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martedì 29 dicembre 2020

Non abbiamo più tempo di guardarci negli occhi

 NON ABBIAMO PIU' TEMPO DI GUARDARCI NEGLI OCCHI

Uno dei segni della fretta che condiziona le persone del nostro tempo è l'incapacità crescente di comunicare con gli occhi. I contatti tra le persone si sono moltiplicati: internet, e-mail, telefonino... E ci stiamo dimenticando del contatto più semplice: il contatto visivo.

In famiglia, scompaiono le occasioni che consentivano alle persone di “guardarsi”. Una statistica afferma che il tempo medio che un genitore trascorre con un figlio adolescente è attualmente stimabile in 12 minuti al giorno. Anche il pasto della sera non viene più consumato insieme, per le troppe attività in cui ciascuno è impegnato e i diversi gusti televisivi. Dei 12 minuti, almeno 10 vengono impiegati per dare istruzioni o verificare l'esecuzione di quelle impartite il giorno precedente, gli altri minuti si esauriscono in questioni poco significative.

È così che diventa realmente possibile la preghiera ormai classica: «Signore, fammi diventare un televisore, così la mia mamma e il mio papà mi guarderanno un po' di più».

Il contatto visivo è guardare direttamente una persona negli occhi. La maggioranza della gente non capisce quanto questo contatto sia vitale. Quasi tutti però conoscono il disagio di una conversazione con qualcuno che guarda costantemente altrove e che è incapace di guardare in faccia l'interlocutore.

Le persone hanno bisogno di essere guardate. A che cosa servono le tante cure al vestito, al look, al corpo se non per attirare l'attenzione e lo sguardo degli altri? Anche il piercing, i tatuaggi e le spesso sconcertanti originalità degli adolescenti sono l'inquietante invocazione: «Guardatemi!».

Il contatto visivo è essenziale non solo per comunicare con i bambini ma per soddisfare i loro bisogni emotivi. Il bambino utilizza il contatto visivo con i genitori per nutrirsi emotivamente. Con gli occhi si comunica amore. Lo sanno bene gli innamorati. Tutti sentono la profonda emotività della frase «Mangiarsi con gli occhi». Anche l'evangelista Marco nell'episodio dell'incontro tra Gesù e il giovane ricco, afferma: «Gesù, fissatolo, lo amò...».

Lo sguardo dei genitori significa amore, attenzione reale, apprezzamento e interesse. Gli occhi dei genitori sono una fonte di valore e una forma di nutrimento morale ed emotivo. Un figlio moltiplica il proprio impegno se si sente guardato dai genitori. Purtroppo molti genitori sono occupati a far tante cose per i propri figli e poi si dimenticano di “guardarli”.

Ormai è provato: lo sguardo caldo e incoraggiante dell'insegnante aumenta l'impegno dell'alunno, lo aiuta a capire meglio ciò che gli viene detto. Così pure è certo che i bambini memorizzano meglio le fiabe raccontate guardandoli negli occhi.

Insomma, la mancanza del contatto visivo è un danno umano di non poco conto e non utilizzarlo sarebbe da irresponsabili. Anche perché esiste il pericolo della sua scomparsa (o quasi) a causa della inarrestabile e sempre più invadente comunicazione digitale! L'insidia è davvero alta. Il cellulare, il tablet, lo smartphone connettono, ma non mettono in relazione.

• I “connessi” non sentono la vibrazione dello stare vicino l'uno all'altro, del guardarsi, dello sfiorarsi.

• Si è scoperto che i ragazzi che chattano molto non arrossiscono più ed hanno difficoltà a fissarsi negli occhi. Questa è povertà umana!

• Nei campi di concentramento tedeschi era severamente proibito ai prigionieri guardare negli occhi le guardie di sorveglianza, per timore che queste avrebbero potuto intenerirsi ed essere meno dure.

I contatti sbagliati

Fin qui tutto pare correre liscio. In realtà non è così. Non tutti i contatti visivi, infatti, hanno valenza umanizzante.

Vi sono contatti sbagliati che danneggiano la nostra crescita umana ed altri che la favoriscono.

Quello dell'occhio poliziesco dei genitori che controllano ogni mossa del figlio, lo pedinano tutto il giorno, gli soffiano continuamente sul collo, gli razionano i metri di libertà. L'occhio poliziesco non è fattore di crescita: potrà fare un disciplinato, ma non un educato. “Mai la catena ha fatto buon cane”, recita l'indovinato proverbio.

• Un secondo tipo di contatto visivo sbagliato è quello dell'occhio minaccioso, fulminante. “Guardami negli occhi!”, urlano alcuni genitori che si dimenticano che la paura non ha mai innalzato alcuno, ma ha sempre solo formato nani.

• Terzo tipo di contatto visivo sbagliato (il peggiore tra tutti!) è quello dell'occhio indifferente. L'indifferenza è sempre insopportabile: ti gela l'anima, ti fa perdere la voglia d'essere al mondo. L'indifferenza è la sorella gemella della crudeltà!

I contatti buoni

Passiamo ai contatti buoni.

• Contatto buono è quello dell'occhio generoso che vede ciò che nessuno vede.

Un tale si era innamorato della celebre cantante e ballerina Elena Sontag che vedeva stupenda.

Un giorno un amico gli disse: “Ma non hai notato che la signorina ha un occhio più piccolo dell'altro?”.

“Macché - ribatté il convinto ammiratore - “ha un occhio più grande dell'altro!”.

A questi livelli di generosità (di umanità) possono arrivare gli occhi generosi, i più apprezzati dai pedagogisti che sono d'accordo con la magnifica intuizione dello scrittore francese François Mauriac: “Amare qualcuno significa essere l'unico a vedere un miracolo che per tutti è invisibile”.

• Buono è il contatto visivo incoraggiante che dà la spinta e fa volare alto.

• Buono è il contatto visivo accogliente che ti avvolge come un manto ripieno d'amore e di empatia. Un contatto visivo con tali caratteri ha più valenza umanizzante di tutti i milioni di contatti digitali del mondo messi insieme

Autore: Pino Pellegrino

Fonte: www.biesseonline.sdb.org

 

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mercoledì 28 ottobre 2020

Smartphone ai bambini: pro e contro

SMATPHONE: PRO E CONTRO

Gli smartphone vengono dati sempre prima ai bambini. Niente di strano, dato che sono nati nell'era della tecnologia. Spetta ai genitori decidere quando è giusto che il bambino inizi a usarlo, valutando pro e contro.

 

I cellulari giocano un ruolo sempre più importante nella vita dei bambini. Genitori, pedagoghi, psicologi e tecnologi, pubblicitari, case di produzione e rivenditori hanno opinioni molto diverse al riguardo. Volete sapere se è il caso o meno di introdurre uno smartphone nella vita dei vostri figli? In questo articolo vi aiutiamo a capire se dare lo smartphone ai bambini è l’opzione migliore presentando 7 vantaggi e 7 svantaggi,

Cosa è uno smartphone?

Uno smartphone, letteralmente telefono intelligente, è un cellulare con una connessione superiore, con una capacità di immagazzinare dati e applicazioni maggiore rispetto a un comune telefono. È un computer tascabile.

È stato detto molto sull’uso improprio dello smartphone durante l’infanzia, e a partire da un’età sempre più precoce. Bisogna dare lo smartphone ai bambini o no? Per prendere la decisione giusta, dobbiamo analizzare vantaggi e svantaggi e decidere cosa è meglio per i nostri figli e per le nostre dinamiche familiari.

Dare lo smartphone ai bambini e vantaggi

1. Fanno parte della realtà

Viviamo in un’era profondamente tecnologica, per cui negare al bambino l’accesso a uno smartphone può essere controproducente. Come spiegargli che può fare male, che può nuocere alla sua salute pur permettendogli di giocare con computer e tablet?

2. Un’opportunità per imparare

Dopo le lezioni, l’uso dello smartphone suggerito dai maestri può dare un input al bambino affinché cerchi informazioni sull’argomento trattato in classe. Questo lo aiuterà a usare strumenti educativi, a cercare informazioni interessanti per una data materia e a rafforzare la capacità di fare una ricerca attenta invece di un semplice plagio.

3. Sicurezza e contatto

I genitori possono usare il cellulare per rimanere in contatto con i propri figli, per sapere come stanno e dove si trovano, e per intervenire in caso di emergenza. Molti cellulari sono dotati di sistema GPS, che permette ai genitori di tracciare il dispositivo e, quindi, di sapere dove si trova il bambino.

4. Incentiva il senso di responsabilità

Permettere l’uso dello smartphone ai bambini può insegnare loro a essere responsabili. Non solo prendendosi cura del dispositivo, ma anche stabilendo tempo e condizioni di utilizzo dello stesso.

5. Strumenti di apprendimento

Gli smartphone possono aiutare i bambini a usare calendari per sapere quali sono le date delle interrogazioni, per creare note vocali utili a ricordare qualcosa di loro interesse, per salvare i numeri di telefono dei genitori, degli insegnanti, degli amici.

Possono anche fotografare un grafico fatto alla lavagna, il che li aiuterà nel processo di apprendimento.

Smartphone ai bambini e svantaggi

Ovviamente non è tutto rose e fiori. Ci sono anche zone d’ombra, rischi e pericoli dietro l’utilizzo degli smartphone. A seguire vi presentiamo alcuni svantaggi di una precoce introduzione dei bambini alla tecnologia.

1. Le abilità manuali ne risentono

Un bambino ha bisogno di imparare ad afferrare una matita e a scrivere prima di imparare a usare lo smartphone. La pinza che riproduce con l’indice e il pollice è uno dei tratti fondamentali dello sviluppo psicomotorio del bambino. Secondo alcuni studi, introdurre precocemente e senza limitazioni di tempo cellulari e tablet allontana il bambino a questo semplice, ma fondamentale, movimento.

2. Il linguaggio scritto ne risente

I bambini che interagiscono attraverso la chat, i messaggi di testo o i social network tendono ad abbreviare le parole e a comunicare solo con immagini, il che può influire negativamente sulla proprietà di linguaggio scritto. Quest’ultimo è uno strumento basilare per il futuro impegno in studi universitari.

3. Isolamento sociale

Come succede con i videogiochi, l’uso costante dello Smartphone comporta l’isolamento sociale. Il bambino gioca, naviga, interagisce sui social network, ma non comunica con gli esseri umani che lo circondano. Sviluppare abilità sociali è una parte importante dello sviluppo.

4. Poco movimento e più obesità infantile

L’uso improprio dello smartphone porta il bambino a rimanere seduto o sdraiato sul letto molto a lungo. La mancanza di attività fisica ha serie ripercussioni sulla qualità di vita dei ragazzi. Prevenite l’obesità infantile!

5. Perdita della privacy

Lo smartphone ha tutte le caratteristiche per tenere un registro sulla vita quotidiana. I bambini possono fare foto e video da condividere in qualunque social network. La vita si riduce a ottenere un “mi piace”, un commento o a guadagnare un follower. La loro privacy è esposta a chiunque, il che può avere serie conseguenze, come quelle che stiamo per riportare.

6. Vittima o carnefice del cyberbullismo

L’uso smodato del cellulare espone i bambini al cyberbullismo o ai maniaci sessuali. Il bambino potrebbe caricare per errore una fotografia o un video privato e diventare vittima di ricatto. O, al contrario, potrebbe fotografare o condividere un contenuto privato di un altro bambino e trasformarsi nel carnefice. Bisogna prestare la massiam attenzione.

Cosa possono fare i genitori?

Il ventaglio di svantaggi e vantaggi sull’uso dello smartphone da parte dei bambini è davvero ampio. Spetta ai genitori tenere sotto controllo l’uso che i propri figli fanno del dispositivo e dell’accesso a internet. Ci sono molte applicazioni utili a tale scopo, per cui la questione è informarsi, valutare e decidere.

Allo stesso tempo, è importante accompagnarli nel processo di educazione digitale. Dobbiamo stare attenti e presenti e sapere cosa fanno i bambini, quali contenuti visitano e condividono. Se usati nel modo corretto, gli smartphone sono un meraviglioso strumento.

Fonte: www.viverepiusani.it

 

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martedì 20 ottobre 2020

Bambini felici? Diamogli tanta serenità

BAMBINI FELICI? DIAMOGLI TANTA SERENITA'

La serenità crea uno stato emotivo che permette di vivere leggeri, sani, solari. La serenità ci migliora sempre, mentre la tristezza ci peggiora sempre.

Sono parole pesate quelle che diciamo; così pesate che Franco Frabboni psicopedagogista dell'Università di Bologna ci avverte: “Se un bambino non ride, bisogna preoccuparsi e se, nonostante tutti gli sforzi non riusciamo a farlo ridere, è bene rivolgersi ad uno specialista”.

A conti fatti, si potrebbe dire che chi non ride, ha sbagliato a nascere. Si potrebbe dire che vivere e ridere vanno di pari passo. Uno dei più originali e acuti pensatori del secolo scorso, Theilhard de Chardin sosteneva che “La gioia di vivere è la più grande potenza cosmica!”.

Alcuni dicono che il mondo è di chi si alza presto al mattino. Sbagliato! Il mondo non è di chi si alza presto, ma di chi è felice di alzarsi!

Chi è felice di alzarsi vive; chi non lo è, si lascia vivere. Insomma, è dovere passare alla serenità.
Ne va di mezzo la nostra crescita umana! Che fare, dunque?
Proponiamo alcune mosse concrete.

Evitiamo i trabocchetti
Non complichiamoci la vita. Perché crogiolarsi con mille ansie? Perché usare la testa come portaspilli? Liberiamoci dai trabocchetti in cui tanti inciampano con pesanti conseguenze per la serenità. La mente corre immediatamente ai tre trabocchetti più frequenti nei quali cadono i genitori d'oggi.
• Primo trabocchetto: il trabocchetto del 'bambino da manuale'. Sul libro di Psicologia è scritto che il piccolo a tre mesi deve fare il primo vero sorriso; al termine dell'anno deve iniziare a parlare; dopo otto minuti dalla pappa, deve fare il ruttino... “Ma il nostro non si comporta così! Sarà anormale?”.
• Secondo trabocchetto: il trabocchetto del 'bambino del vicino': “Quello sì che è bravo! Studia, ubbidisce, aiuta, non come il nostro che...”.
• Terzo trabocchetto: il trabocchetto del 'bambino televisivo'. Il bambino televisivo è sempre perfetto: intelligente, biondo, non suda mai, non fa capricci. “Il nostro, invece, è un disastro!”.
Perché abboccare? Il bambino da manuale è un'astrazione che si trova solo sulla carta. Il bambino del vicino potrebbe essere un'illusione: il prato che confina con il nostro potrebbe essere artificiale. Il bambino televisivo è, quasi sempre, una truffa interessata.
Insomma, godiamoci il nostro bambino che è un capolavoro come lo sono tutti (ognuno in modo unico e irripetibile!) i bambini del mondo!

Godiamoci le gioie senza soldi
Vi sono occasioni di felicità sparse ovunque, lungo tutta la giornata che non richiedono soldi.
Nulla è più facile che esemplificare:
• Guardare un bambino che ride.
• Accarezzare chi ci ama.
• Ritrovare un oggetto che avevamo smarrito.
• Sentire lo squillo del telefono quando si è innamorati.
• Ricevere gli esami fatti all'ospedale, attestanti che non vi è da preoccuparsi per niente.
• Svegliarsi dopo aver dormito bene.
• Contemplare il tramonto.
• L'onda calma del mare che mi accarezza i piedi.
• La trasparenza di un lago alpino.
• Il sussurro delle foglie sugli alberi.
• La coda dello scoiattolo.
• La trota con i puntini rossi.
• La simmetria delle stelle marine.
• Sentire il canto del cardellino che, dopo il lungo inverno, annuncia l'arrivo della primavera...
L'elenco potrebbe benissimo continuare.
Grazie a Dio vi sono nel mondo i germi gratuiti di felicità sparsi ovunque.
Chi è saggio li trova e li assapora per dare ossigeno alla gioia di vivere, la potenza più forte del mondo, capace di fare della terra la prova generale del paradiso.

Spargiamo gioia
Molti lettori, forse, ricorderanno il noto frate francescano che parlava alla televisione, Padre Mariano. Ebbene, questo padre che incontrava la simpatia di tutti, aveva un meraviglioso motto di sole quattro parole: “Dare gioia, che gioia!”. Verissimo!
La gioia è una merce strana; più ne dai e più ne hai! Più la dividi e più si moltiplica. La semini nel giardino del vicino e la vedi fiorire nel tuo!
Lo scrittore e patriota Nicolò Tommaseo riassumeva tutta la sua filosofia sulla gioia in questa frase: “Il più felice dei felici è chi fa altri felici”. Gesù era stato ancora più sintetico: “È più bello dare che ricevere” (At 20, 35).
D'ora in poi, dunque, non è più il caso di chiedere d'essere felice, basterà chiedere d'essere utile: la gioia verrà data per giunta... e sarà un passo da gigante sulla strada del nostro farci uomini umani!

PASSA PAROLA
• Un sorriso fatto ai vivi è meglio di una fontana di lacrime sparse per i morti.
• A tavola una bella risata è la miglior portata.
• La gioia non ha bisogno di sbornie!
• Se riesci a riderci sopra, vuol dire che tutto andrà a posto.
• Il successo è avere ciò che si vuole. La felicità è volere ciò che si ha.
• Vi sono uomini che lavorano anni per appiattire la pancia e non fanno il minimo sforzo per imparare ad essere felici. Dov'è finito il buon senso?
• La preghiera più urgente, oggi: “Signore, fa che i cattivi diventino buoni e i buoni diventino simpatici!”.

Autore: Pino Pellegrino

Fonte: www.biesseonline.sdb.org

 

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mercoledì 5 agosto 2020

Quello che vi siete persi nel 2020

QUELLO CHE VI SIETE PERSI NEL 2020

E' giunto il momento di sospendere l’attività del blog, che ripartirà a settembre a pieno regime.

Per chi volesse recuperare i contenuti pubblicati in questa prima metà dell’anno basterà cercare nell'archivio blog o tra i post più popolari (li trovate sul lato destro della home).

Alcuni consigli:

7 frasi che distruggono i figli 

6 consigli per l’ascolto attivo

10 consigli per essere super genitori 

Come gestire le emozioni dei bambini 

Cosa pensano gli adolescenti 

Adescamento online: cos'è e come riconoscerlo 

8 modi in cui i bambini chiedono aiuto 

Genitori basta sensi di colpa, un po’ di sano egoismo a volte fa bene 

Come aumentare l’autostima dei bambini 

Genitori in disaccordo sull’educazione dei bambini. 

Buona lettura e buone vacanze.

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martedì 21 aprile 2020

I ragazzi in comunità conoscono il sapore amaro di attese e restrizioni

I RAGAZZI IN COMUNITÀ' CONOSCONO IL SAPORE AMARO DI ATTESE E RESTRIZIONI

“È così noioso restare a casa…”.
Non si può uscire, non si possono vedere gli amici… che noia.
Concordo vivamente che restare a casa sia noioso; non potersi godere il sole, un bel cocktail, la corsa al parco con gli amici, lo shopping al centro.
Ah stare a casa… che tortura…
Concordo vivamente, penso da vera egoista. Poi però mi dico che c’è chi una casa, uno spazio proprio e privato non lo ha. Ci sono i miei ragazzi per esempio… Beh loro, la propria casa cercano di dimenticarla o provano, con uno sforzo sovrumano, a immaginarne una…
Cosa vuole essere questa, commiserazione o forse pena? No, oggettività.
Chi momentaneamente risiede in una comunità educativa sa bene cosa significhi essere ristretto; sa bene cosa significhi attendere che qualcuno prenda una decisione che lo faccia uscire da quella maledetta e noiosa prigionia. C’è chi ha di suo solo un pigiama rattoppato, dei vestiti, dei trucchi, un pallone e uno spazzolino da denti. Magari c’è chi non ha una mamma e un papà, e c’è chi sarebbe meglio che non li avesse proprio perché… vedete gli orchi abitano questo mondo, tanto quanto i virus, e per i nostri ragazzi spesso hanno le sembianze di comuni genitori, oppure somigliano alla miseria, oppure ancora all’ignoranza… sono pur sempre mostri.
I ragazzi che mangiano, dormono, studiano, vivono in comunità sanno spesso cosa sia la noia di non poter parlare con tutti, di pazientare, di scontrarsi con altri con cui bisogna convivere forzatamente.
Oggi a lavoro i ragazzi hanno disegnato, hanno cucinato un dolce, hanno infornato una pizza, hanno messaggiato con qualche compagno o con un amore lontano e nascosto, chissà. Oggi a lavoro i ragazzi si sono annoiati, dopo la partita a Monopoli, dopo aver rivisto quel film in tv; eh sì, anche qui ci si annoia. Uno di loro ha chiesto se l’udienza che avrebbe dovuto avere sarà spostata a quando; ho letto sul suo viso, l’espressione di “che ne sarà di me?”. Solitamente in questi casi un abbraccio, una carezza può servire; soprattutto quando l’incertezza del futuro si materializza con un’email che avvisa della sospensione di tutte le udienze. Ora non si può dare una pacca sulla spalla, dobbiamo mantenere le distanze, ci si accarezza con lo sguardo.
Fortuna, mi dico, che sono abituati a non avere contatto umano; ciò rende tutto più facile, di questi tempi.
Beh si è capito no? Mi presento: sono un educatore. Oggi sono di turno io. Nella borsa ho un po’ di dvd sgraffignati a casa, qualche ricetta da fare, una scatola di giochi da tavola e la voglia che il tempo passi con un po’ di leggerezza.
“Ma almeno tu esci…”, mi dicono, sì è vero, esco. Prendo la macchina, indosso la mia mascherina di fortuna e vado a lavoro. Prima di mettere in moto, controllo di nuovo il mio conto corrente. Rivedo ancora una volta la medesima cifra; non cambia da quasi cinque mesi… il sociale non è mai una cosa semplice da comprendere. Magari la benzina la metterò domani ma domani, ho letto, forse ci sarà lo sciopero dei benzinai… chiudo gli occhi e mi dico “andrà tutto bene”… continuo a ripetermi questa frase da ben prima dell’emergenza pandemica.
Quando arrivo fuori dalla comunità educativa dove lavoro, faccio un respiro, suono il campanello e c’è chi mi viene incontro, sorridendo. “Hai portato un nuovo gioco?!”; c’è chi invece sfugge al mio sguardo e va in camera sua, trascinandosi appesantito dai pensieri. “Oggi non deve essere stata un gran giornata per lui” mi dico.
Entro e chiudo fuori dalla porta i miei timori sull’evolversi dei contagi, la mia paura per la mamma che è infermiera e continua a lavorare, la mia paura per la nonna, sola in casa ma io non posso vederla perché potrei essere pericoloso per lei… La paura di non riuscire a reggere lo sguardo dei ragazzi, le loro domande e le loro preoccupazioni. Alle volte, sapete, si sorprendono nel vedere un adulto pensieroso o triste… secondo loro, gli adulti non piangono; non fanno cose così “da deboli” insomma. “No”… glielo dico spesso “gli adulti piangono, temono… solo che la maggior parte di loro lo fa di nascosto. Non siamo mica coraggiosi come i bambini”.
Tutti i miei pensieri rimangono, pesanti come un enorme baule in legno massiccio, fuori dall’ingresso; qui in comunità non entrano, non c’è posto per loro. Li riprenderò quando smonterò dal turno e me li riporterò a casa. Ho ricevuto un messaggio sul cellulare oggi: c’è chi ha paura che tra gli evasi dalle carceri ci sia uno fra quegli orchi che un tempo trasformava le notti stellate, quelle che solo i bimbi possono disegnare in sogno, in incubi senza luna. Rispondo che non c’è da avere paura, che bisogna restare a casa. Sembro così sicuro, lo so… ma la verità è che penso a quanta paura, nella stessa situazione, avrei io. Cerco di essere rassicurante, scrivo “Andrà tutto bene”; inizia a sembrare piuttosto indigesta questa frase, persino nello scriverla provo una fitta allo stomaco.
Lascio il telefono nella stanza degli educatori. Adesso si pensa solo ai ragazzi. Ora devo giocare, cucinare, rimproverare chi non si è fatto la doccia o non si è fatto il letto. Devo parlare con quel ragazzo che ha quasi compiuto 18 anni e ha un decreto sulle spalle che lo invita a tornare a casa al compimento della maggiore età… Mi dico “ma quale casa?”. Blocco subito questo pensiero nella mia mente ed entro nella stanza dove c’è lui. Mantengo la distanza, che di sicuro non ci aiuta a comunicare. Ancora una volta non mi guarda, scorre distrattamente le notizie sul telefono. A lui non dirò che andrà tutto bene, questa cosa lo farebbe arrabbiare… farebbe imbufalire anche a me.
“Ho portato la cioccolata, ce la potremmo cucinare sai, bella calda… fuori nevica”. Parlo ma nulla… silenzio. “Ho una nuova canzone da farti sentire, parla di un adolescente arrabbiato che vorrebbe trasformare il proprio educatore logorroico in uno scarafaggio”. Per la prima volta, oggi, il suo sguardo si posa su di me .. ride. Riesco a portarlo in cucina, beviamo una cioccolata tutti assieme. C’è chi dei ragazzi litiga per il possesso del telecomando, chi canticchia… Bisbiglio nell’orecchio che non importa del decreto… ci inventeremo qualcosa assieme: un lavoro, un percorso di studio, un’occupazione…qualunque cosa…
“Non ti lasceremo così… dopotutto questa è casa tua, no? Sai che il professor Silente in Harry Potter, con fare molto più saggio del mio, confortò il suo alunno ribadendo che un aiuto sarebbe sempre stato dato ad Hogwarts, a chi lo avrebbe richiesto? funziona così anche qui ma senza gufi”. Io non sono un mago… sono solo un educatore e lui non è un ragazzo prodigio ma un bambino cresciuto troppo in fretta. Sarà la cioccolata, sarà che nevica, sarà che abbiamo iniziato a giocare e mi stanno distruggendo; tra un po’ la mia pedina sarà tolta dal piano di gioco perché avrò perso… di nuovo. La casa ora è un po’ più calda. Non durerà fino a domani… lo so già. “Domani penseremo a qualcos’altro”.
È noioso stare a casa… Già… abbiamo tutti uno pseudo motivo valido per lamentarci. Stare a casa con i propri cari o con qualcuno che prepari una focaccia o un dolce… beh pensate che… c’è chi non ci dorme la notte per questo…
Ma forse è meglio così… a rigor di logica ha meno motivi per lamentarsi. Dopotutto non ha idea di cosa significhi… una casa.
Si cerca un pretesto per uscire, si cerca una scusa per evadere, non si sa attendere…
I miei ragazzi invece sono abilissimi nel destreggiarsi nell’attesa. Loro attendono decreti, che però non arrivano dal governo. I loro decreti provengono dal tribunale e non prevedono la chiusura di strade o parchi… i loro decreti raccontano storie. Raccontano di quel genitore condannato in via definitiva per le violenze commesse in famiglia, raccontano dell’affidamento del minore ai servizi sociali territoriali, dell’impossibilità di rientrare presso la propria abitazione per motivi igienico-sanitari, o raccontano della fuga di quella genitrice con il suo nuovo compagno.
Quando arriva un decreto qui in comunità mi chiedo sempre come si possa spiegarlo, con tutti i suoi altisonanti paroloni giuridici, a un ragazzo… e a un bambino?
Ci si lamenta della focaccia che a casa ha un sapore banale, dell’uscita serale e dell’aperitivo mancato…
Mi chiedo se queste cose manchino a un ragazzo cresciuto dalla cruenta strada, se manchino al bimbo piccolo ritrovato, per caso, nell’appartamento logoro di quella prostituta e del suo compagno spacciatore…
Non saprei.
Di sicuro l’aperitivo o la settimana bianca mancano anche al ragazzo che studia Platone con me e mi chiede a cosa serva pensare, se poi gli adulti non pensano e scappano di casa per andare dalla parrucchiera o a correre quando in giro c’è la possibilità di infettarsi e contagiare innocenti.
“C’è bisogno di pensare invece” ribadisco, “c’è bisogno perché tu sei in gamba, non sei come loro”.
Una vita normale manca a tutti… Già… Soprattutto a chi non l’ha mai vissuta.
Lamentarsi… ah arte sublime.
Io vado a lavoro, cerco di stare attenta se sbadiglio, se starnutisco, se tossisco. I ragazzi hanno già la salute e il cuore sovraccarico di problemi e pensieri; faccio attenzione per loro, per me, per chi amo.
Oggi un bimbo mi ha chiesto tutto contento se avessi portato un gioco nuovo… era il Monopoli del 1997. Per lui è nuovo e tanto gli basta per rendere viva la giornata, in un tempo così morto.
Il mio collega è venuto a darmi il cambio, il suo baule di pensieri è parcheggiato fuori assieme al mio. Ci salutiamo con lo sguardo, non serve parlare… “Andrà tutto bene, amico mio” lo sanno dire anche gli occhi. Odo il più piccolo della comunità che corre come un pazzo… “Facciamo la Pizza!!! ho visto gli ingredienti nella busta sii… io la voglio strapiena di mozzarella”. Basta un occhiolino che sta per “Fai un buon turno” e mi congedo dal collega. Saluto tutti, esco fuori dalla porta mentre pregusto quella vocetta stridula che ha il sapore della pizza più buona del mondo.
Riprendo il mio baule, metto la mascherina e torno a casa. I miei cani mi accolgono scodinzolando, si sente il profumo dei taralli, la mamma è vicino al forno; li controlla con lo sguardo, come se questo li facesse cuocere meglio; mio padre è seduto sulla sua poltrona, guarda il telegiornale che parla di cose brutte. Mi godo la scena, penso confortato: “Ah, quant’è bella casa mia!”.
Cerco un nuovo film, un nuovo gioco, una nuova attività da fare domani. I miei ragazzi per ora hanno una casa. Non durerà per sempre, andranno via, ne arriveranno altri… Domani vorrei che sentissero anche loro questo calore che avverto mentre osservo la mia quotidianità… noiosa… ma che sa di buono, come i miei ragazzi.
E poi viene fuori questo pensiero pensato a 4 teste con le ragazze e l’educatrice Stefania:
“Il tempo non è più tempo, è fermo nell’angolo, cupo e appassito, ma intanto io vivo, e riscopro me stessa, sono insieme alle stesse persone di sempre eppure mi sembrano belle pur se siamo come in prigione, riusciamo a vivere in comunione anche se la morte fa paura, stare insieme è la nostra cura. Spero presto finirà, ma finalmente il valore di un abbraccio si capirà”. (B., A.M., P. S.)

Chiara Pittari

Chiara Pittari è educatrice professionale nelle comunità per minori
 della cooperativa sociale Paidòs a Lucera (Foggia).

Fonte: www.animazionesociale.it

Nessun bambino deve restare indietro a causa dell’emergenza Coronavirus: aiutaci a non lasciarli soli!

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lunedì 13 aprile 2020

Abbiamo bisogno di tenerezza

ABBIAMO BISOGNO DI TENEREZZA
E’ impossibile che esista 'umanità', se non esiste la tenerezza. Togli la tenerezza ed hai il freddo, l'asociale, l'indifferente, il crudele, il disumano.

In treno una donna fissa con tristezza la borsa che tiene sulle ginocchia, quando, parlando con l'amica, dice, quasi angosciata: «So che mio marito può essere buono, affettuoso! Con il cane si comporta così... Con il cane, non con me!».

Una madre sta facendo ragionamenti, raccomandazioni, 'prediche' alla figlia (terza liceo). La ragazza ascolta con espressione dura e tesa. Poi guarda la madre dritta negli occhi e scandisce: «Mamma, sono stufa e stanca delle tue prediche! Perché, invece, non mi prendi tra le tue braccia e mi tieni stretta? Nessun consiglio potrà mai farmi tanto bene. Per favore, abbracciami!».

Ecco che cosa manca oggi: manca la tenerezza! Manca il gheriglio dell'umano!

Sì, perché la tenerezza non è tenerume, non è melassa. 'Tenerezza' è parola di nove lettere, ma di spessore enorme.

Tenerezza è:

rimanere in silenzio per ascoltare l'altro,

rispondere con un sorriso,

preferire accarezzare la mano del malato che subissarlo di parole,

salutare per primo,

dare una coperta a chi ha freddo,

telefonare per rompere la solitudine di qualcuno,

essere presenti senza essere pesanti.

La tenerezza addolcisce la vita e la tiene in piedi, più del pane e del companatico, sostengono gli psicologi. La tenerezza è un nostro bisogno assoluto.

Tanto che in America hanno addirittura inventato la Festa delle coccole ('Cuddle Party').

Secondo gli ideatori i 'Cuddle Party' sono un modo per guarire dall'alienazione metropolitana. Sono validissimi per ritrovare l''umano' dopo tanti incontri con sole macchine, con soli oggetti.

Non è il caso di partecipare ad un incontro del 'Cuddle Party' per incontrare la tenerezza. La possiamo gustare a casa nostra se le apriamo al porta e la facciamo entrare. Le vie per introdurla non mancano. Ci limitiamo a due.

L'importanza della sera

La prima è quella di non sprecare la sera. La sera è il momento che, più d'ogni altro, è adatto a seminare tenerezza. La sera è benigna, è tenera, è discreta.

Prima di andare a letto c'è nell'aria voglia di calore, di affetto, di stringersi insieme. La notte incombe e fa paura: si desidera che qualcuno ci tenga per mano. Il calore della sera fa dimenticare le impazienze e le tensioni della giornata.

Don Bosco, che di educazione si intendeva, ha capito che le ore della sera sono importanti. Per questo ha voluto la 'Buona notte'. Cioè quel discorsetto affettuoso che nelle Case salesiane il Direttore rivolge alla sua 'famiglia' per chiudere la giornata. Don Bosco aveva capito che di sera si aggiustano i cuori!

I genitori che rincalzano le coperte ai loro piccoli, non solo mantengono la giusta temperatura della famiglia, ma fanno sì che la terra continui ad essere abitata da uomini che ancora conoscono la tenerezza e i sentimenti, abitata da uomini che non sanno solo accumulare, ma anche ardere. Traguardo saggio come nessun altro. Mettere al mondo figli e non umanizzarli tanto vale (scusate!) fabbricare robot o coltivare funghi!

Il tono della voce

La seconda via alla quale qui vogliamo accennare per introdurre in casa la tenerezza è il tono della voce. Il tono non è il volume e neppure il timbro.

Il volume dipende dalla capacità polmonare, il timbro dal patrimonio cromosomico genetico.

Il tono è il calore e il colore che l'anima mette nelle parole.

Il tono della voce umana ha sfumature amplissime per comunicare mille sentimenti: amore, passione, gioia, dolcezza, delusione, speranza, coraggio...

Per questo lo proponiamo come ottima strategia per innaffiare le radici della tenerezza.

D'altronde lo sanno bene le mamme che, fin dalla nascita, parlano al bambino con tono dolce, affettuoso, tenero, lieve, accogliente, rassicurante, accattivante...

Tutti gli psicologi concordano nel dire che i piccoli sono sensibili al tono delle parole ben più che al loro contenuto.

La loro sensibilità è così elevata da renderli tutti ostili all'urlo.

L'urlo crea tensione e irritazione.

L'urlo è la sponda opposta della tenerezza.

Dunque da bandire da chi vuole un mondo di umani e lasciarlo alle belve della foresta.

Fonte: www.biesseonline.org

Autore: Pino Pellegrino

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mercoledì 1 aprile 2020

Coronavirus: consigli per la convivenza tra genitori e figli

CORONAVIRUS, CONSIGLI PER LA CONVIVENZA TRA GENITORI E FIGLI

È aprile , è arrivata la  primavera che porta con sé i primi raggi caldi del sole, ma piove su tutti noi qualcosa di surreale e denso: l’obbligo di rimanere in casa imposto da una battaglia che non si può non combattere, insieme.

Tutto ad un tratto si rompono i ritmi della quotidianità, si perdono le abitudini, si sovverte la gestione delle giornate e soprattutto non si può uscire di casa se non per motivi necessari. Interi nuclei familiari si sentono così spinti da un necessario e complesso bisogno di riassestamento per far fronte a esigenze diverse raggruppate sotto lo stesso tetto.

Una delle grandi difficoltà sta nelle necessità differenti di genitori e figli: il lavoro, la cura della casa, la scuola e il gioco si fondono in un unico spazio e in un tempo complementare.

Diventa così prioritario inventare un nuovo modo di vivere; mamme e papà si organizzano subito con calendari giornalieri per riuscire a far felici tutti, almeno in parte. In questa fase è fondamentale non riempire allo stremo il tempo ma cercare di seguire una routine il più possibile simile a quella precedente; svegliarsi e fare colazione, lavarsi il viso e mettersi la crema, dirsi buongiorno, insomma sostenere un modo di vivere pieno ma non sovraccaricato.

Ma come continuare nel tempo ad affrontare un’emergenza simile, tanto più disorientante perché priva di una precisa tempistica?

Il “mondo educante” si interroga e deve trovare risposte veloci, in grado di stare al passo con la realtà che cambia da un giorno all’altro, di rispondere in modo diverso dal solito ma mantenendo lo stesso atteggiamento di accompagnamento e di cura.

PRENDERSI DEL TEMPO PER SPIEGARE AI PIÙ PICCOLI COSA STA ACCADENDO

Prioritario diviene aiutare i genitori a riflettere sull’importanza del fermarsi e prendersi un tempo per spiegare ai bambini, in modo adeguato all’età, quello che sta accadendo intorno a loro: questo importante passo aiuta i bambini a capire e a percepire la straordinarietà del momento sentendosi al tempo stesso al sicuro, protetti e tutelati ma anche attivi in questa battaglia. Restare a casa significa aiutare e aiutarsi e non vivere passivamente una situazione.

A volte quindi mettiamo da parte i calendari, lasciamo che ci sia un po’ di vuoto, di noia, così da trovare il tempo per assimilare insieme tutto ciò che sta accadendo intorno a noi e riuscire a non esserne travolti.

Per sostenere i genitori in questa direzione si possono selezionare e suggerire contenuti dal web (video, letture ecc.) che possano spiegare ai bambini la situazione di emergenza nel modo più adeguato e comprensibile possibile. Ne abbiamo raccolti alcuni in un post sul nostro blog dal titolo: Coronavirus,come spiegarlo ai bambini.

Internet, la TV, ma in piccola dose anche i videogiochi diventano centrali per rimanere in contatto con parenti, con la scuola e con gli amici in questo “mondo a distanza”. Affianchiamo sempre i più piccoli durante l’utilizzo così da renderlo un momento di condivisione, ricerca di informazioni o semplice gioco, in tutta sicurezza.

Sono anche un modo per tutti, adulti, bambini e ragazzi, per rimanere in contatto con gli amici, i nonni e tutte le persone che in questo momento sono distanti da noi ma che con l’aiuto delle nuove tecnologie possono riavvicinarsi un po’ anche se virtualmente. Quindi consideriamo lo spazio per lunghe video telefonate per tutti i componenti della famiglia perché in questo momento la tecnologia è un’alleata preziosa ed anche un privilegio. È giusto mantenere la qualità delle relazioni per un aiuto reciproco che fa bene a tutti.

REINVENTARSI ATTRAVERSO ATTIVITÀ SEMPLICI MA EDUCATIVE

Altro contributo importante che può fornire chi lavora nel campo dell’infanzia è suggerire ai genitori stimoli diversi da poter utilizzare con i propri figli nel corso della giornata.

Il proporre attività in vari ambiti – creativo, lettura, cucina, esperimenti botanici, giochi con le storie, musica e movimento - si rileva fondamentale in quanto da una parte permette ai bambini di trovare stimoli in un momento di totale svuotamento di vita e dall’altra fa sperimentare ai genitori diverse possibilità con i propri figli.

L’IMPORTANZA DEGLI SPAZI PER I GENITORI

Non dimentichiamoci però che anche gli adulti hanno bisogno dei loro spazi, è giusto concederseli così come concediamo ai più piccoli un riposino o un po’ di tempo in più con i videogiochi e la TV. Anche gli adulti devono estraniarsi un po’ ad ascoltare un po’ di musica, a leggere etc. per mantenere una routine un po’ più simile a quella precedente all’emergenza.

Gli adulti impareranno a fare i conti con i loro limiti, cercando di non mortificarsi. Per cui se un giorno siamo stati maggiormente presi dal lavoro, incollati alla scrivania e non abbiamo trascorso il tempo di qualità che volevamo con nostro figlio possiamo perdonarci, impegnandoci a non fare lo stesso domani.

È difficile per tutti, con pesi e modalità diversi, ma è come se fossimo diventati tutti “famiglie vulnerabili” perché oggi la vulnerabilità non è più soltanto sociale e/o economica e quindi di interesse solo di alcuni ma è diventata “umana” e quindi ci coinvolge tutti e non possiamo non considerarlo.

Per trovare consigli per genitori e bambini, spunti per molte attività e molto altro puoi leggere i post precedenti del nostro blog.

Per noi il lavoro fornito da chi lavora nel sociale in questa fase di emergenza è proprio incentrato sulla “possibilità”: possibilità di mantenere la vicinanza, possibilità di sostenere i nuclei famigliari nonostante il blocco della quotidianità, possibilità di leggere nell’emergenza un prezioso momento di incontro tra genitori e figli.


Fonte: www.savethechildren.it 


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giovedì 26 marzo 2020

Adescamento online: cos'è e come riconoscerlo

ADESCAMENTO ONLINE: COS’E’ E COME RICONOSCERLO

Se sei un genitore o un insegnante, ti può essere utile raccogliere maggiori informazioni su questo fenomeno. Saper cogliere tempestivamente i segnali da parte di bambini o ragazzi coinvolti, è infatti fondamentale per contrastare l’adescamento di minorenni.

In queste settimane di emergenza coronavirus i bambini trascorrono molto tempo a casa, spesso su Internet e i social network. Proprio in questo periodo la Polizia Postale e delle Comunicazioni ha segnalato un aumento delle denunce per adescamento online a danno di minori

IN COSA CONSISTE L’ADESCAMENTO ONLINE

L’adescamento online di minore consiste in una manipolazione psicologica che alcuni adulti possono effettuare per indurre bambini e adolescenti a superare la proprie resistenze emotive e instaurare con loro una relazione intima, anche sessualizzata, attraverso l’uso di chat della rete o social network.

GLI AMICI ONLINE: QUALI RISCHI?

Avere un profilo sui social network significa accedere ad un bacino molto ampio di conoscenze virtuali che non si conoscono direttamente nella vita reale. Contare tanti amici online o molti follower è sinonimo di popolarità e per questo gli adolescenti aggiungono spesso alla propria cerchia in Rete numerosi “amici di amici”, senza essere pienamente consapevoli del fatto che in questo modo stanno dando accesso a una grande quantità di informazioni private: luoghi che frequentano, foto e molto altro. Questo li espone potenzialmente a rischi importanti, perché queste informazioni possono essere utilizzate dagli sconosciuti in modo inaspettato e con ripercussioni negative nella vita reale.

Aiutare ragazzi e adolescenti a proteggersi sul web scegliendo con cura chi frequentare online è quindi un compito importante degli adulti che li circondano, a partire da genitori e insegnanti, per tutelarli nella vita reale.

Conoscere bene il fenomeno dell’adescamento in rete è un primo passo per raggiungere con successo questo obiettivo.

LE FASI DELL’ADESCAMENTO ONLINE

·        Fase dell’amicizia: l’adescatore virtuale effettua ripetuti contatti di socializzazione. Stabilisce il contatto condividendo all’inizio interessi comuni come ad esempio musica, attori o attrici preferiti, hobby ecc) e si mostra come premuroso e attento ascoltatore. L’avvicinamento è graduale, non punta subito all’esclusività ma getta le basi per cogliere il maggior numero di informazioni possibili.

·        Fase del risk-assessement: dopo aver stabilito i primi contatti in chat-room o social network, il potenziale abusante cerca di capire a quale livello di “privacy si sta svolgendo la conversazione con il bambino o l’adolescente. Alcune delle domande che rivolge potrebbero quindi essere, dove è situato il computer in casa, se i genitori sono presenti, se sta utilizzando il proprio smartphone o tablet e così via.

·        Fase dell’esclusività: quando l’adulto è sicuro di non correre il rischio di essere scoperto, inizia la fase dell’esclusività, che rende impenetrabile la relazione ad esterni contando soprattutto sulla dimensione del segreto.

·        Fase della relazione sessualizzata: è proprio in questo momento che i ragazzi corrono il rischio di scambiare immagini, anche a sfondo sessuale esplicito, o di incorrere nella richiesta di un incontro offline. Le stesse immagini, i video o i testi inviati dalla persona minorenne, possono in seguito essere utilizzate in forma ricattatoria nel caso di un eventuale rifiuto nel continuare il rapporto online o nell’avviare una vera e propria relazione sessuale offline.

IMPARARE A RICONOSCERE UNA SITUAZIONE A RISCHIO

Per gli adulti di riferimento, in particolare per i genitori, la comunicazione con i ragazzi è il primo strumento per accorgersi che qualcosa non va. Tuttavia potrebbe non essere sufficiente. I ragazzi potrebbero sentirsi troppo colpevoli per aprirsi, o non rendersi conto di essere vittime di un abuso. A questo punto il saper riconoscere la situazione a rischio diventa cruciale. Ecco alcuni segnali possibili:

·        Uso eccessivo del computer o dello smartphone, fino a tarda notte e in modo nascosto, minimizzando, o cambiando pagina rapidamente quando si viene scoperti.

·        Nervosismo e aggressività quando non si può usare il computer o lo smartphone.

·        Comportamento improvvisamente più sessuato: nel modo di fare, di vestirsi e nel linguaggio.

·        Auto-isolamento, perdita della comunicazione con gli amici e i famigliari. La vita “reale” perde importanza.

·        Regali ricevuti da qualcuno al di fuori dalla consueta cerchia di amicizie, come per esempio vestiti, accessori, smartphone.

COSA FARE IN CASO DI ADESCAMENTO ONLINE DI UN MINORE

Ecco alcuni consigli se sei un adulto e sospetti di trovarti di fronte a un caso di adescamento di minorenni online:

·        rivolgersi prima possibile alla Polizia Postale ad altri presidi di Polizia (Questura, Commissariati di Polizia di Stato o Caserme dei Carabinieri);

·        tenere traccia di tutti i contatti intercorsi, salvando le conversazioni anche attraverso gli screenshot delle chat;

·        se si percepisce un rischio per il benessere psicofisico delle persone minorenni coinvolte è bene rivolgersi ad un servizio di supporto psicologico anche passando per una consultazione presso i servizi territoriali di riferimento (Consultori Familiari, Servizi di Neuropsichiatria infantile).

Per maggiori informazioni visita il sito www.generazioniconnesse.it

Fonte: www.savethechildren.it

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