ADOLESCENTI ATTRATTI DAI GIOCHI
DELLA MORTE E DAL RISCHIO
Gli
adolescenti sono spesso e volentieri attratti dal macabro, dalla morte,
dall’occulto, da quel qualcosa che non comprendono, che è più grande di loro.
Cercano contenuti violenti, si infilano in rete in gruppi in cui sono trattati
argomenti legati alla morte, al suicidio, al satanismo, all’horror, leggono
blog con le stesse tematiche, guardano video nudi e crudi e seguono comunità di
questo tipo senza avere tante volte gli strumenti psicologici per filtrare ciò
che leggono e che vedono e gli strumenti critici per valutare la veridicità dei
contenuti che troppe volte prendono per veri.
È la Generazione degli hashtag, come la definisco nel mio libro Generazione Hashtag (Alpes Editore), la generazione di adolescenti che comunica attraverso quel piccolo simbolo che a volte esprime tanta sofferenza e dolore. Un cancelletto che a volte può essere un cancello di accesso a degli spazi del web più oscuri che sarebbe bene rimanessero tali.
È la Generazione degli hashtag, come la definisco nel mio libro Generazione Hashtag (Alpes Editore), la generazione di adolescenti che comunica attraverso quel piccolo simbolo che a volte esprime tanta sofferenza e dolore. Un cancelletto che a volte può essere un cancello di accesso a degli spazi del web più oscuri che sarebbe bene rimanessero tali.
Attraverso
gli # si può essere adescati con estrema facilità, si possono esprimere le
proprie emozioni e stati d’animo e possono essere dei veri e propri segnali di
riconoscimento. Ci sono intere comunità di adolescenti autolesionisti che
rispondono all’hashtag #cut #selfharm #autolesionismo, altre di suicidio,
nascoste dietro l’#sue e oggi ci sono anche gli adolescenti che partecipano ai
giochi della morte, che esprimono le intenzioni di partecipare al gioco con
specifici hashtag come #bluewhale #f57.
-Non
solo Blue Whale, nella rete purtroppo pullulano giochi macabri, gruppi che
inneggiano all’autolesionismo e al suicidio, che spiegano come tagliarsi, come
farsi del male, come suicidarsi, come nascondere la propria anoressia, altri
che gli riempiono la testa di tante belle parole per indurli in una condizione
di sottomissione psichica. Ovviamente, per rimanere incastrati in questi gruppi
e spazi oscuri del web, ci deve già essere una predisposizione a questo tipo di
contenuti, NON BASTA solo la tipica curiosità adolescenziale o la ricerca della
sfida e del rischio, caratteristica di questa fase evolutiva.-
Perché piacciono gli
horror game?
Gli
horror game, i film horror, gli spazi oscuri piacciono perché sono
adrenalinici, la vivono come una sfida con se stessi, un affrontare le loro
parti più oscure, più nascoste, i propri demoni che in questa fase gli inducono
spesso anche a pensieri suicidi e autolesionistici. Diventa
in tanti casi un affrontare ciò di cui si ha più paura.
Per questo sono attratti dai troppi gruppi in rete che parlano di suicidio, la
morte purtroppo è vista anche come un gesto eroico, che non è per tutti, ma
solo per i più coraggiosi.
Oggi
il suicidio è visto anche come un mezzo di denuncia sociale, di far vedere a
tutti cosa hanno subito e vissuto, a tutto quel mondo che li circonda che
troppe volte è completamente sordo e cieco e non è in grado di cogliere i loro
segnali. Per questo si deve ragionare sul ruolo del suicidio per gli
adolescenti e se ne deve assolutamente parlare però lo dovrebbe fare chi è in
grado di farlo perché altrimenti si rischia di far passare dei messaggi che non
devono passare e che possono creare quello che spesso vediamo in rete ossia
l’effetto contagio che induce ad emulare il comportamento degli altri.
La ricerca del rischio e del pericolo
Non ci
dimentichiamo che l’adolescenza di per sé è caratterizzata dalla “sensation seeking” ossia
la tendenza e la ricerca di emozioni nuove che esprime il bisogno di cercare
nuove sensazioni, nuove situazioni emotivamente forti e particolarmente
intense, anche al prezzo di mettere a rischio la propria incolumità e quella
delle persone che stanno intorno. Spesso si tratta di comportamenti impulsivi,
ma la maggior parte delle volte sono condotte studiate in tutte le variabili,
volute intenzionalmente e ricercate.
Si
ricerca l’eccitazione, l’adrenalina e tutte quelle sensazioni forti che fanno
sentire un’attivazione interna, che fanno sentire i ragazzi “vivi”. Il cuore
batte forte, un brivido scorre lungo la schiena, le gambe si irrigidiscono e la
testa dà solo il segnale del via. In genere queste attività vengono messe in
atto in gruppo perché c’è bisogno di rinforzare anche il proprio ruolo sociale,
di dimostrare a se stessi e agli altri il proprio valore.
E’ cambiato il
contesto: il ruolo della tecnologia
Non ci
dimentichiamo che è cambiato anche il contesto in cui vivono gli adolescenti.
Siamo nell’era delle sfide estreme che dilagano a macchia d’olio nel web, delle
challenge che a suon di # evidenziano chi osa di più, chi riesce ad andare più
vicino alla morte, chi si spinge al limite tra vita e la morte, perché quando
si arriva così vicini si ricevono tanti like, tante approvazioni, il post
diventa virale e condiviso, fino ad arrivare agli horror game che rischiano di
far passare il suicidio come un aver compiuto qualcosa di grandioso che gli
altri devono vedere, quel qualcosa che gli altri forse non sarebbero riusciti
mai a fare. Peccato però che non si torna indietro, che non vedano gli effetti
di ciò che hanno fatto, perché tante volte, quando si arriva a farsi del male
perché si è incastrati in queste sfide e giochi maledetti, non si ha neanche la
reale consapevolezza di ciò che si sta facendo e non si ragiona sulla morte e
l’irreversibilità del gesto che si sta mettendo in atto. Si deve portare a
termine ciò che si è iniziato, altrimenti agli occhi degli altri e di se stessi
si passa per perdenti e per falliti.
Non è
il suicidio di chi è consapevole di ciò che sta facendo e mette fine alle
sofferenze della sua vita, non è un autolesionismo inteso come far del male
intenzionale al proprio corpo perché non si hanno altri strumenti interni per
gestire il dolore, la sofferenza, le emozioni negative e si esprime in maniera
disadattiva il proprio disagio attraverso gli attacchi rivolti al corpo.
- Se andiamo ad analizzare
questi giochi perversi, come il Blue Whale, sono spesso
caratterizzati da azioni che sono moralmente discutibili, che li portano a
prendere coraggio man mano che si va avanti nel gioco, per questo iniziano
tutti con prove più semplici che richiedono un minore impegno psichico. Sono
prove che li portano a sentirsi più forti e li spingono ad andare sempre più
avanti e a non fermarsi. È come se prendessero fiducia in loro stessi, cambiano
man mano il loro ruolo nella vita sociale che nella vita social diventa attivo.
Si passa da una condizione di impotenza ad una di potenza, si sperimenta in
maniera completamente disadattiva e patologica un senso di autoefficacia che va
ad alimentare quel briciolo di autostima con cui vivevano quei ragazzi. Un
ragazzo strutturato, con un buon rinforzo familiare e sociale, con un’adeguata
autostima non arriva a partecipare a questi giochi, non ha bisogno di questi
spazi per cercare se stesso e dimostrare chi è, non è così facilmente
manipolabile e adescabile. Dobbiamo smettere di credere alla favola del lupo
cattivo vestito da Cappuccetto Rosso di cui tutti possono rimanere vittime. Ci
sono dei segnali, ci sono degli indicatori che sono più o meno evidenti ma che
loro lanciano e che andrebbero saputi cogliere e soprattutto vedere.-
In questa fase di crescita, non si deve fare l’errore
di sottovalutare quanto sia influente l’effetto del mostrare agli altri il
proprio successo, dell’essere considerati, riconosciuti e appagati da qualcuno,
come può essere un “master” o “curatore” dei un gioco che ti dice quanto sei
bravo, che è orgoglioso di te e del tuo coraggio, forse quel bravo che è
mancato un po’ troppo nella vita di questi ragazzi che cercano nella rete ciò
che non hanno nella vita reale.
Fonte: adolescienza.it
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