IL (DURO) LAVORO IN CASA FAMIGLIA
<<Ciao
Chiara, ti chiamavo per chiederti se avessi il piacere e la voglia di lavorare
con noi. La casa famiglia femminile è rimasta scoperta di un'unità e abbiamo
pensato a te. Fammi sapere se sei interessata e...spero tanto che l'idea di
tornare a lavorare qui, ti faccia piacere>>.
Credo che fu,
senza prova di dubbio, l'anno più difficile della mia vita fino a questo
momento. Fu un anno turbolento, insidioso. In quell'anno le possibilità di
lavoro erano diventate sempre più complesse e, ahimè, ridotte. Per la prima
volta in tutta la mia vita ero pronta per andar via dalla mia amata Lucera
perché il non lavorare, per chi come me, aveva la testa piena di sogni, per chi
in delirio di onnipotenza si era innamorata di quella cultura intrisa di lavoro
e voglia di trovare il proprio posto nel mondo, la stessa cultura con la quale
i sapienti libri avevano forgiato i miei ideali, il non avere un futuro...era
una prospettiva terribile. In un solo anno avevo provato la gioia di avere un
lavoro, l'angoscia di perderlo, il vuoto di frasi eteree che galleggiavano
nell'aria sulle note impietose di "le faremo sapere" e l'amarezza per
il nulla che appariva tetro e macchiava di scuro il mio futuro.
"Ti offriamo
100 euro al mese con prospettive di aumento. Non occorre la laurea, richiediamo
dalle 8 alle 12 ore di lavoro ma potrebbe esserti richiesta maggiore
disponibilità anche nei festivi. Tu non sei di qua vero? Comunque il trasporto
è a carico tuo" Ricordo frasi di questo tipo e... quella stretta allo
stomaco.
Piansi molto
quell'anno... tutte le mia certezze stavano andando in fumo.
Avevo trascorso
tutta una giovinezza a pensare alle cose straordinarie che la vita mi avrebbe
riservato, eppure la vita, in quel momento, si stava prendendo beffa di me.
In poco tempo fui
disoccupata, maestra d'asilo, ragazza alla ricerca e pronta ad andare via ed...
educatrice.
In agosto Marco mi
chiamò per chiedermi se avessi voluto lavorare in comunità. Ricordo che dissi:
sì. Fu un "si" liberatorio, istintivo e ...felice.
<<Lavoro>>...qual
parola complessa.
Ripensai al
tirocinio che decisi di svolgere proprio in quella cooperativa, per conoscere
quella realtà a cui ambivo, a Lucia che mi faceva da Tutor e sapientemente
educava la mia mente a sperimentarsi e a correggersi; ripensai al volontariato,
al progetto di Assistenza Domiciliare Educativa ADE che avevamo cercato di ripristinare in ogni modo...
Un lavoro, nella
terra che ho sempre amato.
Un lavoro per il
quale avevo studiato.
Era
utopia...eppure ad un tratto era...vero.
Ricordo che il
Presidente mi disse: << è un lavoro duro, impegnativo ma che, se fatto
nel modo giusto e non so dirti quale sia perché lo scoprirai da te, darà
soddisfazioni e certe volte tristezze e batoste. È un mestiere, quello
dell'educatore, che prevede turni, notti e spesso festivi trascorsi a lavoro e
talvolta emergenze...se scegli di farlo devi sapere che le condizioni sono
queste.
Un ragazzo che
piange di notte, beh quello è il tuo lavoro, vorrei saperti dire di più, ma è
solo facendo che potresti comprendere>>
Il primo giorno mi
accolse una signora gentile dai capelli corvini; mi accolse in quella casa che
chiamavano: "casa famiglia" e mi spiegò cosa fosse e chi ci vivesse e
... perché.
Cosa fosse il Murialdo e l'opera
San Giuseppe, le idee e le speranze celate al di sotto di quei mattoni
rossastri ed in quei campetti preservati con cura da abili mani, cosa fosse
quella casa, chi fossero quelle ragazze e quei ragazzi erano una incognita per
me.
La mia prima notte
guardai fuori da questa finestra e mi sentii grata e ansiosa e timorosa di
sbagliarle tutte.
Anche stanotte
guardo quella finestra...
Ho messo a dormire
la bimba piccola e le ho dato una carezza, ho cucinato le piadine per delle
adolescenti affamate, ho parlato con le ragazze di tutto e di niente...abbiamo
fatto una passeggiata ed una di loro ha chiesto: "torniamo a casa? Ho una
voglia di stare nel mio letto col venticello".
Torniamo a
casa....nel mio letto.
Queste parole mi
hanno scaldato i ricordi delle ragazze e dei ragazzi che ho visto passare per
di qui, incrociare le loro storie con le mie. Penso a quanti pannolini sono
stati cambiati, a quanti bagnetti, allo zaino nuovo, appena comprato per il
primo giorno di scuola, appeso nell'ingresso, a quanti compiti, a quante torte,
alle chiacchiere di notte, agli incubi che l'oscurità porta con sé, ai
progetti...
Sono trascorsi gli
anni...ed io benedico ancora quella finestra che mi accolse benevola, il primo
giorno, con la sua brezza.
Sono già trascorsi
anni...e a poco a poco questa casa è diventata un po' anche la mia.
Il poeta Ligabue
cantava:
"Una vita da
mediano, a recuperar palloni....Una vita da mediano
Da chi segna sempre
poco,
Che il pallone
devi darlo
a chi finalizza il
gioco".
Quella chiamata,
quel contratto, quelle scelte all'epoca prive di senso, quel si...mi portarono
qui, come Oriali a vincere...caso mai i miei mondiali.
Con l'università
scelsi di giocare la mia partita...poi la vita fece il resto.
Ed io son qui...
Dott.ssa
Pittari Chiara
(Pedagogista,
Educatrice presso la Casa Famiglia Murialdo)
Paidòs
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Mercoledì prossimo si rinnoverà l’appuntamento con
‘Danzanti col
vento...storie e racconti di educatori appassionati’
Cos’è la rubrica: Danzanti col
vento...storie e racconti di educatori appassionati
Da un po’ di tempo la mente di noi educatori è talmente colma
di pensieri e riflessioni che spesso straripa . Lo scrivere è diventato per noi
salvataggio indelebile, la messa al
sicuro dei momenti della vita che trascorriamo con in nostri ragazzi.
Noi educatori spesso la notte scriviamo pagine di una vita
vissuta fra le mura condivise con degli sconosciuti che a tratti riescono a
sentirsi parte di una casa, parte di una
famiglia…
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