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mercoledì 5 dicembre 2018

5 consigli per educare i figli alla gentilezza

5 CONSIGLI PER EDUCARE I FIGLI 
ALLA GENTILEZZA
Educare i figli alla gentilezza per renderli – domani – adulti premurosi, gentili, rispettosi e responsabili. 

Educare i figli, lo sappiamo bene, è una sfida quotidiana…
Non mancano i momenti di sconforto. Come quando, ad esempio, i nostri bambini hanno atteggiamenti egoistici o poco rispettosi verso gli altri o, ancora, mostrano poca gentilezza o compassione verso le esigenze altrui (alzi la mano a chi non è successo, almeno una volta!).
Immagino che tutti i genitori si auspichino che i propri figli crescano nel modo più educato possibile e che diventino, un domani, adulti premurosi, gentili, rispettosi e responsabili. Ma come aiutarli a sviluppare questi atteggiamenti? Quali strategie educative possiamo adottare per trasmettere ai nostri figli i concetti di gentilezza, compassione, rispetto e attenzione verso gli altri?

I nostri figli si comportano così come vengono trattati
Che i nostri figli si comportino proprio così come noi li trattiamo, è uno dei principi di base del Natural Parenting (consiglio a tal riguardo il libro Genitori con il cuore di Jan Hunt). Tuttavia, è bene non smettere mai di domandarsi se stiamo davvero lavorando nella direzione giusta!
Ed è proprio quello che ho fatto leggendo questo articolo del Washington Post sull’educazione dei bambini, in cui si sostiene che il comune e diffuso atteggiamento genitoriale estremamente focalizzato sulle capacità e i successi dei propri figli (piuttosto che sul loro grado di rispetto e attenzione verso gli altri) non li aiuterebbe a diventare adulti rispettosi, premurosi e gentili. Anzi…
I bambini (che non nascono né buoni né cattivi di per sé) hanno bisogno di adulti che li aiutino e gli insegnino a diventare gentili, rispettosi verso gli altri e responsabili verso la comunità di cui fanno parte. In tutti gli stadi della loro infanzia. Ed ecco che lo psicologo di Harvard Richard Weissbourd, responsabile del progetto Making Caring Common, ci fornisce 5 strategie per  educare i nostri figli alla “gentilezza”, che riporto in sintesi qui di seguito.


5 consigli per educare i figli alla gentilezza

1) Fa’ in modo che l’attenzione verso gli altri diventi una priorità
I genitori tendono spesso a dare la priorità alla felicità e ai successi dei propri figli piuttosto che alla loro attenzione e pro-attività verso gli altri. I bambini, tuttavia, hanno bisogno di imparare a bilanciare le loro esigenze personali con i bisogni degli altri. Ed  è proprio dai genitori che i figli debbono percepire che l’attenzione verso gli altri è una priorità.

Consigli pratici:

  • invece di dire a tuo figlio: “la cosa più importante è che tu sia felice” prova a dirgli “la cosa più importante è che tu sia gentile“
  • assicurati che i tuoi bambini più grandi si rivolgano sempre agli altri con rispetto, anche quando sono stanchi, distratti o arrabbiati
  • sottolinea l’attenzione verso gli altri anche nei momenti in cui interagisci con le altre figure adulte rilevanti nella vita dei tuoi figli (come gli insegnanti o gli educatori)

2) Dai l’opportunità ai tuoi figli di sperimentare l’attenzione verso gli altri e la gratitudine
L’attenzione verso gli altri, la gentilezza e la gratitudine si possono apprendere, proprio come si impara un nuovo sport o a suonare uno strumento. La ripetizione quotidiana (che si tratti di aiutare un compagno con i compiti, aiutare la mamma in casa o svolgere un compito per la scuola) fa in modo che l’attenzione verso gli altri si sviluppi e si apprenda seconda natura, affinando le capacità di gentilezza nei più piccoli. E lo stesso vale per la gratitudine.
Diversi studi dimostrano che le persone che hanno l’abitudine di esprimere gratitudine agli altri hanno più probabilità di essere disponibili, generose, compassionevoli e tolleranti. E pare anche che abbiano più probabilità di essere sane e felici ;-)

Consigli pratici:

  • non premiare tuo figlio per ogni atto di gentilezza (come ad esempio se sparecchia la tavola). Dovremmo aspettarci che i nostri figli ci aiutino in casa, con i fratelli e con gli amici: per questo andrebbero premiati soltanto atti di gentilezza fuori dall'ordinario.
  • parla e confrontati con tuo figlio sui diversi atti di gentilezza (o di maleducazione) che ha occasione di vedere in TV o di sperimentare nella sua vita quotidiana
  • fa’ in modo che la gratitudine diventi un rituale quotidiano: a cena, all’ora di andare a letto, in auto o in metropolitana. Abitualo ad esprimere un ringraziamento per tutti quelli che si occupano di lui e della comunità di cui fa parte, nei tanti modi possibili.

3) Estendi il concetto di “interesse” del tuo bambino
Quasi tutti i bambini si preoccupano di una ristretta cerchia di familiari e amici. La nostra sfida è fare in modo che i nostri bambini imparino a prendere in considerazione anche chi è al di fuori di quella stretta cerchia. Questa prospettiva più ampia li aiuterà anche ad entrare in relazione anche con i soggetti più vulnerabili. Soprattutto, nel nostro mondo globale, i bambini hanno bisogno di sviluppare la preoccupazione per le persone che vivono in culture e comunità, anche molto diverse rispetto alla loro.

Consigli pratici:

  • assicurati che tuo figlio sia cordiale e grato con tutte le persone nella sua vita quotidiana (la maestra, il conducente d’autobus, la cameriera e così via)
  • incoraggia tuo figlio a prendersi cura di chi è più vulnerabile. Forniscigli alcune semplici idee per entrare in relazione con gli altri: come ad esempio confortare un compagno di classe che è stato preso in giro.
  • utilizza un articolo di giornale o una news in TV per spronarlo a pensare alle difficoltà che incontrano i bambini che vivono in un altro paese

4. Sii tu, per primo, un modello etico e una guida
I bambini imparano valori etici osservando le azioni degli adulti che rispettano. Imparano molto anche riflettendo, insieme a loro, sui vari dilemmi etici del quotidiano.
Essere un modello etico e una guida significa che dobbiamo praticare l’onestà, la correttezza e la gentilezza noi stessi per primi. Ma ciò non significa essere sempre perfetti! Per fare in modo che i nostri figli ci rispettino e si fidino di noi, dobbiamo riconoscere i nostri errori e i nostri difetti. Inoltre, dobbiamo rispettare il pensiero dei bambini ed ascoltare le loro opinioni, dimostrandogli come vorremmo che loro ascoltassero gli altri.

Consigli pratici:

  • fai volontariato o qualcosa di utile per gli altri o la comunità, almeno una volta al mese. Ancora meglio, fallo insieme a tuo figlio.
  • a cena, proponi a tuo figlio un dilemma etico su cui riflettere o chiedigli la sua esperienza su altre questioni che ha affrontato durante la giornata.

5. Aiuta tuo figlio nella gestione dei sentimenti negativi
Spesso la gentilezza e la propensione verso gli altri è sopraffatta dalla rabbia, dalla vergogna, dall’invidia o da altri sentimenti negativi. Nostro compito è insegnare ai ai bambini che tutti i sentimenti sono leciti, anche quelli negativi! Semplicemente, dobbiamo insegnargli ad affrontarli in maniera costruttiva e non distruttiva.

Consiglio pratico:
Ecco un modo semplice per insegnare a a tuo figlio a calmarsi: chiedigli di fermarsi, di prendere un respiro profondo attraverso il naso, di espirare con la bocca e di contare fino a 5. L’ideale è fare pratica quando il bambino è tranquillo (come un gioco) in modo che, all’occorrenza, sarà semplice ricordargli cosa deve fare per calmarsi. Dopo un po’, vedrai, comincerà a farlo da solo e sarà in grado di esprimere i propri sentimenti (anche negativi) in modo utile, appropriato e costruttivo.

Fonte:www.casatabata.com

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mercoledì 28 novembre 2018

Il difficile mestiere del genitore

IL DIFFICILE MESTIERE DEL GENITORE
Alcuni semplici consigli per sbagliare il meno possibile

Educazione dei bambini, non esiste una laurea per fare i genitori. Ma la gentilezza, come le buone maniere, si insegnano. Fin da piccoli.
Perché tanti bambini diventano presto campioni di maleducazione? I genitori hanno rinunciato al loro compito. Poche regole, ma rispettate. Innanzitutto grazie al buon esempio. I divieti devono essere coerenti e spiegati.

COME EDUCARE BENE I BAMBINI
Serve tempo, e non poco, per vincere la scommessa dell’educazione dei bambini. Tempo mai sprecato. Servono collaborazione e complicità, magari con una sana distinzione dei ruoli, di entrambi i genitori, senza mettere tutte le parti più faticose e più rognose sulle spalle delle mamme. E serve una buona dose di fortuna, che nella vita non dovrebbe mai mancare. Mettete insieme questi ingredienti, aggiungetene altri di vostra conoscenza, e vi rendete conto di quanto sia complicata, ma allo stesso tempo appassionante, questa partita con i nostri figli. Anche perché ogni volta che un bambino cresce, insieme a lui crescono e maturano anche i genitori.
Nell’educare i nostri figli, infatti, dobbiamo mettere nel conto la possibilità di sbagliare, e consideriamo che il mestiere di genitore è affascinante quanto difficile. Però possiamo provare a condividere alcune esperienze, ed a farle diventare dei consigli utili per la comunità di Non sprecare.
Ma torniamo a parlare di buoni metodi per educare i figli, specie quando sono ancora piccoli. Tanti sforzi pedagogici spesso non ottengono i risultati sperati generando, piuttosto, veri campioni di maleducazione che in nome della libertà creativa – guai a frustrarla – imperversano prepotenti e sguaiati a scuola e al supermercato, per la strada e al parco, in casa propria e altrui. Rimproverarli non si può perché ha un effetto deleterio sull’autostima (la loro) e sopportarli neppure perché ha un effetto devastante sul sistema nervoso (il nostro).

COME INSEGNARE AI BAMBINI IL RISPETTO DELLE REGOLE
Confondere la spontaneità con la villania, l’esuberanza con la grossolanità, far passare per fantasioso quel che che è banalmente sgarbato è un’abitudine comune a molti genitori: i maleducati sono sempre i figli degli altri. Innegabile che volgarità e rozzezza siano dilaganti. E non certo per colpa dei bambini senza educazione ma per merito esclusivo dei genitori, che quell’educazione non possono insegnarla perché non l’hanno imparata mai. Educazione e buone maniere, poche regole che venivano impartite dai genitori attraverso l’esempio e la pratica quotidiana, sono sconosciute ai più, la lingua universale della gentilezza è da annoverare tra quelle in via di estinzione. Non dovrebbe stupire, quindi, che fiorisca una manualistica rivolta ai giovani genitori che spiega cos’è l’educazione e come la si insegna.
A partire dalle regole più banali, per esempio che si risponde ai saluti e che li si porge per primi quando si entra in una stanza dove ci sono già altre persone. Chi non lo sa? Ci sono genitori che hanno bisogno di questi libri, spiega Nessia Laniado, scrittrice ed esperta di terapia della famiglia, autrice di “Bon ton per bambini” (Red, pagine 93, euro 12.90), l’ultimo dei suoi libri dedicato all’educazione dei più piccoli, e in genere sono quelli che cercano il consenso dei propri figli, che vorrebbero essere loro amici piuttosto che loro educatori, che si cullano nell’errata convinzione che lasciare i bambini liberi di scegliere sia il modo giusto per crescerli autonomi e giudiziosi.

GALATEO PER BAMBINI
Già il termine bon ton sembra appartenere a un’altra epoca: va da sé che il galateo moderno non può essere un noioso elenco di norme cervellotiche né un manuale di rituali oziosi o di frasi fatte. Piuttosto, serve un’etica del concreto, calata nelle manifestazioni quotidiane, nei piccoli gesti e nella sollecitudine, una via per affinare se stessi e avere un’autentica attenzione ai bisogni di chi ci circonda.

COME EDUCARE BENE I PROPRI FIGLI
Non basta la cortesia: per stare al mondo bisogna ricorrere alla gentilezza, un atteggiamento mentale. Si tratta di instillare nel bambino alcuni principi basilari di comportamento come autentica espressione di attenzione nei confronti dell’altro. Un’etica delle piccole cose, di gesti semplici ma significativi riflessa anche in altri due manuali sullo stesso tema – l’educazione – ma rivolti direttamente ai più piccoli: Giusi Quarenghi spiega ai diretti interessati come si diventa un gentil bambino, una persona che non ha bisogno di farsi dire, ripetere, urlare un milione di no in “Manuale di buone maniere per bambini e bambine” (Rizzoli, euro 12.50). Per diventare un gentil bambino si ha bisogno di esempi. Se un papà ha l’abitudine di insultare gli altri auotomobilisti quando è al volante, è molto probabile che il suo bambino prenda l’abitudine di insultare gli altri bambini. Se una mamma è un’urlatrice, è facile che la sua bambina diventi un’urlatrice.

LIBRI SULL’EDUCAZIONE DEI FIGLI
In sintesi: i divieti devono essere coerenti, reciproci e rispettosi e un buon esempio vale più di mille parole. Anche se qualche spiegazione ci vuole: perchè bisogna cedere il posto in auto o sul metro a chi ha più bisogno di stare seduto? E come mai non si deve interrompere chi sta parlando? Davvero è necessario aprire la porta a chi non è in grado di farlo? A queste e a molte altre domande risponde Annie Grove con “Leon e le buone maniere” (Giralangolo, 11 euro), un libro destinato ai piccolissimi molto illustrato e con poche ma azzeccate parole che descrivono le buone maniere (e che potrebbero tornare utili ai genitori tempestati dai perché).

Autore: Antonio Galdo
Fonte:www.nonsprecare.it

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mercoledì 21 novembre 2018

Rapporti con i figli: alcune abitudini per rafforzarlo

RAPPORTI CON I FIGLI: ALCUNE ABITUDINI PER RAFFORZARLO

Parte del lavoro di genitore consiste nel guidare i figli e aiutarli ad affrontare la routine quotidiana. Questo spesso significa stabilire dei limiti, correggere il loro comportamento, dire loro qualche “no” e anche quello che devono fare, senza opzioni. Ma il rapporto con i figli è molto più di questo.

Educare i figli è molto più che condurli sulla strada ritenuta corretta. Creare interazioni positive con loro non solo consente di educarli meglio, anche da un punto di visto emotivo, rende anche più facile questo compito educativo.
Avrete senz’altro sentito dire o letto che è molto importante abbracciare i propri figli. La psicologa Virginia Satir afferma che si ha bisogno di quattro abbracci al giorno per sopravvivere, otto abbracci al giorno per rimanere come siamo, dodici abbracci al giorno per crescere. E, sulla base di questa idea, sono state scritte migliaia di linee guida.

Ma gli abbracci compensano i brutti momenti che viviamo con i nostri figli? Perché, non prendiamoci in giro, la giornata è piena di brutti momenti con loro, di interazioni negative che non sempre è possibile evitare o controllare. Tuttavia, esistono anche diverse abitudini che aiutano a migliorare e rafforzare il proprio rapporto con i figli.

Interazioni positive per un rapporto con i figli sano
Tutti ambiamo a momenti intimi con i nostri figli, durante i quali i cuori si sciolgono. La connessione è essenziale tanto per i genitori quanto per i figli. Quando la nostra relazione è forte, è anche dolce. È questo che rende più sopportabile ogni sacrificio nell’educazione e nell’allevamento dei figli.

Questa connessione è l’unica ragione per cui i bambini seguono le nostre regole in modo volontario. I bambini che si sentono fortemente connessi con i loro genitori desiderano cooperare. Quando si sentono compresi e sostenuti, sono più motivati a seguire quello che i genitori consigliano loro.
Essere genitore non è facile. Non lo è mai stato, ma nella nostra epoca, lungi dal migliorare, si è complicato ulteriormente. Sappiamo di dover dedicare  del tempo ai nostri figli, di dover ritagliare momenti di qualità. Ma, questo compensa tutto il resto? Beh sì, può farlo.

La scienza ci mostra che abbiamo bisogno di almeno cinque interazioni positive per ogni interazione negativa per poter mantenere un rapporto sano e felice, che possa sopportare i conflitti e i normali problemi della vita quotidiana. È quando ci mancano le interazioni positive che si perde l’equilibrio.

E quando l’equilibrio viene meno, i nostri figli desistono dal seguire i nostri consigli e accettare le norme che stabiliamo. Quando si perde l’equilibrio, l’atteggiamento dei nostri figli cambia.

Ma come possiamo trovare il tempo per avere queste interazioni positive con i nostri figli che servono a ristabilire l’equilibrio? Basta adottare alcune semplici abitudini.

Abitudini che rafforzano il rapporto con i figli
È possibile ricorrere a diverse strategie per rafforzare il rapporto con i figli. Affinché le interazioni positive siano efficaci, dovranno essere quotidiane. Includerle nella propria routine offre moltissimi benefici.

L’aspetto migliore è che non solo è possibile compensare i brutti momenti, ma persino la giornata sarà migliore. Concentrandosi sulle interazioni positive, quelle negative avranno meno spazio. Inoltre, adottando abitudini come queste, i figli collaboreranno di più, litigheranno meno e si sforzeranno per seguire i consigli dei genitori.

Per rafforzare il rapporto con i propri figli, bisogna fomentare ogni giorno le interazioni positive

1. Ritagliarsi ogni mattina uno spazio per sé e per i figli. Non c’è bisogno di parlare, basta coccolarsi un po’. Abbracciateli e accarezzateli. Non c’è modo migliore di iniziare la giornata se non un piacevole risveglio.

2. Dialogare durante la colazione. Chiedete loro cosa passeranno la giornata, interessatevi a quello che li attende.

3. Lasciare dei biglietti con messaggi di affetto: nella merenda della scuola, fra le pagine di un quaderno, sulla scrivania dove studiano.

4. Cantare e/o ballare con i figli le loro canzoni preferite.

5. Salutarli sempre con un bacio e un abbraccio, augurando loro di passare una bella giornata e ricordando loro di divertirsi.

6. Accoglierli sempre con un bacio e un abbraccio, chiedendo se la scuola, o qualsiasi altra attività, sia andata bene.

7. Dimenticare gli impegni di lavoro in presenza dei figli. Questo include chiamate, email, social network e messaggistica istantanea.

8. I capricci sono spesso segnali di angoscia e non di sfida. In questi casi, rilassatevi e interrompete quello che state facendo per aiutare i vostri figli. Aiutateli a scaricare la loro rabbia. State loro accanto se hanno bisogno di piangere e lasciate che scarichino tutto il loro carico emotivo. Quando saranno pronti, incoraggiateli a parlare e ascoltateli.

9. Incoraggiarli quando devono affrontare un compito difficile. Prestate attenzione alle loro paure e offrite loro parole positive e gesti carini.

10. Ridere delle loro battute, per quanto possano sembrare banali. Se gli scherzi mancano di rispetto oppure infrangono le norme di convivenza, dite in modo positivo perché non vanno bene.

11. Mostrare empatia per tutte le emozioni dei figli. Potete mettere un limite alle loro azioni, ma non alle loro emozioni. Tutte le emozioni sono accettabili. Se riconoscete come si sentono i vostri figli, rafforzate la vostra connessione con loro e alimentate la loro intelligenza emotiva.

12. Giocare con i figli. Lasciate che la loro immaginazione voli e seguite le loro istruzioni. Fa lo stesso se è per poco. L’importante è che sia un’abitudine quotidiana.

13. Condividere almeno un pasto al giorno con i figli. Non accendete il televisore. Al contrario, ravvivate la conversazione facendo delle domande che siano interessanti per i vostri figli.

14. Ascoltare con comprensione le storie dei loro problemi a scuola, soprattutto quelli che riguardano gli amici o la persona che piace. Ascoltare è una delle abitudini più importanti per rafforzare il rapporto con i figli.

15. Leggere o cantare una canzone prima di dormire. Se sono troppo grandi per questo, incoraggiateli a leggere prima di andare a letto e mostrate interesse per il libro che stanno leggendo.

16. Dare il bacio della buonanotte. Se hanno bisogno di parlare, ascoltateli. Questo li aiuterà a conciliare il sonno.

17. Accertarsi che stiano bene prima di andare a dormire. Anche se non se ne accorgono, questo rafforza comunque il vostro legame.

“Osservo le loro teste, un po’ spettinate, che dormono su quei cuscini… e la tristezza mi inonda. Ho assaporato i loro sorrisi e le loro risate e li ho abbracciati oppure mi sono limitata a seguire la lista di tutti i miei impegni di oggi? Stanno crescendo così in fretta. Una mattina mi sveglierò e una delle mie figlie si sposerà e verrò assalita dai dubbi. Ho giocato abbastanza con loro? Ho colto l’opportunità di essere parte delle loro vite?” (Janet Fackrell). 
Il tempo passa in fretta. Troppo in fretta. Non lasciatelo passare senza godervelo e rafforzate la relazione con i vostri figli.

Fonte: www.lamenteemeravigliosa.it

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mercoledì 14 novembre 2018

A scuola di empatia: l’esperimento che aiuta a sconfiggere il bullismo

A SCUOLA DI EMPATIA: 
L'ESPERIMENTO CHE AIUTA A SCONFIGGERE IL BULLISMO

Si chiama Klassens tid ed è l’esperimento che sta spopolando nelle scuole danesi: per un’ora a settimana, ai bambini viene insegnato ad ascoltare gli altri, così da imparare ad approcciare i problemi in maniera costruttiva e per maturare nella loro personalità una forte appartenenza di gruppo. In una parola: a creare empatia.
La materia, introdotta in verità già dal 1870 nei programmi danesi, si è via via sviluppata fino a diventare solo a partire dal 2016 un’ora di educazione sociale strettamente legata al concetto di empatia.
Lezioni semplici ma efficaci
Le modalità di svolgimento di questa lezione, insegnata dai 6 ai 16 anni, sono semplici me evidentemente anche efficaci visto l’enorme successo che sta avendo come applicazione nei casi di bullismo, come riporta anche il sito internet www.youreduaction.it, gli alunni preparano a turno una torta a cioccolato (il cacao non è a caso un importante antidepressivo), e mentre ne mangiano una fetta raccontano agli altri i loro problemi, le loro aspettative, le loro preoccupazioni.

In mezzo alla notizia
Pensano e si esprimono senza alcun imbarazzo, perché si sentono liberi e soprattutto perché percepiscono solidarietà e spirito di gruppo: non si sentono soli, bensì parte di una comunità. Non hanno, quindi, il timore di essere presi in giro, al contrario, invece aumenta in loro il coraggio per il solo fatto di essere ascoltati, imparando quanto sia importante il rispetto reciproco.

Fa bene pure ai prof
L’ora di empatia, riteniamo non faccia bene solo agli studenti, ma anche agli insegnanti che riescono in questo modo a comprendere meglio e più da vicino i bisogni dei propri alunni.
L’empatia, del resto, è la capacità di “mettersi nei panni dell’altro”, tanto da riuscire a comprenderne il suo stato d’animo, sia esso di gioia che di dolore, senza alcun bisogno di parlare. Una capacità valida nei rapporti quotidiani, siano essi di lavoro, coppia, amicizia e di famiglia.
È una capacità che si può acquisire, alla pari dell’intelligenza emotiva cioè la capacità di valutare e riconoscere le proprie ed altrui emozioni riuscendo a creare e stabilire relazione positive nei contesti in cui si vive. L’intelligenza emotiva è formata da due competenze diverse quelle personali legate alla consapevolezza di se e quelle sociali possibili proprio grazie all’empatia.

Leader del domani
È probabile, inoltre, che un buon “leader del domani” sarà uno studente cresciuto in un ambiente non traumatico vissuto con sentimenti positivi e di fiducia, perché sarà in grado di favorire la cooperazione creando un ambiente disteso. Senza una buona dose di empatia, secondo gli studiosi in materia, anche uno studente con spiccato quoziente di intelligenza potrebbero non emergere e non avere successo nella vita.
Al riguardo, uno studio realizzato dall’Università di Michigan su circa 14.000 studenti universitari ha messo in luce che i ragazzi di oggi, rispetto agli universitari degli anni ’80 e ’90 hanno circa il 40% in meno di empatia e presentano depressione e/o disturbi mentali in notevole aumento.
Un esempio opposto, invece, viene dal nord, dove gli abitanti sono addirittura tra i più felici del mondo, secondo quanto emerso dal “World happiness report 2016” che fa il punto sullo stato di felicità globale.

Anche per gestire l’insuccesso
Un altro aspetto da non trascurare è che l’empatia non è soltanto osservare le proprie emozioni per rapportarsi in maniera costruttiva con gli altri, ma è anche imparare a gestire e assorbire l’insuccesso.
Insuccesso da vedere come scelta autonoma, scelta differente legata a fattori diversi. Non fallire, ma decidere di fallire, perché vincere in alcuni casi significa scendere a compromessi poco pregevoli sul piano etico, sposare ad esempio la nevrosi del lavoro gratificante a tutti i costi, del titolo professionale, dell’appagamento sentimentale.
Chi decide liberamente di fallire, in definitiva, non è meno determinato di chi impiega tutte le proprie forze per ottenere il posto di lavoro o il partner dei sogni: ha solo applicato l’empatia, per arrivare a quello che ritiene più giusto per lui.

Autore: D. Galuppi
Fonte:www.tecnicadellascuola.it

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mercoledì 31 ottobre 2018

Senza i ‘NO’ non si cresce, parola di Crepet

Senza i ‘NO’ non si cresce, parola di Crepet

Nelle parole di Paolo Crepet, psichiatra e sociologo padovano, l'analisi delle nuove generazioni di genitori e figli: i primi che hanno abbandonato il ruolo di educatori e i secondi che bruciano le tappe vivendo a 13 anni come i 18enni del passato. «È una generazione che non conosce i sogni perché non sono state insegnate le passioni»

Alunni e genitori picchiano gli insegnanti, professor Crepet cosa è cambiato di tanto profondo nella scuola italiana?
«Se tuo padre e tua madre non ti hanno mai detto un no da quando sei nato, il primo no che ti dice un esterno non lo accetti. L'educazione è una fatica che nessuno è più disposto a fare: coinvolge i genitori, i nonni, gli educatori, anche quelli fuori scuola a incominciare dall'ambito sportivo. Tutto questo ha una ricaduta drammatica: è una generazione che non conosce più i sogni perché non sono state insegnate le passioni. A forza di dire di sì tutto diventa grigio, si perdono i colori. Tutto è anticipato rispetto a ieri, oggi a 13 anni fai la vita che una volta si faceva a 18. La società anticipa i suoi riti: prima maturi, prima diventi consumista. Oggi un ragazzino di 13 anni al telefonino si compra quello che vuole e questo crea una sproporzione, è una maturazione fittizia: non sei maturo perché sei su Facebook, ma se hai una tua autonomia. Oggi giustifichiamo tutto, non conosciamo i nostri figli, siamo abituati a non negare loro mai niente, a 13 anni le figlie fanno l'amore e non ci sono molte mamme che svengono alla notizia. Si consuma tutto troppo in fretta, anche la vita».

Paolo Crepet, padovano 67 anni, psichiatra, scrittore e sociologo. Consultato spesso in tv per analizzare i comportamenti degli italiani: dalle madri assassine come quella di Cogne alle follie e alle paure.
È cambiata così tanto la famiglia italiana?

«Il problema è prima dei genitori che hanno sempre una responsabilità in più rispetto ai figli. Finché campi conservi una responsabilità nei confronti dei figli, anche quando sono adulti negli atti che faranno si rifletterà l'educazione che hai dato. Ma le cose sono cambiate improvvisamente, il mercato del lavoro è diverso e anche la proposta educativa si è allungata all'infinito. Una volta il diploma era più che sufficiente per lavorare, adesso non basta più una laurea. Hai un terzo della vita che è formazione e questo cambia la prospettiva, i bisogni, la necessità e anche i consumi. E perché tutto sia possibile, esige una famiglia che non è più educativa, ma economica. Il valore di una famiglia è passato da educativo a commerciale. I genitori da educatori sono diventati un bancomat».

A proposito di educazione: alcuni licei classici cercano nuovi alunni puntando sul fatto che sui loro banchi non siedono immigrati, disabili
«Una vecchia storia che ritorna ciclicamente è la presunzione di essere una razza migliore. C'è qualcuno che forse si era illuso che fossero bastati i 50 milioni di morti dell'ultima guerra; invece ritorna a galla, come il sughero nella laguna. Continuano a dire bestialità come la storia della razza bianca, ma questo non è un errore di un ignorante, questo nasconde un'ideologia che è quella di Hitler che pensava che Owens non avrebbe mai vinto le Olimpiadi perché nero. Quella è stata la prima rottura: Owens che vince davanti al Furher dimostrando che siamo tutti uomini, non differenti per colore ma per qualità. Un liceo che pensa di fare una sorta di scouting scegliendo così gli alunni è un liceo morto».

Oggi c'è troppa violenza nella politica italiana?
«Quando non si hanno idee si danno cazzotti. In un talk-show il primo che si alza e si toglie il microfono segna un punto. È il non parlare che porta voti, oppure il minacciare il tuo prossimo. Più che aumentata, la violenza è ben comunicata. La stessa violenza che una volta poteva avvenire in un comizio, adesso è sui social con una capacità dirompente moltiplicata».

Perché l'immigrazione fa paura?
«Perché siamo stati un paese che tranne qualche enclave nelle città portuali Venezia è un grande esempio non ha conosciuto la diversità. Ci sono mancati gli scambi e si scambia tra diversi e non tra uguali, milioni di italiani non sanno cosa vuol dire. E questo comporta una paura per tutto ciò che non è prodotto dalla tua terra. L'immigrazione è stata una selezione darwiniana, nel paesello dei cinque figli maschi andavano via i due con più carattere e più forza. In Italia, come ovunque, sono andati via i migliori. L'immigrazione aiuta un altro popolo: l'idea di mogli e buoi dei paese tuoi non funziona neanche con le vacche».

Siamo anche un paese di depressi?
«C'è un fenomeno interessante: l'aumento del numero di parafarmacie e farmacie. Evidentemente va di moda la debolezza. Noi abbiamo paura di tutto. La depressione è una grande metafora della paura del futuro, il depresso detesta il domani. Siamo depressi e ansiosi e cerchiamo da qualche parte di essere sedati nelle nostre ossessioni depressive e nelle nostre ansie».

Fonte:www.ilgazzettino.it

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mercoledì 24 ottobre 2018

I 6 ingredienti fondamentali per formare un “uomo”: la Spiritualità

I 6 ingredienti fondamentali per formare un “uomo”

6 La Spiritualità

10 passi per tornare al paradiso perduto

1) Riscoprire la capacità di meravigliarsi
«Tu credi ai miracoli?»
«Sì».
«Sì? Ma ne hai mai visto uno?»
«Un miracolo? Sì».
«Quale?»
«Tu».
«Io? Un miracolo?»
«Certo».
«Come?»
«Tu respiri. Hai una pelle morbida e calda. Il tuo cuore pulsa. Puoi vedere. Puoi udire. Corri. Mangi. Salti. Canti. Pensi. Ridi. Ami. Piangi...»
«Aaah... Tutto qui?»
Tutto qui.
È tragico non essere capaci di meravigliarsi. Il bambino si apre alla vita attraverso una catena di “stupori” e di meraviglie. Il compito più importante di un educatore è conservare questa capacità nei ragazzi che crescono: sarà la qualità più preziosa della loro esistenza.

2) Chi sa stupirsi non è indifferente:
è aperto al mondo, all'umanità, all'esistenza. Si viene al mondo con questa sola dote: lo stupore di esistere. L'esistenza è un miracolo. Gli altri, gli animali, le piante, l'universo, ci parlano di questo miracolo. E noi siamo miracolosi come loro. Per questo dobbiamo essere attenti e rispettosi. Chi considera meravigliosa la vita, sente di amare l'umanità, la rispetta in sé e negli altri. Donando agli altri l'importanza che meritano, noi scopriamo la nostra importanza. La vita ha un valore, una dignità. Nessuno ha il diritto di deturparla.
Gli esseri umani non sono cattivi, sono tristi. E i tristi diventano cattivi. Sono tristi perché non percepiscono la bellezza dell'esistenza.

3) La capacità di stupore accende la volontà di lottare per il valore della vita
La vita non è per la morte e l'umanità non è solo violenza e mediocrità. Si vive pensando che val la pena vivere e val la pena l'umanità.
Anna, 46 anni, insegnante, scrive: «La mia vita si divide in due periodi: prima e dopo il coma. A 26 anni sono stata in coma per due settimane: incidente stradale, colpo di sonno al volante. Quando ho riaperto gli occhi, nel silenzio del reparto, ho visto minuscole luci danzarmi davanti. Ero viva. Illusioni, lucciole, farfalle, non so che cosa fossero, ma è così che ho riscoperto la meraviglia. È stato come rinascere: il primo sorso di caffè, la prima passeggiata, il piacere di sfogliare una rivista, di chiedere che cosa era successo durante il mio breve letargo. Da allora ho imparato a guardare le cose con altri occhi. Dal mio risveglio, ogni cosa ha per me il valore di un dono: la meraviglia, scoperta attraverso la paura, ha reso migliore la mia vita. Non sono più una ragazza intransigente e piena di rancore. Sono cambiata, e il resto è arrivato da solo. Ogni mattina mi sveglio pensando che è stupefacente veder crescere i miei ragazzi e miei alunni, contare i tramonti, provare una ricetta, potare le mie rose. Modugno aveva ragione: «Meraviglioso / la luce di un mattino / l'abbraccio di un amico / il viso di un bambino / meraviglioso». Peccato averlo scoperto solo vent'anni fa».

4) Si è sorpresi dalla bontà
La vita è buona. Ad ascoltare i ragionamenti di certi ecologisti, l'uomo sembra di troppo: un essere dannoso. Il cristianesimo insegna che ogni vita partecipa all'opera della creazione. Sgorgano di qui la contemplazione, la calma, la semplice serenità, l'entusiasmo, l'ottimismo.

5) La sofferenza ci spiazza e ci sconvolge
Proprio perché ci fa capire in modo brutale quanto sia grande la privazione. Si piange sempre per qualcosa di bello che abbiamo perso, qualcosa di essenziale. I bambini hanno bisogno di scoprire il perché del male e del dolore presenti nel mondo, come pure di una convincente presentazione del senso della vita.

6) Solo dalla meraviglia sboccia la gratitudine
Tutto quello che abbiamo, lo dobbiamo a qualcuno. Dire grazie significa entrare nella logica del dono e della reciprocità. L'uomo moderno si indigna, protesta, si vendica, raramente ringrazia. Così dalla capacità di saperci meravigliare passiamo all'adorazione.

7) È l'incontro con un amico
È questa la sorgente della spiritualità. C'è un filo che va dalla concretezza della vita alla concretezza della sua origine. Dio non è un'idea, ma una realtà che si è fatta vedere e toccare in Gesù di Nazaret, ed è il “Dio dei viventi” perché logicamente il Creatore della vita non può morire. Gesù non è semplicemente un campione d'umanità vissuto in un'epoca storica. È vivente e operante, oggi.

8) Una comunità che sostiene, perdona, accoglie, incoraggia, conserva la parola stessa di Dio.
Per troppi la Chiesa è solo un vago riferimento burocratico, con strascichi generici e tradizionali. Genitori e figli devono invece partecipare alla vita della Chiesa, sentendolo gradualmente come un miracolo: nella Chiesa incontrano realmente e fisicamente Dio, i suoi doni di grazia, il suo perdono. Qui ricevono il sostegno e il nutrimento per crescere nella fede e una risposta autorevole alle domande della vita.

9) Un'identità forte, un sistema di valori coerente
L'ambiente in cui vivono molti ragazzi oggi è disgregante. La fede consolida, indica punti di riferimento, orienta l'essere umano. Mostra la linea di distinzione tra bene e male. E tutto senza mai ledere in nulla la libertà dell'individuo, a cui viene lasciata la decisione finale. In modo misterioso ma reale.

10) La felicità
Un pregiudizio duro a morire vuole che con una cosa il cristianesimo non c'entri nulla: con la gioia di vivere. Ma che razza di Buona Notizia è, se è così difficile andare in Paradiso e così facile andare all'Inferno? Una curiosa forma di pudore impedisce a troppi di parlare del paradiso. Tommaso d'Aquino sostiene che la felicità sia uno dei nomi di Dio.
Autore: B.F.
Fonte:www.biesseonline.sdb.org

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mercoledì 17 ottobre 2018

6 ingredienti fondamentali per formare un “uomo”: l'autocontrollo

I 6 ingredienti fondamentali per formare un “uomo”

5 L'autocontrollo

Il nome moderno della temperanza

L'arte di avere cura di se stessi e degli altri.

Un tempo, questa essenziale qualità umana si chiamava “temperanza”. Un nome triste, che richiama alla mente altri verbi sgradevoli: rinunciare, mortificarsi, castigare tutti i desideri.
In realtà temperanza significa invece l'inebriante gioia di essere padroni di se stessi. È l'equilibrio, la saggezza pratica, la libertà autentica, che non va oltre i limiti, ma li rispetta. È l'arte di avere cura di se stessi e degli altri.

È forse la virtù più difficile in questo mondo che premia l'esagerazione. Lo spreco e l'eccesso hanno causato al pianeta problemi analoghi a quelli di un individuo, le cui abitudini sono eccessive e smodate. I risultati tangibili sono malattie, esaurimento delle risorse e povertà, egocentrismo, avidità e divisioni. La vecchia virtù della temperanza si rivela invece un baluardo contro la marea del comprare, possedere e sprecare che caratterizza le nostre società sviluppate.

La nostra società soffre di più per il troppo mangiare, correre, agitarsi che per la mancanza di qualcosa di vitale. La temperanza è una forza contro avarizia, lussuria, gola e accidia; direi anche contro la rabbia e l'orgoglio. È come una guida saggia che mette a tacere le voci strepitanti che chiedono tutto ciò che è eccessivo e superfluo, ed è una guida affidabile alle buone maniere spirituali.
C'è un luogo in cui è sempre più urgente imparare l'autocontrollo: la famiglia.

In famiglia
Nella maggioranza delle famiglie, si litiga sempre per gli stessi motivi, trasformando la vita familiare in un fragile armistizio tra un litigio e l'altro.
• È così facile farsi trascinare quotidianamente in conflitti familiari!
• Perché? Semplice, è sempre difficile amare.
Il rischio è che tutta l'impostazione familiare finisca per essere basata sulla legge del più forte. Una grande percentuale di persone è ancora convinta che le sberle siano una punizione accettabile. Dicono: «I miei genitori mi hanno dato qualche schiaffo e ha funzionato benissimo». La sculacciata è un sistema che serve a scaricare le frustrazioni e la rabbia, mascherando il fatto che i genitori non riescono ad affrontare la situazione. Dopo tutto non è difficile picchiare un bambino. È molto più difficile spiegargli le cose...

Autocontrollo per grandi e piccoli
1. Addomesticare la collera.
Ecco alcune tecniche che permettono di identificare la propria collera e reagire senza peggiorare la situazione. La prima è riconoscere e dare un nome ai sentimenti di rabbia, utilissima per l'alfabetizzazione emotiva. Anche i bambini comprendono espressioni come “ribollire di rabbia”, “sto per scoppiare”, “sono esploso”. Quando il bambino è consapevole di essere arrabbiato, ha la possibilità di farlo sapere agli altri. I genitori hanno difficoltà a comprendere che l'ira in qualche modo non può essere completamente repressa. La seconda è concentrarsi sulle cause della rabbia e non sulla rabbia. L'ira è come una di quelle spie intermittenti sul cruscotto dell'automobile che ci avvertono che qualcosa ha bisogno di particolare attenzione. L'esplosione rabbiosa è il sintomo, non la malattia. È essenziale eliminare le cause ma anche agire sui sintomi, soprattutto per far capire che la rabbia non è mai una soluzione, ma che di solito peggiora la situazione.

2. Fermarsi. Purtroppo la causa più comune è che la rabbia si prende come il morbillo: per i virus che circolano nell'ambiente dove si vive. E il nostro è un mondo di arrabbiati. Vivere in un'atmosfera aggressiva fa sentire i bambini vulnerabili. Perdiamo la calma e spesso siamo più nervosi proprio quando la famiglia si riunisce la sera, stanca e affamata. Altre cause comuni sono le ingiustizie, le frustrazioni, gli insuccessi, le vergogne, le umiliazioni, i sentimenti feriti.
Per fermare l'aggressore interrompendone il comportamento con decisione e fermezza è bene stabilire alcune regole ferree:
• «Usare le parole, non le mani».
• Le prime volte si possono aiutare i bambini con delle domande: Sei arrabbiato con qualcuno? Ti senti così perché non vuoi fare qualcosa? Come ti senti? Trattato ingiustamente? Triste?
• Esporre con energia i principi che si vogliono insegnare, anche se il bambino li conosce già: «Non si devono picchiare gli altri». «Dobbiamo trattare gli altri nello stesso modo in cui vogliamo che gli altri trattino noi».

3. Perdonarsi. Quando torna la calma si deve aiutare il bambino a esaminare ciò che è accaduto, che cosa è andato storto. Come si può evitare che la stessa cosa si ripeta in futuro? Aiutatelo a comprendere la propria responsabilità e a credere nella sua capacità di controllarsi, dicendogli che siete convinti che ce la farà. Stabilite delle conseguenze adatte al “reato”, ma costruite un clima di perdono: accettare le scuse del bambino è un modo per ridargli la convinzione nella sua “bontà”.

4. La lotta per l'autocontrollo. Si tratta di una lotta, e la forza di volontà è un muscolo: si può potenziare con l'esercizio quotidiano. Si tratta quindi di insegnare ai bambini le “buone abitudini”, quelle del tipo «conta fino a venti prima di arrabbiarti, non si mangia fuori pasto, alle ventuno si va a dormire, ecc.».
• Costruire un'architettura della scelta. Questo dipende dalla “visione”: l'autocontrollo consiste nel riuscire a guardare oltre l'oggi, a rinviare, se necessario, la gratificazione istantanea per perseguire la realizzazione di obiettivi più importanti.

Autore: B.F.
Fonte:www.biesseonline.sdb.org

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mercoledì 10 ottobre 2018

6 ingredienti fondamentali per formare un “uomo”: la responsabilità

I 6 ingredienti fondamentali per formare un “uomo”

Con il primo ingrediente, la saggezza, abbiamo guardato in faccia il “punto di partenza”. Questa umile rubrica proporrà sei obiettivi essenziali (uno per puntata: La saggezza, Il coraggio, L'amore, La responsabilità, La temperanza, La trascendenza), a loro volta suddivisi in tante altre “potenzialità”, da educare.

4 La responsabilità

Come succede nella scuola-guida, quando l'allievo è pronto, l'istruttore gli deve cedere il volante e lasciare che prenda il controllo della propria vita.

Educare la responsabilità è la vera sfida educativa del secolo. Un sociologo da tutti citato definisce “liquida” la nostra società. Sono tentato di aggiungere “e anche un po' paludosa”. Sappiamo tutti che un fiume senza argini diventa una palude. Parlare di educazione della responsabilità significa parlare di “argini”, o anche delle “impalcature” necessarie per costruire una vita bella, utile, orientata e forte.

Gli Indiani Cherokee del Nord America hanno un magnifico “rito” per significare il passaggio dall'adolescenza all'età adulta.
Quando un ragazzo compie gli anni prescritti per dimostrarsi adulto, il padre lo porta nel folto della foresta e gli benda strettamente gli occhi, poi lo lascia da solo seduto su un tronco.
Il ragazzo deve stare sul tronco tutta la notte e non togliersi la benda fino al mattino. Non può chiedere aiuto a nessuno. Se resiste, al sorgere del sole sarà proclamato uomo.
Di solito, la notte è paurosa: ci sono rumori strani, sibili e scricchiolii, animali che strisciano, lupi che ululano, fruscii e grugniti, combattimenti feroci tra i cespugli.
Il ragazzo è armato solo del suo coraggio. Stringe i pugni e resiste, seduto sul tronco, con il cuore che batte all'impazzata.
Finalmente, dopo quella notte orribile, il sole appare e il ragazzo si toglie la benda.
Allora scopre suo padre poco lontano, seduto su un tronco accanto al suo.
Il padre non se n'è andato, è rimasto tutta la notte in silenzio, per proteggere il figlio da ogni possibile pericolo, senza che il ragazzo potesse accorgersene.

Ecco alcune semplici considerazioni:
Il punto di partenza è essere responsabili di se stessi. Troppi adulti tra i venti e i quarant'anni non sono veramente in grado di prendersi la responsabilità della propria vita. La maggioranza dei conflitti tra figli e adulti, come tra gli adulti stessi, si sviluppa in modo distruttivo proprio perché le parti non sono capaci, o non vogliono, prendersi la responsabilità di se stessi e sprecano energie incolpandosi l'un l'altro.

Esistono due forme di responsabilità:
• La responsabilità sociale è quella che abbiamo l'uno verso l'altro: in famiglia, nelle comunità, nella società e nel mondo. È una qualità che permette alla società o a gruppi costituiti da un certo numero di persone di funzionare correttamente. La responsabilità sociale si può imparare solo dai genitori e dagli insegnanti.
• La responsabilità personale è quella che ciascuno di noi ha per la propria vita, per la propria salute e lo sviluppo fisico, psicologico e mentale. I figli devono vivere con adulti che salvaguardino la loro integrità personale e intervengano quando i figli dimostrano comportamenti autodistruttivi. 

L'intervento dei genitori deve essere fatto in modo da assicurare ai figli lo sviluppo di una sana autostima e un alto grado di autonomia.

I genitori devono abbandonare il “risponditore automatico”, lo strumento che, appena i figli sono a portata di orecchio, attacca con i soliti commenti educativi, di aiuto o di consiglio. È evidente che la maggior parte dei figli già all'età di tre anni smette di ascoltare la macchina parlante. Il messaggio sottostante è distruttivo: «Tu non sei in grado di funzionare come un figlio decente, responsabile, beneducato e collaborativo se io non ti metto in testa ogni minuto quello che devi fare!». E quanto più il nastro lo ripete, tanto più il messaggio viene registrato.

I genitori devono esprimere chiaramente “quello che pensano” ed aiutare i figli a fare altrettanto. Ricordandosi sempre che i bambini hanno il diritto di essere bambini.
Per esempio, il perenne conflitto “svegliarsi in tempo al mattino” dovrebbe essere risolto con un discorso affettuoso ma fermo del tipo: «Ascoltate, ragazzi. Quando eravate più piccoli, ci piaceva svegliarvi la mattina, dato che la responsabilità che vi preparaste per la scuola era nostra. Ma ora pensiamo che non sia più necessario, anche perché con questa storia finisce che bisticciamo quasi ogni giorno. Quindi abbiamo deciso di lasciare a voi questa responsabilità. Se poi vi capiterà troppo spesso di andare a letto tardi, e avrete paura di non sentire la sveglia, basta che ce lo diciate e vedremo di aiutarvi. A parte questo, d'ora in poi dovrete pensare voi ad alzarvi ogni mattina».
I bambini sanno quello che vogliono, ma non sanno quello che è necessario per loro. I figli che ricevono tutto quello che vogliono non sono amati, ma trascurati.

Se i bambini hanno tutto quello che chiedono o devono solo “ubbidire” non saranno mai responsabili. L'ubbidienza pura e semplice non è la responsabilità! Responsabilità significa passare dall'essere controllati dall'esterno a un controllo interiore. Un bambino semplicemente ubbidiente si abitua ad una forma di controllo esterno. Questo può danneggiare la sua autostima e lo sviluppo della sua responsabilità personale e genera sensazioni di isolamento, inferiorità o vergogna. Con il tempo si metterà in qualche compagnia che assumerà potere su di lui come hanno fatto i suoi genitori: «Se fai come noi, sei dei nostri, altrimenti sei fuori!»

I genitori devono dimostrare, non insegnare. A questo scopo devono modificare e rendere più autentico il loro modo di essere.

I figli devono avere qualche “dovere” e qualche compito pratico in casa. Negli ultimi dieci o quindici anni è aumentato il numero di genitori che invece di chiedere ai figli di fare qualcosa, li servono docilmente. Sono nati così quelli che vengono chiamati “i piccoli tiranni”. I genitori dovrebbero definire la situazione all'incirca in questi termini: «Siamo tutti sulla stessa barca e l'equipaggio è composto da quattro membri. Su questa barca tutti sono bene accetti. Ma non abbiamo nessuna intenzione di tenere a bordo un clandestino».

I ragazzi che vivono in casa devono sapere esattamente cosa ci si aspetta da loro. E i genitori devono continuare a tenere saldamente in mano la guida della famiglia.
Autore: B.F.
Fonte:www.biesseonline.sdb.org

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