazione di un adolescente che si rende autonomo dalla famiglia  sono le buone abitudini che gli avete dato durante gli anni della scuola primaria.
·         Introducete tutte le verdure, una per una, fin dalla più tenera età
·         La frutta e la verdura
·         Spiegate ai bambini da dove vengono i frutti e le verdure che consumano
·         Anche i più riottosi non resisteranno alla tentazione di assaggiare qualcosa che è stato coltivato da loro stessi per questa ragione quasi tutti i programmi di educazione alimentare prevedono la creazione, a scuola o a casa, di piccoli orti in cui coltivare piante semplici come i piselli o le zucchine, oppure insalate e spinaci. 
·         Giocate con le forme e i colori
·         Se possibile, privilegiate i piatti unici, che uniscono carboidrati, verdure e proteine
·         Dolci, budini e biscotti non sono dei "fine pasto", tranne che in occasioni speciali

Vizi e virtù: indicazioni utili

Gli errori più comuni

1.      I bambini assumono troppe calorie rispetto al loro fabbisogno quotidiano 
2.      La ripartizione delle calorie nei diversi pasti non è quella corretta
3.      Spuntini e merendine sono spesso molto calorici ma scarsi dal punto di vista nutrizionale
4.      Il consumo di proteine animali è eccessivo
5.      Il consumo di carboidrati ad alto indice glicemico come gli zuccheri semplici è eccessivo
6.      Viceversa, i bambini mangiano poca frutta e verdura, ricche di fibre e di vitamine
7.      Spesso manca sulla tavola il pesce, che è invece fondamentale
8.      I bambini mangiano troppo spesso fuori casa pasti preparati industrialmente (con troppi grassi, troppo sale e troppo zucchero)
9.      I piccoli mangiano spesso davanti alla TV e questo favorisce l'obesità perché riduce la capacità di controllare consapevolmente la quantità di cibo ingerito
10.  I bambini fanno troppo poca attività fisica: dopo la scuola, spesso fanno i compiti e guardano la TV, mentre avrebbero bisogno anche di muoversi e giocare

I comportamenti virtuosi

1.      Consumare tre pasti principali, con la giusta ripartizione calorica e limitare a un massimo di due gli spuntini giornalieri
2.      Introdurre quando possibile il piatto unico ben equilibrato
3.      Consumare almeno una volta al giorno alimenti ricchi di amido come pasta, riso o pane, preferendo quelli integrali
4.      Ridurre il consumo di cibi e bevande zuccherate sia nei pasti sia fuori dai pasti
5.      Aumentare il consumo di frutta, verdura e legumi
6.      Limitare il consumo di carni grasse e insaccati, eliminando il grasso
7.      Portare in tavola anche il pesce 
8.      Limitare il consumo di burro a favore dell'olio extravergine d'oliva a crudo, eliminando invece lardo e strutto
9.      Evitare un consumo eccessivo di formaggi grassi
10.  Variare la scelta dei cibi evitando la ripetitività
Fonte: www.airc.it
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mercoledì 2 dicembre 2015

Educare i bambini all'autonomia

EDUCARE I BAMBINI ALL'AUTONOMIA

"Educare significa fornire precocemente al bambino il massimo di autonomia," dice Jaquelin Bickel, esperta di linguaggio e apprendimento infantile e coautrice insieme a Graziella Baracchini Muratorio del libro 'Come educare i figli presto e bene' (Books & Company).
"Insegnare a un bambino a fare da solo e a svolgere piccoli compiti domestici non solo significa renderlo più sicuro di sé e aumentare la sua autostima, ma anche contribuisce a sviluppare le sue intelligenze e a porre le basi per dei buoni risultati scolastici e del suo futuro lavorativo.

"Attività pratiche come riordinare, spazzare, stendere i panni, mangiare da solo... sono infatti più correlate di quanto si pensi ai compiti richiesti dalla scuola", spiega Bickel.


1) Mentre il bambino fa qualcosa da solo, voi "fate la telecronaca", così imparerà a parlare bene.
Per sviluppare l'intelligenza linguistica non basta parlare molto al bambino (che comunque serve), ma ancora più utile è un genitore che commenta a parole quello che il bambino sta facendo, in questo modo si ha l'opportunità di legare ai pensieri del bambino, ancora astratti, il lessico (le parole) e la sintassi (come si costruisce una frase) della lingua italiana.
Ad esempio si deve lasciar che un piccolo apra da solo il rubinetto dell'acqua e mentre lo fa il genitore gli dice (scandendo bene le parole, in modo che sia chiaro il rapporto tra l'azione e il nome dell'oggetto) “alzi la leva del rubinetto...esce l'acqua calda... ora lavi le mani con un po' di sapone...”. E va ripetuta tutte le volte che il bambino si deve lavare le mani, così potrà memorizzare bene la sequenza delle parole.

2) Abituatelo a mangiare da solo il prima possibile.

La prima autonomia che va insegnata a un bambino è quella di mangiare da solo. Si parte durante lo svezzamento mettendogli piccoli pezzi di cibo nel piattino, in modo che se li porti da solo alla bocca, (mentre compie queste azioni non dimenticatevi la "telecronaca" per aiutarlo nello sviluppo linguistico).
Appena più grandicello si passa all'uso del cucchiaino e della forchetta, fino al coltello per tagliare i cibi più morbidi come patate, banane e per spalmare marmellate o formaggini. In parallelo bisogna insegnargli a portare il bicchiere alla bocca e a pulirsi da solo con il tovagliolo. E' anche utile coinvolgere i piccoli nella preparazione di torte e biscotti.
Tutte queste attività sviluppano la manualità e l'imparare a maneggiare le posate, come gli adulti, fa crescere l'immagine di sé e l'autostima.

3) Fategli apparecchiare la tavola e imparerà a contare.

Il momento della cena è anche ottimo per insegnare attività pratiche che saranno utili per quando andrà a scuola. Ad esempio chiedergli di mettere in tavola un piatto per la mamma, uno per il papà, uno per il fratellino, sviluppa la capacitò di contare: 'siamo in quattro, servono quattro piatti'.
Svuotare la lavapiatti e riporre le posate nei cassetti forchette con forchette, cucchiai con cucchiai... rappresenta una prima attività di classificazione.
Inoltre saper apparecchiare richiede di saper allineare i piatti sul bordo del tavolo, con accanto coltello e forchetta, in questo modo il bambino si esercita in un'attività di prescrittura: è come tracciare su un foglio tondi (piatti), bastoni (posate) e puntini (bicchieri).

4) Abituatelo a mettere in ordine i giochi e sarà facilitato nello studio.

I genitori devono insegnare fin da subito a fargli rimettere a posto i giochi e in generale a tenere in ordine e ad aver cura delle sue cose. "L'abitudine all'ordine pratico" dice l'esperta "sarà utile quando il bimbo andrà a scuola, infatti è il prerequisito dell'ordine logico, cioè la capacità di mettere ordine fra le conoscenze."
Se si vorrà facilitare la capacità di studiare con ordine logico, sarà quindi indispensabile abituare precocemente all'ordine pratico.

5) Per prepararlo alla scrittura abbandonate le matite e dategli una scopa o un rastrello.

Per imparare a scrivere bene è molto importante esercitare il bambino all'uso di tutto il braccio. Quindi è meglio evitare, almeno fino ai tre anni, di far impugnare pennarelli e matite, che esercitano solo le punte della dita, ma dargli in mano strumenti più grossolani come scopa o rastrello che coinvolgono tutta la muscolatura del braccio.
Spolverare, spazzare una stanza, rastrellare le foglie in giardino... sono attività che esercitano il piccolo positivamente in compiti di prescrittura pratica e aiutano a prevenire, una volta a scuola, problemi di grafia illeggibile o disgrafia.

6) Saltare la corda, far rimbalzare la palla contro un muro... sono giochi che sviluppano l'intelligenza musicale.
L'intelligenza musicale trova le sue radici più profonde in tutte le attività ritmiche. I tipici giochi che si facevano una volta in cortile sono scanditi da ritmi che sviluppano l'intelligenza musicale: Il gioco della campane, in cui si passa saltando con un piede da una casella all'altra, il gioco di far rimbalzare contro un muro, il salto della corda, spesso associato a canzoncine e filastrocche, l'abitudine alle conte.
Sollecitare i bambini a fare questi giochi "di una volta" e svilupperete la sua intelligenza musicale.

7) Imparare a leggere e scrivere: fate dei libretto con le etichette dei suoi alimenti preferiti.
La relazione fra orale e scritto può essere precocemente messa in evidenza a partire dalle iscrizioni che i bambini vedono sulle confezioni dei loro alimenti preferiti: i succhi, il latte, i biscotti. Un esercizio utile è quello di staccare le etichette più conosciute dal piccolo e attaccarle sui cartoncini e farne dei libretti da sfogliare insieme.
Inoltre per avviare una buona relazione con la lingua scritta è importante che i genitori si dedichino a leggere libri. 
"In genere" dice l'esperta "è opportuno proporre sempre lo stesso libro in modo che il bambino abbia l'opportunità di far proprio il linguaggio elaborato. E ogni tanto collegare l'orale con lo scritto: seguendo col dito il rigo e le parole che vengono lette, indicando i nomi dei personaggi principali, chiedendo al bambino di indicare le parole che inizia a riconoscere o anche solo qualche lettera.

8) Abituatelo a fare i compiti da solo.

Se si fanno sempre compiti col proprio figlio invece di aiutarlo si corre il rischio di impigrirlo, inoltre il bambino finisce di convincersi di essere incapace di lavorare da solo, diminuisce così la sua autostima.
La responsabilità di eseguire da solo i compiti fa parte dell'autonomia logica, cioè l'autonomia nell'apprendimento scolastico. Certo i genitori non si devono disinteressare dei compiti, possono mettersi a disposizione del piccolo ma solo per aiuti occasionali.

9) Le attività extrascolastiche vanno perseguite con impegno costante.

"Coltivare la perseveranza in attività pratiche è un prerequisito all'impegno costante verso futuri compiti intellettuali" spiega l'esperta. "Ad esempio si osservano bambini che scelgono a fini ludici attività extrascolastiche, sportive o musicali, e le abbandonano alla prima frustrazione o alla richiesta di una più intensa partecipazione.
E i genitori in nome della libertà di scelta del piccolo accondiscendono a queste rinunce, contribuendo ad accrescere l'insicurezza e la mancanza di fiducia del figlio." I genitori devono lavorare per favorire e indirizzare i propri figli nel mantenere gli impegni presi in compiti pratici extrascolastici.

10) Aiutatelo a verbalizzare i sentimenti e imparerà l'autocontrollo.

Un'altra educazione importante è quella all'intelligenza emotiva e va fatta dai 6 anni e non prima. Significa che il genitore deve educare il bambino ad esprimere a parole le proprie emozioni: gioia, entusiasmo, ma soprattutto paura, collera e tristezza. Soprattutto verbalizzando le emozioni negative il bambino saprà contenere i comportamenti violenti e impulsivi.
Per insegnare a dare un nome alle emozioni negative il genitore deve cogliere il momento giusto: vicino all'esplosione di rabbia, ma non in contemporanea.
Quindi bisogna aspettare che il piccolo si sia calmato, e subito affrontare il dialogo con parole come: "Ti sei proprio arrabbiato..." Ti senti triste..." e lanciargli il messaggio che è normale provare quei sentimenti e che anche a voi capita. Gli esempi forniti dai genitori sono molto utili per abituarlo all'autocontrollo.
Fonte: www.nostrofiglio.it

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mercoledì 25 novembre 2015

Educare i bambini ad essere sportivi

EDUCARE I BAMBINI AD ESSERE "SPORTIVI"

Lo sport è una componente essenziale per lo sviluppo psicofisico dei bambini, ma è anche importante aiutarli ad approcciare lo sport e l’agonismo in modo sano.
Come fare?
Innanzitutto vanno abituati sin da piccoli a fare attività sportiva. In questo modo cresceranno considerando lo sport come un’attività imprescindibile della loro vita e crescendo non sapranno più farne a meno!
La dimensione ludica soprattutto nelle prime fasi è indispensabile.
Per i bambini lo sport deve essere soprattutto gioco e divertimento, quindi niente costrizioni e non bisogna riversare sui figli le proprie aspettative deluse. Ogni individuo ha propri talenti e proprie abilità e bisogna aiutare i bambini a scoprire quali sono i loro. Inutile e controproducente costringere un bambino ad andare in piscina perché da giovani si è accarezzato il sogno di diventare nuotatore: è invece importante assecondare i bambini nelle loro attitudini e nei loro desideri, ricordano anche a se stessi che fare sport significa prendersi cura della propria salute, del proprio benessere e soprattutto ci si deve divertire.
No alla competizione sfrenata.
L’agonismo è una componente importante dello sport, soprattutto dopo gli otto anni, ma non bisogna caricare i bambini di aspettative, incitarli in modo ossessivo alla vittoria. Non c’è dubbio che la componente competitiva dello sport proviene dagli adulti e dai genitori: per i bambini giocare una partita di calcetto è soprattutto un momento di svago e di puro divertimento.
Un tempo lo sport non era organizzato, ma si caratterizzava soprattutto come gioco libero, nel quale i bambini potevano organizzarsi autonomamente con regole e tempi. Oggi, invece, le società sportive offrono competenze e sicurezza che prima non esistevano, ma è importante che la componente agonistica non superi di gran lunga quella ludica.
Un genitore eccessivamente tifoso può danneggiare l’autostima del bambino ed essere anche un pessimo esempio. 
Chi di noi non è stato spettatore di una partita di calcetto alla quale assistevano genitori accaniti, che se la prendevano con arbitro e allenatore?
Un simile atteggiamento mina la fiducia del bambino, lo carica di frustrazione che alla fine diventa rabbia, mentre il più autentico spirito dello sport viene totalmente dimenticato.
Lo sport, invece, deve permette ai bambini di capire che nella vita spesso si perde, anche se ci si è impegnati al massimo delle proprie possibilità e i genitori hanno il compito di consolarli e aiutarli a metabolizzare la sconfitta. Un insegnamento utile, che si rivelerà utile in tanti aspetti della vita.
Inoltre i bambini di oggi sono già super-impegnati con la scuola a tempo pieno, i compiti e altre attività extrascolastiche e in tal senso un impegno sportivo eccessivo può minarne l’equilibrio, oltre che sovraccaricare il fisico.

Fonte: www.paginemamma.it
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mercoledì 18 novembre 2015

Scambio di foto e nudi in classe

SCAMBIO DI FOTO E NUDI IN CLASSE
Cosa dire ai propri figli

1. Cos’è il sexting? Per sexting si intende spedire, ricevere, condividere testi, immagini o video che riguardano la sfera sessuale e che possono essere diffusi con il telefonino, i tablet, attraverso i social network, i siti, i blog, via sms, mms, bluetooth, con email, chat… Chiunque abbia a che fare con l’argomento (dalla polizia postale alle associazioni che seguono i fenomeni legati a Internet) sa che nel nostro Paese il sexting ha messo radici nella terra dell’adolescenza, soprattutto fra i 13 e i 17 anni, anche se la questione è tutt’altro che sconosciuta agli adulti. Sexting in aumento, dicono gli esperti, ma parliamo di stime perché studi approfonditi non ce ne sono. «L’entità esatta non è ancora chiara ma i dati raccolti finora ci dicono che la condivisione di materiale autoprodotto fra minori è crescente, non in modo allarmante ma crescente» conferma il direttore della polizia postale, Roberto Di Legami, che vede la questione dal punto di vista dei reati che produce. E di sicuro ne produce se a partire dal sexting si arriva al «sextorsion», fusione fra le parole «sesso» ed «estorsione» che sta ad indicare un’altra parabola ascendente della Rete: l’estorsione sessuale.

2. Perché gli adolescenti lo fanno?
Per dirla con lo psichiatra e psicoterapeuta Gustavo Pietropolli Charmet «lo fanno per pura e semplice ricerca del potere». In sostanza si  spogliano per verificare il potere della propria seduttività erotica. Finché sono adulti e consapevoli va tutto bene, i problemi ovviamente nascono con i minorenni. Internet è impersonale, abbassa le barriere del pudore e, soprattutto, ha un pubblico planetario che guarda e clicca sulla manina con il pollice alzato — i «like» —, spesso vera e unica attrazione sia per chi decide di condividere un’immagine dal contenuto sessuale esplicito sia per chi diffonde immagini al trui e resta alla finestra virtuale del Web a vedere l’effetto che fa. Tanti «like» significa autostima, tanto consenso che magari si è cercato inutilmente nel popolo reale prima che in quello virtuale.
È la ricerca del successo e dell’affermazione di sé non trovati nella vita quotidiana. Ma per gli psicoterapeuti è anche un’ammissione di fragilità e di disagio, un campanello d’allarme che rivela quel sentirsi inadeguati tutto adolescenziale davanti alla vita reale. Tutto questo immaginando la volontà di apparire, appunto. Ma come ci raccontano molti casi di cronaca, non sempre la condivisione di contenuti sessuali passa dalla volontà degli interessati.

3. Quali sono i rischi?
Facciamo l’esempio più classico. Una coppia minorenne che si scambia fotografie a sfondo sessuale via telefonino. Tanto per capirsi: lo scambio in sé sconfina nel terreno della pedopornografia nel momento stesso in cui la foto viene diffusa. È un reato. Dopodiché è chiaro che il problema giuridico non si porrà mai se le immagini resteranno per sempre nella memoria del telefonino di chi le riceve. Ma le storie di chi ha finito col diventare vittima di una diffusione non voluta insegnano che anche le intenzioni più innocenti possono cambiare nel tempo, per esempio se quella coppietta si lascia e uno dei due si vendica proprio facendo diventare pubblici gli scatti. Ernesto Caffo, docente di neuropsichiatria infantile all’Università di Modena e Reggio Emilia nonché fondatore di Telefono Azzurro ricorda un altro dei rischi del sexting: «Non è certo una novità scoprire che dietro account di persone che si dichiarano giovanissime ci siano alcune volte adulti che usano la Rete per adescare minori.
Capita che in pochi secondi un’azione fatta senza la consapevolezza delle conseguenze abbia un impatto poi drammatico sulla vita di questi ragazzi che vivono nella Rete, mentre i loro genitori in quel mondo si muovono incerti e insicuri».
4. Cosa possono fare i genitori?
Ecco il problema dei problemi. Tanto per cominciare «bisogna stare calmi perché siamo adulti» è il consiglio base di Matteo Lancini, psicologo, psicoterapeuta e presidente della Fondazione Minotauro (istituto di analisi dei codici affettivi). «L’errore più grave è mostrare lo stato di ansia e di agitazione che impedisce ai ragazzi di trovare nel padre o nella madre una risorsa per chiedere aiuto. Punire, arrabbiarsi, togliere il telefonino, è un modo per riprendersi l’autorità a basso tempo ma non funziona. Così minimizzeranno, nasconderanno, banalizzeranno. E invece bisogna parlare, lasciare lo spazio perché loro esprimano le ragioni per ciò che hanno fatto».

Parlare significa «far capire che c’è un disvalore penale in quello che fanno» riassume Carlo Solimene, direttore della Divisione investigativa della polizia postale. «Noi solo l’anno scorso abbiamo incontrato 400 mila giovani per fare educazione alla Rete. Sarebbe una buona cosa se prima di noi la facessero i genitori spiegando ai figli che in Internet niente è mai anonimo e che quindi non vale pensare di non essere scoperti oppure che diffondere un’immagine a sfondo sessuale può produrre danni enormi alla persona e guai giudiziari molto seri». Charmet rimuove il problema alla radice: «Sarebbe meglio rinunciare a guardare cosa c’è nel telefonino».
Paidòs Onlus
dalla parte dei bambini, SEMPRE