LASCIAMO UN BUON RICORDO NEI NOSTRI BAMBINI
Alcuni semplici consigli per genitori ed
educatori
«La
memoria ci è stata data da Dio per permetterci di avere le rose a Dicembre»
diceva lo scrittore scozzese James Barrie. In questa sede noi possiamo dire che
la memoria ci è stata data da Dio per permetterci di ricordarci dell'infanzia
nelle tempeste della vita.
In un
libro intitolato Il valore dei ricordi dell'infanzia, l'autore californiano
Norman B. Lobsenz riporta le risposte alla domanda: «Qual è il più bel ricordo
dei tuoi primi anni?» Il figlio stesso dell'autore del libro, intervistato, ha
risposto: «Mi ricordo quando una sera eravamo soli in macchina e tu ti sei
fermato per aiutarmi a prendere le lucciole!»
Il
bambino aveva cinque anni. Il padre gli domandò: «Perché ti ricordi di questo?»
«Perché
non pensavo che ti saresti fermato a prendermi le lucciole, invece ti sei
fermato!»
Per un
altro il più bel ricordo è “Il giorno della scampagnata scolastica quando mio
padre, di solito freddo, dignitoso, impeccabile, si presentò in maniche di
camicia, si sedette sull'erba, mangiò con noi e partecipò ai nostri giochi
lanciando la palla più lontano di tutti. Più tardi scoprii che aveva rimandato
un importante viaggio d'affari per stare con me quel giorno!»
Lasciare
un bel ricordo, anche questo è educare. Un buon ricordo può salvare tutta
un'esistenza.
Lo ha capito quel genio che fu il grandissimo scrittore russo Feodor Dostoevskij il quale era così convinto da avvertire con molta sicurezza: «Sappiate che non c'è nulla di più alto e forte e sano e utile per la vostra vita futura di qualche buon ricordo, specialmente se recato con voi fin dai primi anni, dalla casa dei genitori. Uno di questi buoni e santi ricordi, custodito fin dall'infanzia, è forse la migliore delle educazioni. E quand'anche un solo buon ricordo restasse con noi, nel nostro cuore, potrebbe un giorno fare la nostra salvezza».
Nove consigli per mangiare da genitori intelligenti
1.
Puntiamo sulla cena. È più facile che la famiglia si trovi riunita. Mettiamoci
d'accordo perché nessuno manchi e tutti siano puntuali.
2.
Quando si è a tavola non si sente la televisione, ma si parla, si chiacchiera,
si racconta la propria giornata. Anche il bambino della Scuola dell'Infanzia
può prendere la parola.
3.
Mangiare e restare insieme come famiglia, deve essere uno dei momenti più belli
della giornata e della vita. Per questo a tavola si mettono tra parentesi
fastidi e preoccupazioni.
4. Non
siamo troppo esigenti sul galateo. Interveniamo solo quando è proprio
necessario. Meglio la spontaneità e l'allegria che la troppa pulizia.
5.
Perché accorgersi solo quando la minestra sa di bruciato e non fare, invece, i
complimenti alla cuoca quando è buona?
6. Non
è giusto che solo la mamma prepari, serva, riordini, pulisca. La casa è una
comunità non un ristorante. Ognuno è responsabile della felicità della
famiglia.
7.
Quando si mangia non si fanno 'prediche' non si dice: «Qui comando io!» È
lecito urlare, di tanto in tanto, ma ad una condizione: che si possa urlare a
turno!
8. Non
usiamo il cibo come premio o come punizione: il ricatto non educa.
9. Infine, se ci è possibile, usciamo qualche volta, andiamo a cena 'fuori'. È vero che il portafoglio potrà essere un po' dissanguato, ma per la 'tenuta' della famiglia non mancherà un bel risultato!
«Guardatemi!»
Molti
anni fa, Thornton Wilder scrisse una bellissima commedia, Piccola città. Una
delle scene dell'opera colpisce invariabilmente gli spettatori. Si tratta della
morte di una giovane signora, Emily, colpita da infezione dopo aver dato alla
luce un bambino.
La
conducono al cimitero, e le chiedono: «Emily, puoi ritornare a vivere un giorno
della tua vita. Quale preferisci?». E lei dice: «Oh, ricordo com'ero felice il
giorno del mio dodicesimo compleanno. Vorrei ritornare al mio dodicesimo
compleanno».
In coro
i morti del cimitero tentano di dissuaderla: «Emily, non farlo. Non farlo,
Emily». Ma lei insiste. Vuole rivedere la mamma e il papà.
Così
cambia la scena, e lei è lì, dodicenne, nel giorno meraviglioso del suo
ricordo. Scende le scale, con un bell'abitino e i riccioli ondeggianti. Ma sua
madre è così indaffarata a preparare la torta per il compleanno che non ha
neppure il tempo di guardarla. Emily dice: «Mamma, guardami, sono io la
festeggiata». E la mamma: «Benissimo, signorina festeggiata. Siediti e fai
colazione». Emily resta in piedi e dice: «Mamma, guardami». Ma la mamma non la
guarda. Entra il papà, ed è così occupato a guadagnare denaro per lei che non
l'ha mai guardata; neppure suo fratello la guarda perché è troppo preso dalle
sue faccende e non ha tempo. La scena finisce con Emily al centro del
palcoscenico, che dice: «Per favore, qualcuno mi guardi. Non ho bisogno della
torta né del denaro. Guardatemi, per favore». Naturalmente nessuno l'ascolta.
Allora lei si rivolge ancora una volta alla madre: «Per favore, mamma». Poi si
volta e dice: «Conducetemi via. Ho dimenticato com'erano le creature umane.
Nessuno guarda gli altri. Nessuno se ne cura più, vero?».
Nessuno
l'ascolta. Nessuno la guarda.
Ed
Emily muore per sempre!
Emily
esprime il bisogno fondamentale di tutti i figli (e di tutti gli esseri umani):
«Il bisogno di esistere», il bisogno di essere riconosciuto, di essere
considerato importante.
Autore: Pino Pellegrino
Fonte: biesseonline.sdb.org
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