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giovedì 21 aprile 2022

Tutti i grandi sono stati bambini

TUTTI I GRANDI SONO STATI BAMBINI

«Tutti i grandi sono stati bambini una volta. Ma pochi di essi se ne ricordano». È la dedica de Il piccolo principe dello scrittore francese Antoine De Saint-Exupéry.
Ricordarsi d'essere stati bambini anche noi è una potente medicina alle nostre pretese nei confronti dei piccoli. Significa essere più pazienti; non strattonare il bambino che ha voglia di fermarsi per assaggiare il mondo che ancora non conosce; non perdere le staffe quando si sporca, o quando fa schizzare l'acqua delle pozzanghere.
Ricordarsi d'essere stati bambini è pensare che la nostra è una società adulto-centrica: centrata sugli adulti, fatta per gli adulti.
Che guaio nascere piccoli, oggi!
I pavimenti si sporcano, i porta-cenere si rompono, le pareti si rigano... per non combinarne una delle sue, il bambino dovrebbe nascere “mummia”! È un'immensa fatica per il piccolo uscire vivo da certi genitori che non si ricordano d'essere stati, un tempo, anche loro, bambini.

Il benessere
«A mio figlio non deve mancare niente...» È, ormai, una specie di ritornello di tanti genitori. E così la distanza tra il desiderio e la sua realizzazione è diventata, via via, sempre più breve fino ad azzerarsi.
Sono scomparse l'attesa e la conquista che erano stati efficaci ormoni di crescita psicologica.
Il desiderio ha perso la sua spinta creativa. Tutto è lì pronto. L'uomo trova tutto, meno lo sforzo.
Il che vuol dire: l'uomo non trova più l'uomo.
Quando la persona umana non ha più da faticare, da combattere, da raggiungere, da costruire, da battersi per qualcosa o per qualcuno, è come se fosse morta.
Il troppo benessere non è una meta: è una trappola.

Parole-perle
Il simpatico scrittore italoamericano Leo Buscaglia termina il suo libro Papà con alcune frasi che il padre, di tanto in tanto, lasciava cadere a tavola oppure nei momenti più impensati.
Quelle frasi hanno costruito nel figlio uno schema morale tale da reggerlo per tutta la vita.
Il papà gli diceva:
«È fondamentale amare».
«Le persone sono buone se si dà loro la possibilità di esserlo».
«La dignità è essenziale per vivere».
«Non tradire mai te stesso!».
«Canta, balla, e ridi quanto puoi!».
«Resta vicino a Dio!».
«La crudeltà è segno di debolezza».
«La gente che crede di saper tutto può essere pericolosa».
«Non costa niente essere gentili».
Parole-perle che hanno bussato e sono entrate nell'anima del figlio.
Ha ragione il poeta tedesco J.P.F. Richter a dire che «le parole che un padre dice ai figli nell'intimità della casa nessuno le sente al momento, ma alla fine la loro eco raggiungerà i posteri».

Lanciare sfide
Un grande maestro di chitarra, Doc Watson, divenne cieco quando aveva appena due anni. I suoi famigliari, però, non gli diedero mai la sensazione di considerarlo un minorato.
«I miei fratelli, mi portavano fuori a giocare con loro» ricorda. «Io mi arrampicavo sugli alberi e cadevo come tutti gli altri. Imparai così il concetto di spazio e a trovare le cose orientandomi sull'eco dei suoni».
Suo padre ebbe un'importanza speciale nell'aiutarlo ad aumentare la fiducia in se stesso.
«Avevo undici anni» ricorda Watson, «poco prima che la chitarra entrasse nella mia vita, papà mi porse un piccolo 'banjo' e mi disse: “Prendi, figliolo! Se imparerai a suonare bene questo strumento, potrà aiutarti ad affrontare il mondo!” Invece di relegarmi in un angolino dicendomi: “Figlio mio, sei un povero cieco” mi lanciava sfide!»
Quante ali tarpate per mancanza di proposte! Educare non è dare ordini, ma chiedere “imprese”.

Fonte: www.biesseonline.org

Autore: Pino Pellegrino

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mercoledì 13 aprile 2022

La casa dalle mille facce

Rubrica: Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati

LA CASA DALLE MILLE FACCE

Gli equilibri delicatissimi che si vengono a creare in Casa Famiglia sono sottoposti a continue pressioni causate da nuovi inserimenti, dall'adolescenza, dalla complessità delle situazioni  che si è chiamati ad accogliere e l'educatore spesso è costretto a muoversi come un equilibrista, ma senza rete di protezione.

Questa casa racchiude la propria essenza di vita in una sola parola: "mutevolezza". È una casa nata per essere dinamica, in perenne movimento.

Anche noi educatori dovremmo essere così muteiformi...ma non è facile. 

Gli equilibri delicatissimi che si vengono a creare qui sono sottoposti a continue pressioni inducendo ad imposizioni di inevitabile adattabilità alle nuove condizioni imposte da nuovi inserimenti, dall'adolescenza, dalla complessità delle situazioni delicate che questa casa è chiamata ad accogliere. Un nuovo ingresso scuote spesso la casa nelle sue fondamenta e modifica quella stabilità precaria che l'educatore nel suo delirio di onnipotenza credeva di aver creato con i ragazzi. L'educatore esattamente come questa vecchia casa deve cedere quello smisurato desiderio di stabilità per far posto alla dinamicità più sconosciuta e quindi, per questo, temibile. Un nuovo ingresso significa che vi sarà un bambino/a, ragazzo/a arrabbiato, terrorizzato, dalla storia poco o del tutto sconosciuta, magari, come spesso capita, in condizioni igienico-sanitarie precarie. Arriverà qualcuno che forse non ha mai abitato una casa vera e troverà un educatore che a poco a poco cercherà di rendere il meno tragico possibile l'impatto con questo nuovo mondo.

In quel momento l'educatore capirà di dover ricominciare tutto da capo, forse non proprio da 0.. magari da 3 come diceva il Maestro, dall'esperienza mista alle conoscenze acquisite nel tempo...ma anche 3 appare spesso molto, troppo vicino allo 0.

Qualche peluche, delle lenzuola colorate nuove appena messe, libri per la buonanotte sul comodino, medicine da bambino, abitini minuti e si riparte.

Una casa è l'insieme di grandi e piccini...far quadrare tutto non è semplice.

Specie in concomitanza di situazioni molto delicate. Ripenso a "Victor il ragazzo selvaggio" che studiai all'università...certe volte mi sembra che le cose più banali a questi bimbi siano sconosciuti. Eppure abitiamo lo stesso mondo, la stessa epoca. Ci sono case simili alle foreste, mi dico...così mi spiego il perché è difficile spiegare cosa sia il sedersi a tavola o avere un lettino tutto pulito per sé, uno spazzolino da denti.

Allora mi chiedo se è così complesso per me che vivo a "turni"...cosa deve essere questa casa sconosciuta agli occhi di un bambino che dovrà viverci per un po'?

Ci penso...

Vedo le manine che impastano per la prima volta in questa casa, la torta alle fragole pronta nel frigo... tutto è pronto.

Oggi mi dico che anche gli educatori hanno timore o lo sconforto di sbagliare al cospetto di tanta rumorosa e spesso selvaggia... fragilità. Anche gli educatori spesso si sentono spaesati... immensamente.

Dott.ssa Pittari Chiara

(Pedagogista, Educatrice presso la Casa Famiglia Murialdo)

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Ogni mercoledì si rinnoverà l’appuntamento con

‘Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati’

 

Cos’è la rubrica: Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati

Da un po’ di tempo la mente di noi educatori è talmente colma di pensieri e riflessioni che spesso straripa . Lo scrivere è diventato per noi salvataggio indelebile, la messa al sicuro dei momenti della vita che trascorriamo con in nostri ragazzi.

Noi educatori spesso la notte scriviamo pagine di una vita vissuta fra le mura condivise con degli sconosciuti che a tratti riescono a sentirsi parte di una casa, parte di una famiglia

Un giorno abbiamo deciso di raccontare e di raccontarci per mostrare anche oltre le nostre mura, la bellezza di una giornata trascorsa assieme ai nostri compagni di strada, la paura verso i giorni che verranno, gli aneddoti divertenti dei giorni di sole e le tempestose giornate di pioggia.

Raccontare è per noi un dono ed è prezioso perché permette di rivederci nello specchio e comprendere che vi è sempre da imparare, perché noi danziamo  e danziamo col vento.

mercoledì 6 aprile 2022

Il peso delle parole ineducate

Rubrica: Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati

IL PESO DELLE PAROLE ‘INEDUCATE’

Le parole hanno un peso essenziale, perché trasmettono saperi, idee e pensieri. Le parole educano e forgiano consapevolezze in bene e in male.  Ripensando alla discriminazione del genere, sappiamo bene il costo storico e morale di parole spesso pericolose ed ‘ineducate’. E’ bene quindi, fare sempre attenzione a ciò che si dice e a come lo si dice.

Dopo cena, un libro aperto è posato sul tavolo della stanza degli educatori. Una ragazza mi chiede di aiutarla nella stesura di una mappa concettuale su alcune pagine del testo di alimentazione per l'interrogazione che l'attende l'indomani. Sfogliando tali pagine, mi dico che questa è una materia molto interessante. L'overture del nostro studio è meraviglioso: la definizione di cultura intesa come l'insieme dei comportamenti, delle credenze e delle produzioni umane vincolate al territorio di origine e/o di appartenenza, la critica alla globalizzazione, la necessità di protezione e valorizzazione delle specificità culturali e quindi anche gastronomiche dall'omologazione e dall'appiattimento di una società consumistica e globale. Fin qui il testo pone condizioni di sperimentazioni del pensiero, richiamando concetti importanti come unicità, specialità, rispetto delle tradizioni. Sfogliando le pagine, man mano, il discorso fino ad ora chiaro e ragionevole però si distoglie dalla salvaguardia della tradizione per volgere l'attenzione sull'idea di "contaminazione", anche questa legittimamente derivante dall'idea di un mondo sempre più globale di cui però si parla solo nell'accezione negativa del termine; non si citano termini altrettanto importanti come integrazione, pensiero migrante o incontro fra culture... Un po' riduttivo come pensiero, mi dico; il discorso si volge poi ad una sola parte del concetto che dovrebbe esprimere. Man mano nel testo si evidenziano settorialità di preferenza di pensiero ben dichiarata e a cui sembra quasi non ci si possa opporre e pertanto neppure aprirvi un discorso riflessivo e pensante (cosa che un testo scolastico dovrebbe fare). Poi l'attenzione mi cade su questo riquadro... <<La donna ( in grassetto) in genere ha il compito di preparare le pietanze>>. Da educatrice ovviamente modifico necessariamente il concetto qui espresso con frasi e parole "altre", ossia: <<storicamente la cucina è STATA di ambito esclusivo della donna, la quale era relegata alla sola sfera domestica che diventava l'unico campo di competenza della stessa come condizione essenziale di vita. 

Ad oggi la tavola è il punto di incontro fra affetto e convivialità, fra dialogo e diletto. La cucina, che NON ha un genere di riferimento, è il luogo d'incontro delle famiglie, delle amicizie e finanche delle dinamiche professionali>>...Credo sia più adatta questa definizione, o meglio più complessa.

Un semplice libro di testo è un veicolo di trasmissione del sapere. Un semplice libro di testo del 2022 dovrebbe ben discostarsi da concetti stereotipati come questi, soprattutto poiché si riferisce a giovani ragazzi e ragazze che si avviano alla professione non solo culinaria o riferita all'accoglienza, ma alla propria essenza di vita in perenne formazione. Declinare ambiti domestici al solo "femminile" è la contrapposizione esatta al concetto di cultura che ci ha iniziate al nostro studio anzi potrei dire che lo abbatte definitivamente relegandolo a frasi insignificanti e privi di valore, appiattendo la condizione di genere che di per sé è espressione massima della "differenza" e della "specialità" al contempo della "parità". Vincolandolo ad una consapevolezza limitata che racchiude l'uomo o la donna in ambiti di competenza ben definiti.

Sono dell'idea che le parole hanno un peso essenziale, perché trasmettono saperi, idee e pensieri. Le parole educano e forgiano consapevolezze in bene e in male, consapevolezze che se ancorate ad un pensiero così poco critico e selettivo radicano concetti che vincolano il proprio modo di essere nel mondo, al modo di agire nel mondo, che minacciano la possibilità di educare individui singoli prima e società pensanti poi in grado di mettere in discussione dogmi pericolosi come quelli qui esposti. Ripensando alla discriminazione del genere sappiamo bene il costo storico e morale di tali e pericolose parole ineducate. Meglio fare attenzione.

Dalla cultura allo stereotipo...basta un secondo.

Dott.ssa Pittari Chiara

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