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mercoledì 22 febbraio 2017

Lettera ad un figlio: la poesia ‘Se’ di Kipling

LETTERA AD UN FIGLIO: LA POESIA 'SE' DI KIPLING

'Se' è il titolo di una bellissima poesia di Joseph Rudyard Kipling, scritta nel 1895 e dedicata al figlio. La poesia, che in inglese si chiama If, è nel capitolo 'Brother Square Toes' del libro Rewards and Fairies.


SE

Se riesci a conservare il controllo quando tutti
Intorno a te lo perdono e te ne fanno una colpa;
Se riesci ad avere fiducia in te quando tutti
Ne dubitano, ma anche a tener conto del dubbio; 
Se riesci ad aspettare e a non stancarti di aspettare,
O se mentono a tuo riguardo, a non ricambiare in menzogne, 
O se ti odiano, a non lasciarti prendere dall'odio, 
e tuttavia a non sembrare troppo buono e a non parlare troppo saggio:

Se riesci a sognare e a non fare del sogno il tuo padrone;
Se riesci a pensare e a non fare del pensiero il tuo scopo;
Se riesci a far fronte al Trionfo e alla Rovina
e trattare allo stesso modo quei due impostori; 
Se riesci a sopportare di udire la verità che hai detto
Distorta da furfanti per abbindolare gli sciocchi,
O a contemplare le cose cui hai dedicato la vita infrante,
E piegarti a ricostruirle con arnesi logori.

Se riesci a fare un mucchio di tutte le tue vincite
E rischiarle in un colpo solo a testa e croce,
E perdere e ricominciare di nuovo dal principio
E non fiatare una parola sulla perdita; 
Se riesci a costringere cuore, tendini e nervi
A servire al tuo scopo quando sono da tempo sfiniti,
E a tenere duro quando in te non resta altro
Tranne la Volontà che dice loro: "Tieni duro!"

Se riesci a parlare con la folla e a conservarti retto,
E a camminare coi Re senza perdere il contatto con la gente,
Se non riesce a ferirti il nemico né l'amico più caro,
Se tutti contano per te, ma nessuno troppo;
Se riesci a occupare il minuto inesorabile
Dando valore a ogni istante che passa,
Tua è la terra e tutto ciò che è in essa,
E - quel che è più - sei un Uomo, figlio mio!

da R. Kipling, Poesie, a cura di Ornella De Zordo, Milano, Mursia, 1987.

* La poesia Se è dedicata al figlio e contiene una serie di suggerimenti su come affrontare la vita e su come trovare un equilibrio. Il testo si configura come una lettera al figlio, nella quale sono presenti indicazioni che intendono aiutare il bambino a tracciare il suo percorso di crescita, affinché egli possa diventare un Uomo.

Nella poesia Kipling sostiene che si diventa davvero uomini quando si raggiunge una stabilità tale da non perdere la calma quando intorno è il panico e quando vengono apprese virtù importanti come la fiducia in se stessi, l'autocontrollo, il coraggio, la tenacia, la pazienza, l'amore e la capacità di credere nei propri sogni, pure non facendosi dominare da essi. Insomma, si diventa uomini prendendo coscienza di se stessi attraverso le esperienze, mantenendo la fiducia in ciò che si fa e dando valore a ogni singolo istante che si vive.

* Joseph Rudyard Kipling (Bombay 1865 - Londra 1936), scrittore e poeta inglese, era di origini indiane. La sua opera più famosa è il racconto per ragazzi Il libro della giungla (The Jungle Book), scritto nel 1894. Noto è il racconto ambientato in India Kim (1901) e celebre è anche il romanzo Capitani Coraggiosi (1897). Sono molto conosciute e significative le sue poesie.

Fonte: nostrofiglio.it
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mercoledì 15 febbraio 2017

Lettera di una mamma ai bulli che perseguitavano il figlio

LETTERA DI UNA MAMMA AI BULLI 
CHE PERSEGUITAVANO IL FIGLIO

Luca, nome di fantasia, ha nove anni. Ama andare a scuola, trascorrere del tempo con i suoi amici, vivere la vita dei bambini. Poi all'improvviso, tutto cambia. Luca torna a casa sempre piangendo, dice a sua madre che in quella scuola non ci vuole più andare. Giorno dopo giorno la situazione peggiore e Luca inizia a vomitare, non riesce quasi più a camminare. È una vittima di bullismo. «Io non lo chiamo bullismo. Per me è un male che arriva all'improvviso e non sai quello che devi fare». A parlare, in occasione della Giornata nazionale contro il bullismo, è Francesca, 40 anni, mamma di Luca. Un anno fa è corsa a scuola per soccorrere suo figlio. Era stato pestato da alcuni compagni nel cortile della scuola. Contusioni multiple, cicatrici, ricovero in ospedale e un bambino che smette di sorridere.
«Avevano iniziato con prese in giro stupide, come buttargli lo zaino nella spazzatura o appenderlo a un albero. Poi hanno cercato di gettare mio figlio nei bidoni dell'immondizia. È stato un aggravarsi di situazioni fino alle botte».

Quando si è trovata davanti a un bambino che non sembrava più suo figlio, Francesca non sapeva cosa fare. «Non sapevo come poterlo aiutare». Luca aveva iniziato a soffrire di bulimia alimentare, vomitava e ogni notte, puntualmente faceva la pipì a letto.

«Porti suo figlio dieci minuti dopo il suono della campanella e lo venga a prendere dieci minuti prima, così non viene esposto nei momenti più problematici dell'entrata e dell'uscita», le aveva consigliato il preside della scuola.

«Presto è successo quello che temevo - scrive Francesca in una lettera indirizzata ai bulli (ma anche ai loro genitori) che hanno distrutto la vita di suo figlio -. Un pestaggio di massa che gli ha procurato botte e contusioni in tutto il corpo, in particolare alla schiena, sul dorso e agli arti. Abbiamo dovuto portarlo al pronto soccorso per essere medicato e ha avuto una prognosi di un mese. Ma le ferite fisiche che gli avete causato sono niente in confronto allo shock.

A quel punto il mio bambino in quella che era la sua scuola non c'è proprio più voluto tornare e ha avuto bisogno di supporto psicologico per affrontare il trauma, che non ha ancora superato: è seguito tuttora da uno psicologo. La nostra famiglia si è trovata di fronte a un muro di gomma e di omertà. Tutti avete visto queste violenze, ma nessuno di voi ha aperto bocca. Ho parlato tante volte con voi genitori, ma la vostra risposta è stata: “Sono bambini”».

Per ottenere il trasferimento in una seconda scuola, Francesca ha dovuto presentare un certificato in cui veniva attestato che suo figlio «soffriva di sindrome ansiosa a seguito di vari episodi di bullismo subiti in classe».

«Ho presentato un esposto ai carabinieri e andrò fino in fondo per ottenere
giustizia, per mio figlio e per tutte le vittime di voi bulli e, soprattutto, di tutti coloro che vi
lasciano agire indisturbati. Perché voi siete dei minori e la colpa di questo stato di cose è
soprattutto vostra, signori adulti: perché i primi difensori dei bulli siete voi genitori, voi
dirigenti scolastici, voi insegnanti che non accettate, non ammettete, e alla fine non muovete
un dito.

E se tali comportamenti vengono giustificati dall'alto, perché un bambino dovrebbe
vergognarsene? Mio figlio è stato costretto a cambiare scuola, abitudini e compagni. Ed è stato un bene, alla fine».

Ma il calvario, come lo definisce Francesca, è ancora lungo, perché quando a Luca capita di ritornare con la mente agli episodi subiti torna a stare male. «In questi mesi è stata dura - continua Francesca - è tuttora in cura da una dottoressa perbulimia alimentare, soffre di mal di testa e vomito. I traumi che ha subito sono ancora presenti, le cicatrici non si rimargineranno facilmente: dovrà conviverci a lungo.

È giusto tutto questo? Bulli, pensateci prima di accanirvi sul prossimo bersaglio; genitori,
parlate con i vostri figli e insegnate loro il rispetto per gli altri. E voi educatori, insegnanti e
presidi, non giratevi dall'altra parte, non vergognatevi di prendere provvedimenti e non lasciate questi episodi impuniti. Creerete altri bulli. E nuove vittime».
Fonte: vanityfair.it

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mercoledì 8 febbraio 2017

Alike, il cortometraggio che ogni genitore dovrebbe vedere

ALIKE, IL CORTOMETRAGGIO CHE OGNI GENITORE 

DOVREBBE VEDERE

Guarda l'emozionante corto che invita a riflettere sulla propria vita e soprattutto su quella dei nostri figli

Si chiama "Alike" il corto d'animazione diretto da Daniel Martinez Lara e Rafa Cano Méndez. Il video spagnolo ha come protagonista Copi, un padre che vuole insegnare al figlio quale sia la retta via: gli prepara la cartella ogni mattino e lo accompagna a scuola mentre lui va a lavorare seguendo la sua ordinaria routine. Ma quale è davvero la retta via?
Il piccolo, incantato da un artista di strada che suona il violino, anche sui banchi di scuola dà vita alla propria immaginazione. Pian piano, però, le regole imposte dalla vita quotidiana iniziano a spegnere lo spirito gioioso del bambino. Finché il padre non comprenderà l’importanza dell’immaginazione…
Un corto emozionante, in cui i personaggi acquistano colore ogni volta che un’emozione positiva entra a far parte della loro vita, anche la gioia di un abbraccio.
Da far riflettere. Ecco il video!

Fonte: www.radiomontecarlo.net
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mercoledì 1 febbraio 2017

Cose da dire ai figli

COSE DA DIRE AI FIGLI

Ci sono cose da dire ai nostri figli. Come ad esempio che il fallimento é una grande possibilità.
Si ricade e ci si rialza. Da questo s’impara. Non da altro.
Dovremmo dire ai figli maschi che se piangono, non sono femminucce. Alle femmine che possono giocare alla lotta o fare le boccacce senza essere dei maschiacci.
Dovremmo dire che la noia è tempo buono per sè. Che esistono pensieri spaventosi, e di non preoccuparsi.
Dovremo dire che si può morire, ma che esiste la magia.
Ai nostri figli dovremmo dire che il giorno del matrimonio non è il più bello della vita. Che ci sono giorni sì, e giorni no. E hanno tutti lo stesso valore.
Che bisogna saper stare, e basta. E che  il dolore si supera.
Ai nostri figli maschi dovremmo dire che non sono Principi azzurri e non devono salvare nessuno. Alle femmine che nessuno le salva, se non loro stesse. Altrimenti le donne continueranno a morire e gli uomini ad uccidere.
Ai nostri figli dovremmo dire che c’è tempo fino a quando non finisce, e ce ne accorgiamo sempre troppo tardi.
Dovremmo dire che non ci sono nè vinti nè sconfitti, e la vita non è una lotta.
Dovremmo dire che la cattiveria esiste ed è dentro ognuno di noi. Dobbiamo conoscerla per gestirla.
Dovremmo dire ai figli che non sempre un padre e una madre sono un porto sicuro. Alcuni fari non riescono a fare luce.
Che senza gli altri non siamo niente. Proprio niente.
Che possono stare male. La sofferenza ci spinge in avanti. E prima o poi passa.
Dovremmo dire ai nostri figli che possono non avere successo e vivere felici lo stesso. Anzi, forse, lo saranno di più.
Che non importa se i desideri non si realizzano, ma l’importante è desiderare. Fino alla fine.
Bisogna dir loro che se nella vita non si sposeranno o non faranno figli, possono essere felici lo stesso.
Che il mondo ha bisogno del loro impegno per diventare un luogo bello in cui sostare.
Che la povertà esiste e dobbiamo farcene carico.
Che possono essere quello che vogliono. Ma non a tutti i costi.
Che esiste il perdono. E si può cedere ogni tanto, per procedere insieme.
Ai figli dovremmo dire che possono andare lontano. Molto lontano. Dove non li vediamo più.
E che noi saremo qui. Quando vogliono tornare.


Fonte: sosdonne.wordpress.com


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