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mercoledì 24 gennaio 2024

Paura della scuola

 PAURA DELLA SCUOLA: 

COS’E’ E COME SI PRESENTA

Quando finii la scuola media, davanti a me avevo un'estate diversa: l'estate prima delle scuole superiori. Provai una certa ansia dovuta a quanto ci ripetevano costantemente, in parte, gli insegnati della scuola media e, in parte, i miei genitori. Non solo. Quest'ansia era sostenuta anche dalle mie "fantasie" di preadolescente a cui poi sommavo quelle degli altri miei amici. 

‘’Quando poi cominciai la scuola superiore non ricordo esattamente come andò, ma ricordo che a dicembre ero già ambientato e impegnato non solo con le attività scolastiche ma anche quelle extra-scolastiche che mi entusiasmavano tantissimo.’’

Eppure non sempre un percorso scolastico è così lineare e sereno per lo studente, i suoi genitori e gli insegnanti. Molte volte infatti la scuola può essere vissuta con un generale senso di noia, con una sensazione di ansia paralizzante la persona, con un senso di paura, disistima, vergogna e disprezzo.

A tal fine è tuttavia necessario sottolineare la profonda differenza che corre tra chi non va a scuola e chi teme la scuola. Chi tende a "marinare" la scuola non prova il disagio avvertito dai secondi, non sembra aver investito sulla scuola, sui compagni, sulla rete che gli è attorno. Questi potrebbe girovagare nella città per opposizione ai genitori, per ragioni che non sempre sono dovute a lacune o ritardi nella scolarizzazione. Egli potrebbe sviluppare delle tendenze antisociali in virtù di una mancata, più o meno, disciplina all'interno della famiglia.

Ciò che invece succede ai ragazzi che temono la scuola è ben diverso, facente parte di un fenomeno che solo apparentemente parrebbe "di moda" ma che descrive primariamente il nostro sistema scolastico (guidato sempre più da valori improntati al solo sviluppo delle competenze e della competizione) e la nostra società, le cui famiglie prestano una maggiore attenzione al rendimento scolastico non immaginando che questo è mediato sempre e comunque dalla sfera affettiva: lo stato di benessere/malessere con cui mi appresto ad apprendere.

Per tali ragioni gli esperti parlano di fobia scolastica che rientra tra le tante cause che porterebbero all'abbandono scolastico e che si presenta sotto due forme: durate la scuola primaria (nell'infanzia) o nel corso della scuola di primo e sopratutto secondo grado (nella pubertà e nell'adolescenza) 

Fobia scolastica e infanzia

Per quanto riguarda la prima forma di fobia scolastica essa è meno grave della seconda ed interessa soprattutto i bambini.

Si manifesta sotto forma (a) d'ansia e malesseri fisici al momento del distacco da casa e per mezzo di (b) pensieri e fantasie catastrofiche che riguardano loro e i genitori: temono di essere abbandonati, che i genitori muoiano o che non siano presenti al loro ritorno a casa.

Questi bambini sembrano sentirsi tranquilli solo quando sono a casa, facendo così pensare ad alcune difficoltà relazionali e di separazione che appartengono dapprima ai loro genitori: una parte di loro vorrebbe avere vicino il figlio il quale però, avvertendo queste difficoltà e preoccupazioni, risponde assecondandole, vivendole sulla sua pelle.

Fobia scolastica e adolescenza

Molto più complessa è tuttavia la comparsa della fobia scolastica negli adolescenti, la quale non è più studiata e compresa in concordanza alle sole difficoltà di separazione ma come conseguenza di un ventaglio di cause molto più ampio sul cui sfondo vi è anzitutto il cambio da uno stile di scuola più "materno" a un altro che richiede una maggiore autonomia, responsabilità e comporta la capacità di interrompere i legami con l'ambiente per sedersi su una scrivania, aprire il quaderno e svolgere i compiti; scelte e comportamenti che sottendono che l'adolescente sia in grado di dire "no" alle "seduzioni del mondo": alla televisione, allo schermo del pc e del cellulare, agli amici, alle richieste dei corpo, alla famiglia. Come ricorda il pediatra e psicoanalista Winnicott, egli deve essere capace di interessarsi a ciò che non lo riguarda per niente.

A ciò poi s'accompagna l'affermarsi di un corpo sessuato che mette ancor più in difficoltà gli adolescenti poiché le sensazioni che esso genera spingono a nuove scoperte, nuovi interessi, nuovi bisogni che potrebbero spaventare, essere visti come i responsabili di una serie di conflitti che fanno dimenticare la precedente pacifica armonia interna.

Se nell'età infantile la crescita avviene prevalentemente all'interno della famiglia e la scuola esiste come struttura parallela, nell'adolescenza essa diviene centrale, il primo nucleo dei legami e di sviluppo, il luogo in cui l'adolescente:


·       deve affrontare di "sfilare sulla passerella della scuola" ed esporsi allo sguardo e ai giudizi negativi o positivi dei coetanei: dal taglio di capelli alle scarpe, dallo zaino agli occhiali da sole, dal modello di cellulare a quello della band ascoltata ecc.;

·       deve affrontare il giudizio di un team di adulti che di mestiere fa proprio quello di valutare gli adolescenti; stimare se han compreso le "cose strane" che sono successe nel pianeta dall'antichità ai giorni nostri.

Per questi motivi, la mole di lavoro che spetta loro durante questo periodo di vita non permette più di focalizzarsi per imparare solo dai libri ma anche da questa serie di cose, non meno semplici, trasversali e ugualmente importanti: nessun adulto, arrivando in ufficio, è esposto a cosi tanti rischi, novità e insicurezze.

Adolescenza e Web

Per queste stesse ragioni allora essa può spaventare, può diventare sempre più faticosa, frustrante e opprimente, tanto da generare inizialmente la vergogna di sentirsi esposti agli occhi degli altri come fallimentari e disprezzabili e poi la cosiddetta fobia e paura scolastica.

Questa frattura, nei casi più drammatici, porta a diverse conseguenze e diverse tipologie di quadri clinici. Tra questi vi è il ritiro dal mondo reale al quale segue, oramai sempre più spesso, un ritiro nel mondo virtuale in cui c'è:

 

·       un movimento compensatorio come conseguenza alle tante amarezze per il fallimento scolastico, l'isolamento e la perdita del gruppo di coetanei;

·       la prevedibilità dei gesti, la controllabilità degli oggetti;

·       la mancanza di complessità e contraddittorietà tipica delle relazioni reali;

Ciò che allora si rende necessario è che l'adolescente trovi uno spazio per poter condividere con un esperto cosa gli sta succedendo fisicamente, affettivamente, socialmente e cognitivamente; uno spazio in cui non si pretenda che la guarigione costituisca il ritorno a scuola ma che gli dia delle motivazioni rispetto a ciò che è accaduto, ciò che ha interrotto il suo sviluppo, così da poter decidere più coscientemente come comportarsi.

Fonte: www.guidapsicologi.it

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giovedì 11 gennaio 2024

non riusciamo più a guardarci negli occhi

 NON RIUSCIAMO PIU' A GUARDARCI NEGLI OCCHI

Uno dei segni della fretta che condiziona le persone del nostro tempo è l'incapacità crescente di comunicare con gli occhi. I contatti tra le persone si sono moltiplicati: internet, e-mail, telefonino... E ci stiamo dimenticando del contatto più semplice: il contatto visivo.

In famiglia, scompaiono le occasioni che consentivano alle persone di “guardarsi”. Una statistica afferma che il tempo medio che un genitore trascorre con un figlio adolescente è attualmente stimabile in 12 minuti al giorno. Anche il pasto della sera non viene più consumato insieme, per le troppe attività in cui ciascuno è impegnato e i diversi gusti televisivi. Dei 12 minuti, almeno 10 vengono impiegati per dare istruzioni o verificare l'esecuzione di quelle impartite il giorno precedente, gli altri minuti si esauriscono in questioni poco significative.

È così che diventa realmente possibile la preghiera ormai classica: «Signore, fammi diventare un televisore, così la mia mamma e il mio papà mi guarderanno un po' di più».

Il contatto visivo è guardare direttamente una persona negli occhi. La maggioranza della gente non capisce quanto questo contatto sia vitale. Quasi tutti però conoscono il disagio di una conversazione con qualcuno che guarda costantemente altrove e che è incapace di guardare in faccia l'interlocutore.

Le persone hanno bisogno di essere guardate. A che cosa servono le tante cure al vestito, al look, al corpo se non per attirare l'attenzione e lo sguardo degli altri? Anche il piercing, i tatuaggi e le spesso sconcertanti originalità degli adolescenti sono l'inquietante invocazione: «Guardatemi!».

Il contatto visivo è essenziale non solo per comunicare con i bambini ma per soddisfare i loro bisogni emotivi. Il bambino utilizza il contatto visivo con i genitori per nutrirsi emotivamente. Con gli occhi si comunica amore. Lo sanno bene gli innamorati. Tutti sentono la profonda emotività della frase «Mangiarsi con gli occhi». Anche l'evangelista Marco nell'episodio dell'incontro tra Gesù e il giovane ricco, afferma: «Gesù, fissatolo, lo amò...».

Lo sguardo dei genitori significa amore, attenzione reale, apprezzamento e interesse. Gli occhi dei genitori sono una fonte di valore e una forma di nutrimento morale ed emotivo. Un figlio moltiplica il proprio impegno se si sente guardato dai genitori. Purtroppo molti genitori sono occupati a far tante cose per i propri figli e poi si dimenticano di “guardarli”.

Ormai è provato: lo sguardo caldo e incoraggiante dell'insegnante aumenta l'impegno dell'alunno, lo aiuta a capire meglio ciò che gli viene detto. Così pure è certo che i bambini memorizzano meglio le fiabe raccontate guardandoli negli occhi.

Insomma, la mancanza del contatto visivo è un danno umano di non poco conto e non utilizzarlo sarebbe da irresponsabili. Anche perché esiste il pericolo della sua scomparsa (o quasi) a causa della inarrestabile e sempre più invadente comunicazione digitale! L'insidia è davvero alta. Il cellulare, il tablet, lo smartphone connettono, ma non mettono in relazione.

• I “connessi” non sentono la vibrazione dello stare vicino l'uno all'altro, del guardarsi, dello sfiorarsi.

• Si è scoperto che i ragazzi che chattano molto non arrossiscono più ed hanno difficoltà a fissarsi negli occhi. Questa è povertà umana!

• Nei campi di concentramento tedeschi era severamente proibito ai prigionieri guardare negli occhi le guardie di sorveglianza, per timore che queste avrebbero potuto intenerirsi ed essere meno dure.

I contatti sbagliati

Fin qui tutto pare correre liscio. In realtà non è così. Non tutti i contatti visivi, infatti, hanno valenza umanizzante.

Vi sono contatti sbagliati che danneggiano la nostra crescita umana ed altri che la favoriscono.

• Quello dell'occhio poliziesco dei genitori che controllano ogni mossa del figlio, lo pedinano tutto il giorno, gli soffiano continuamente sul collo, gli razionano i metri di libertà. L'occhio poliziesco non è fattore di crescita: potrà fare un disciplinato, ma non un educato. “Mai la catena ha fatto buon cane”, recita l'indovinato proverbio.

• Un secondo tipo di contatto visivo sbagliato è quello dell'occhio minaccioso, fulminante. “Guardami negli occhi!”, urlano alcuni genitori che si dimenticano che la paura non ha mai innalzato alcuno, ma ha sempre solo formato nani.

• Terzo tipo di contatto visivo sbagliato (il peggiore tra tutti!) è quello dell'occhio indifferente. L'indifferenza è sempre insopportabile: ti gela l'anima, ti fa perdere la voglia d'essere al mondo. L'indifferenza è la sorella gemella della crudeltà!

I contatti buoni

Passiamo ai contatti buoni.

• Contatto buono è quello dell'occhio generoso che vede ciò che nessuno vede.

Un tale si era innamorato della celebre cantante e ballerina Elena Sontag che vedeva stupenda.

Un giorno un amico gli disse: “Ma non hai notato che la signorina ha un occhio più piccolo dell'altro?”.

“Macché - ribatté il convinto ammiratore - “ha un occhio più grande dell'altro!”.

A questi livelli di generosità (di umanità) possono arrivare gli occhi generosi, i più apprezzati dai pedagogisti che sono d'accordo con la magnifica intuizione dello scrittore francese François Mauriac: “Amare qualcuno significa essere l'unico a vedere un miracolo che per tutti è invisibile”.

• Buono è il contatto visivo incoraggiante che dà la spinta e fa volare alto.

• Buono è il contatto visivo accogliente che ti avvolge come un manto ripieno d'amore e di empatia. Un contatto visivo con tali caratteri ha più valenza umanizzante di tutti i milioni di contatti digitali del mondo messi insieme

Autore: Pino Pellegrino

Fonte: www.biesseonline.sdb.org

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