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mercoledì 27 novembre 2019

Come gestire le emozioni dei bambini

COME GESTIRE LE EMOZIONI DEI BAMBINI

7 CONSIGLI UTILI

Quando un genitore si trova davanti a un'esplosione emotiva del proprio bambino: rabbia e paura, tristezza e disgusto, sorpresa e felicità, spesso non sa come gestirla.

"Non esistono ricette per essere buoni genitori" scrive Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta dell'età evolutiva,  nel suo libro "L'educazione emotiva" (Fabbri Editori), ma secondo recenti ricerche scientifiche basate sulle neuroscienze quello che può far la differenza è l'educazione emotiva: cioè far sentire il proprio figlio compreso e accolto nelle sue emozioni. "L'adulto deve diventare un allenatore emotivo" spiega Pellai.

Le emozioni primarie sono: rabbia, tristezza, disgusto, paura, sorpresa e felicità, dalle quali poi derivano le secondarie che sono: ansia, timore, terrore, angoscia, desolazione.

Ecco quindi sei esempi pratici su come un genitore deve gestire queste emozioni e quali strategie mettere in atto per contenerle

1. Educazione emotiva: il genitore deve "sentire" il proprio figlio
Il genitore, oltre alle funzioni primarie di cura e accudimento, deve occuparsi della crescita serena del proprio figlio. Per far questo è fondamentale che empatizzi con lui. Il bambino deve essere "sentito e compreso" a livello profondo nella mente dei suoi genitori. "Un bambino crescerà tanto più sicuro e protetto quanto più avrà al suo fianco adulti capaci di sentire e pensare ciò che lui sente e pensa e che, comprendendo i suoi stati mentali, forniranno risposte e soddisfazione a quei bisogni che lui non sa esprimere".
 
2. Gestire la rabbia: create in casa un "angolo" dove il piccolo possa sfogarsi
"Le basi per una sana gestione della rabbia vengono costruite in età infantile e derivano dalla competenza con cui gli adulti sanno dare risposta ai bisogni del bambino sin da neonato".
Quando il bambino è in preda alla rabbia e sta facendo un capriccio, il genitore emotivamente competente non deve cadere nel copione "tu sei mio nemico", ma trasformare questa opposizione in cooperazione.
Insomma davanti a un mega capriccio, il genitore anziché perdere il controllo a sua volta deve dimostrare con i fatti che le emozioni forti sono gestibili e noi adulti ne siamo capaci.

Pellai consiglia di stabilire in casa un angolo dove accompagnare i bambini che stanno facendo i capricci, un angolo dove l'emozione possa essere scaricata fino a esaurirsi, così che poi in casa torni la calma e genitore e bambino possano sentirsi nuovamente alleati.

Si trattata di uno spazio di decantazione. Il genitore, accompagnando il bambino, può dire: "Visto che sei così arrabbiato, ora ti metto nell'angolo della rabbia. Qui puoi urlare quanto vuoi, poi quando ti sei calmato puoi uscire, così facciamo qualcosa di bello insieme".
Nell'angolo della rabbia il bambino impara a recuperare il controllo di sé: questo processo si chiama autoregolazione emotiva.

3. Gestire la tristezza: un massaggio al cuoricino
"Gli adulti non amano vedere i bambini tristi. La tristezza è considerata una specie di tabù".
E' per questo che quando un bambino la sperimenta, tende a chiudersi in se stesso, mentre invece dovrebbe essere aiutato a raccontarla e a condividerla.

Per esempio di fronte a un lutto si tende a dire al bambino che il nonno è partito per un lungo viaggio... Il bambino sperimenterà comunque la tristezza di non vedere più il nonno, in più sarà spaesato dalle false verità che lo circondano.

"Il mondo è pieno di uomini che non sapendo gestire la tristezza diventano violenti, oppure di persone che nascondono la propria tristezza buttandosi nel lavoro o in altro pur di riempire un vuoto".

Quindi se vediamo nostro figlio triste, anziché cercare di rallegrarlo, abituiamolo a riconoscere questa emozione e aiutiamolo a superarla.

"La cosa migliore è un bel massaggio intorno al suo cuoricino spiegando in modo preciso che cosa pensiamo lo renda così triste! Ad esempio possiamo dirgli: "Piccolino, sei triste perché hai perso il tuo giocattolo preferito, chissà dove si troverà ora? Possiamo andare al parchetto a cercarlo, se poi non lo troviamo, andremo in un negozio a sceglierne uno nuovo assieme".

Così il bambino avverte che la sua emozione viene riconosciuta e compresa,intanto la mano che lo massaggia lo medica proprio là dove sente il "dolore". Inoltre nella narrazione il genitore propone una soluzione per superare il problema.  In questo modo la relazione genitore-figlio ne uscirà rafforzata sul piano della competenza emotiva.
 
 4. Gestire il disgusto: se a tavola non vuole mangiare, provate il gioco del pranzo bendato
"Il disgusto è l'emozione che si prova davanti a qualcosa che percepiamo come pericolosa per la nostra sicurezza".

Le prime manifestazioni di disgusto i bambini le hanno in relazione al sapore del cibo che portano alla bocca. E questa emozione viene espressa in modo esagerata dai piccoli con l'espressione: "Che schifo".

Quando i bambini riportano questa frase a tavola non è tanto perché trovano disgustoso il cibo, quanto perché vorrebbero trovarvi alimenti più saporiti e appetitosi. 

"Come genitori abbiamo il dovere di aiutare i nostri bambini ad apprezzare tutti i gusti e tutti i sapori". Perciò, di fronte a un bambino che a tavola ci dice "non mi piace, mi fa schifo" dobbiamo chiarire che nessun cibo è schifoso in quanto è stato preparato con amore da chi gli vuole bene. E che il nostro corpo ha bisogno non solo di cibi golosi ma anche nutrienti e ricchi di vitamine.

Detto questo, provate con il gioco del pranzo bendato: sistemate nel piatto cinque piccole porzioni di cibi differenti (anche quelli non graditi), poi con gli occhi bendati chiedetegli di assaggiare tutto e indovinare che cosa mette in bocca.

Così il piccolo imparerà che quel cibo che chiamava schifoso può essere, invece, buono.

5. Gestire la paura del buio: il gomitolo di lana
"La paura è un'emozione che ha molti modi di manifestarsi. C'è chi ha paura del buio, chi dei cani, chi del temporale..." Quasi tutti i bambini, nel corso della prima e seconda infanzia hanno molte paure, ma la vicinanza emotiva dell'adulto può aiutarli a superarle. Ed è uno dei primi e più efficaci allenamenti emotivi.

Se un bambino ha una paura, anche molto irrazionale, il genitore deve sforzarsi di entrare nella mente del figlio e comprendere questo terrore. Ad esempio se un piccolo ha paura del temporale, dovete accettare questa emozione, ma anche trovare un modo per gestirla e quindi controllarla.

Se per esempio vostro figlio ha paura del buio e quando va a nanna vuole che gli rimaniate accanto fino a quando si addormenta, provate con il trucco del gomitolo di lana: vostro figlio a letto terrà in mano il filo, mentre voi lo srotolate e vi sedete fuori dalla camera con il gomitolo in mano. Quando il piccolo sente la paura arrivare potrà tirare il filo, in questo modo avvertirà la vostra presenza.

Il filo simbolizza il legame che  c'è con i genitori anche quando sono lontani.

6. Gestire la sorpresa: l'emozione che vi può aiutare a motivare vostro figlio
"La sorpresa è l'emozione che ci coglie quando la vita ci pone di fronte a qualcosa di imprevisto. Può essere una cosa positiva, ma esiste anche il versante negativo".

I genitori possono però usare l'emozione della sorpresa in modo costruttivo. Per esempio dire a un bambino: "Se sarai bravo, poi ti darà una sorpresa" è una frase vincente per aiutarlo a conquistare un traguardo e un obiettivo educativo condiviso. Al piccolo non interesserà tanto l'oggetto ma la sorpresa in se stessa.  La sorpresa è qualcosa che uno non si aspetta e quindi sta a significare: "Ti ho pensato, ti voglio bene, per me sei importante". 

Un gioco che può aiutarvi a motivare il piccolo è il sacchetto delle sorprese.
Se volete che il vostro bambino riesca a conquistare una tappa di autonomia che vi sta a cuore (a nanna presto, lavarsi le mani prima dei pasti, mettere in ordine i giochi...), promettetegli il suo sacchetto della sorpresa una volta che avrà conseguito l'obiettivo proposto. Ogni giorno potete metterci dentro un piccolo regalino che gli consegnerete alla sera se l'obiettivo proposto e discusso con lui è stato conseguito. 

7. La felicità: è un'emozione che va condivisa
"La felicità è un'emozione che ci spinge verso le esperienze più belle della vita".

Anche la felicità è un'emozione che ha bisogno di condivisione. "Se mamma e papà partecipano alla mia felicità, il mondo è un posto bello in cui vivere" pensa il bambino felice. 
Un bambino che prova tanta felicità si sente disorientato se si trova davanti un adulto incapace di cogliere e condividere con lui questa sua emozione.

"Non solo dobbiamo portare felicità nella vita dei nostri bambini, ma dobbiamo anche riconoscere quando loro sono felici. 
Un suggerimento per creare condivisione è fare dei piccoli album fotografici dei ricordi felici. "Sarà bellissimo sfogliarli insieme ai figli e rivivere di nuovo insieme a loro gli accadimenti in cui avete condiviso quella bellissima emozione".

L'albume dei ricordi felici sarà un tesoro da conservare preziosamente del tempo.

Autrice: Federica Baroni
Fonte: www.nostrofiglio.it
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mercoledì 13 novembre 2019

Cosa pensano gli adolescenti?

COSA PENSANO GLI ADOLESCENTI?
Perché la vita con gli adolescenti sembra sempre un estenuante tiro alla fune? Possibile che i genitori siano sempre sbagliati ai loro occhi? Questa lettera è stata scritta da Gretchen L Schmelzer, una psicologa e scrittrice statunitense, e dovrebbe essere inserita tra le letture obbligatorie del manuale del genitore dell’adolescente.


Caro Genitore,
Questa è la lettera che vorrei poterti scrivere.
Questo conflitto in cui siamo, ora. Ne ho bisogno. Ho bisogno di questa lotta. Non te lo posso dire perché non ho il lessico per farlo e comunque non avrebbe senso quello che direi. Ma ho bisogno di questa lotta. Disperatamente. Ho bisogno di odiarti ora, e ho bisogno che tu sopravviva a questo odio. Ho bisogno che tu sopravviva al mio odiare te, e al tuo odiare me. Ho bisogno di questo conflitto anche se pure io lo detesto. Non importa neanche su cosa stiamo litigando: l’ora di rientro a casa, i compiti, i panni sporchi, la mia stanza incasinata, uscire, restare a casa, andare via di casa, vivere in famiglia, ragazzo, ragazza, non avere amici, avere cattivi amici. Non importa. Ho bisogno di lottare con te su queste cose e ho bisogno che tu lo faccia con me.
Ho disperatamente bisogno che tu mantenga l’altro capo della corda. Che ti ci aggrappi forte mentre io strattono il capo dalla mia parte, mentre cerco di trovare appigli per vivere questo mondo nuovo cui sento di affacciarmi. Prima sapevo chi fossi io, chi fossi tu, chi fossimo noi. Ma ora, non lo so più. In questo momento sto cercando i miei confini, e a volte riesco a trovarli solo quando tiro questa fune. Quando spingo tutto quello che conoscevo al suo limite. Allora io mi sento di esistere, e per un minuto riesco a respirare. E lo so che ti manca tantissimo il bambino dolce che ero. Lo so, perché manca anche a me quel bambino, e a volte questa nostalgia è quello che rende tutto doloroso per me al momento.
Ho bisogno di questa lotta e ho bisogno di vedere che, non importa quanto tremendi o esagerati i miei sentimenti siano, non distruggeranno me, né te. Ho bisogno che tu mi ami anche quando sono pessimo, anche quando sembra che io non ti ami. Ho bisogno che tu ami te stesso, e me, che tu ci ami entrambi e per conto di tutti e due. Lo so che fa male essere antipatici, avere etichette di quello marcio. Anche io provo la stessa cosa dentro, ma ho bisogno che tu lo tolleri, e che ti faccia aiutare da altri adulti per farlo. Perché io non posso in questo momento. Se vuoi stare insieme ai tuoi amici adulti e fare un “gruppo-di-mutuo-supporto-per-sopravvivere-al-tuo-adolescente”, fa’ pure. O parlare di me alle mie spalle, non ho problemi. Basta che non rinunci a me, che non rinunci a questo conflitto. Ne ho bisogno.
Questo è il conflitto che mi insegnerà che la mia ombra non è più grande della mia luce. Questo è il conflitto che mi insegnerà che i sentimenti negativi non significano la fine di una relazione. Questo è il conflitto che mi insegnerà come ascoltare me stesso, anche quando sono una delusione per gli altri.
E questo conflitto particolare, finirà. Come ogni tempesta, sarà spazzata via. E io dimenticherò, e tu dimenticherai. E poi tornerà da capo. E io avrò bisogno che tu regga la corda di nuovo. Di nuovo e di nuovo, per anni.
Lo so che non c’è nulla di intrinsecamente soddisfacente in questa situazione per te. Lo so che probabilmente non ti ringrazierò mai per questo, o neanche te ne darò credito. Anzi probabilmente ti criticherò per tutto questo duro lavoro. Sembrerà che niente che tu faccia sia mai abbastanza. Eppure, io faccio affidamento interamente sulla tua capacità di restare in questo conflitto. Non importa quanto io polemizzi, non importa quanto io mi lamenti. Non importa quanto mi chiuda in silenzio.
Per favore, resta dall’altro capo della fune. E lo so che stai facendo il lavoro più importante che qualcuno possa mai fare per me in questo momento.
Con amore, il tuo teenager.
Fonte: genitori crescono.com

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mercoledì 6 novembre 2019

Strategie pedagogiche per ottenere ciò che si vuole dai figli

STRATEGIE PEDAGOGICHE PER OTTENERE CIO' CHE SI VUOLE DAI FIGLI
L’arte di educare conosce alcune strategie, alcune ‘astuzie’ pedagogiche sagge e valide.

Secondo il nostro stile che non ama i gargarismi, ecco subito qualche esempio.
Uno dei più diffusi tormentoni delle mamme italiane è riuscire a far mangiare il bambino.
Ebbene, vogliamo che mangi? Non supplichiamolo perché mangi! Pratichiamo, cioè, la strategia dell’indifferenza.
Insistere tanto sul mangiare significa mettere in mano al piccolo un’arma con cui ricattarci, un’arma che il bambino saprà usare in tutti i modi, pur di attirare su di sé la nostra attenzione.
Mostrandoci indifferenti, invece, siamo noi a tenere la situazione in mano.
“Non mangi? Va bene lo stesso! Mangerai quando avrai fame!”.
Calme, mamme! Nessun pericolo che il bimbo muoia di fame! Garantito! All’istinto della fame non si può resistere!
Fino a questo momento, nessun bambino al mondo, avendo del cibo a disposizione, è morto di fame! Quando avrà fame, il bambino mangerà!
Vogliamo far arrivare qualche messaggio al figlio adolescente?
Pratichiamo la strategia del metodo indiretto.
Tutti sappiamo che gli adolescenti fanno cortocircuito con il metodo frontale che li prende di mira in modo diretto (il maledetto metodo della ‘predica’!).
Dunque, se vogliamo dire qualcosa al ragazzo (e qualcosa dobbiamo pur dirgli, per non essere genitori puramente ‘allevatori’ ma anche ‘educatori’!), parliamogli senza chiamarlo direttamente in causa.
Esempio: siamo a tavola, parliamo tra noi, madre e padre, sul programma televisivo visto ieri sera e diamo il nostro giudizio negativo sulle parolacce, sulla violenza, sul sesso sfacciato… Il figlio, mentre continua a mangiare la pastasciutta, sente e viene a conoscere qual è il nostro quadro valoriale che, forse, non collima con quello degli insegnanti e degli amici. In tal modo abbiamo parlato al figlio, senza suscitare la reazione tipica dell’adolescente!
Molto vicina alla strategia del metodo indiretto è la strategia della chiacchierata informale.
Siamo in piazza e stiamo parlando del più e del meno con un gruppo di conoscenti ed amici.
Ad un tratto il figlio, che ha scorazzato di qua e di là, si avvicina e sente (meglio:ascolta!) le nostre opinioni sulla politica, sulla religione, sulla società d’oggi...
è incredibile l’influsso che possono avere sull’animo del figlio le nostre parole dette spontaneamente, senza filtro!
Ha tutte le ragioni il semiologo e scrittore Umberto Eco a dire “credo che si diventi quello che ci ha insegnato nostro padre nei momenti morti mentre non si preoccupava di educarci”.
Altro esempio di strategiapedagogica è quella della reazione morbida.
Il bambino strepita? La madre gli risponde con tutta calma (facile dirlo!):“Non capisco niente! Se non abbassi la voce, le mie orecchie sono sorde”.
Il bambino fa capricci? La madre resta tranquilla (anche qui, facile a dirlo!), continua a stirare calma e serena, tutt’al più una carezza sul capo.
Questa è la strategia della reazione morbida.
Dicono che, sovente, funzioni; certo è una strategia intelligente: rispondere al capriccio del bambino con una nostra escandescenza è come voler spegnere il fuoco, versandovi sopra benzina!
Attenti ai tempi morti
Forse educhiamo quando meno pensiamo di educare.
Subito la prova: il padre incontra per strada un bisognoso che chiede aiuto: gli posa due euro sulla mano tesa, mentre il figlio vede; la madre è in chiesa: prega in silenzio, concentrata, intanto il figlio osserva.
Ecco due esempi di splendida educazione non direttamente voluta, educazione che supera di gran lunga quella realizzata con una valanga di parole sull’amore del prossimo e sulla fede in Dio.
Rientrano anche nella strategia dei ‘tempi morti’ le parole che lasciamo cadere senza preavviso, come la cosa per noi più naturale del mondo. Mentre siamo a tavola, il papà, ad un tratto, dice: “Le parolacce sono come il raglio dell’asino nel bel mezzo di un concerto!”. La madre, vedendo la reclame di un parrucchiere, esclama: “Non basta avere i capelli in ordine, bisogna anche avere le idee ordinate”…
Parlare in questo modo non offende nessuno, neanche il figlio adolescente sempre (e giustamente!) così allergico alle ‘prediche’.
Non solo, ma le parole dette senza preavviso, sovente hanno un fortissimo impatto sul figlio perché rivelano i nostri pensieri più intimi, le nostre opinioni, i nostri Valori che ci portiamo dentro.
Mi ha sempre colpito la confessione del professore Leo Buscaglia il quale rivela che si è costruito la sua morale sulle parole che il padre lasciava cadere a tavola, durante la cena.

Questo dico al figlio
“Se stai solamente con chi la pensa come te, tanto vale vivere con i pappagalli!”.
“Non lasciarti imbottigliare dal vino!”.
“è meglio mostrare la testa che l’ombelico”.
“Chi vince gli altri è muscoloso. Chi vince se stesso è forte”.
“Non c’è niente d’intelligente ad esser triste”.
“Non curarti dei commenti, se in regola ti senti”.
“Grinta e coraggio ci mantengono in vantaggio”.
“Dove entra il bere, esce il sapere”.
Che ne dite?

“Se i genitori riuscissero soltanto a capire quanto annoiano i figli!” (Bernard Shaw).
“A 27 anni al massimo, buttateli fuori di casa, come ho fatto io. Un giorno vi ringrazieranno” (Maria Luisa De Rita).
“Un sorriso al bambino è meglio del pannolino ben sistemato” (Benjamin Spock).
“A volte curo la madre ed il bambino guarisce” (Marcello Bernardi).
“Come terapia indico dieci chilometri di bicicletta assieme al padre, ogni domenica. Il tempo con il padre è una cosa fondamentale!” (Giovanni Bollea).

Autore: Pino Pellegrino
Fonte: www.biesseonline.org

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