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venerdì 26 giugno 2015

Insomma, perché famiglia?

INSOMMA, PERCHÉ FAMIGLIA?
Parliamo di fatti provati in lungo e in largo da migliaia di psicologi i quali hanno accertato il bisogno innato di amore di ogni neonato umano. Bisogno che, per essere soddisfatto, deve avere questi caratteri: essere costante, personalizzato e totale.

Secondo noi, le ragioni di fondo che spiegano il perché della famiglia, intesa come nucleo di società umana formata da un uomo e da una donna che hanno intenzione di perdurare nella loro unione e di aver figli, le ragioni di fondo, dicevamo, sono due.

La prima è il fatto che l'uomo ha un innato bisogno di appartenenza.
Nessuno ama essere figlio di nessuno!
In altre parole, tutti nasciamo con il bisogno di una qualche paternità e maternità.
Un bisogno innato e così naturale per cui al piccolo dell'uomo non interessa tanto (si noti!) chi lo mette al mondo; interessa chi si prende cura di lui!
Se i tre o quattro bambini che nascono mentre state leggendo questa riga potessero parlare, direbbero: “Non siamo pietre: non ci basta esistere. Non siamo piante: non ci basta respirare. Non siamo bestie: non ci basta mangiare. Siamo uomini: abbiamo bisogno che qualcuno ci guardi: bisogno d'essere fatti propri da qualcuno!”.
Ecco: siamo così fatti, d'aver tutti bisogno di un secondo cuore. Chi lo trova, vive; chi non lo trova, muore. Non stiamo scrivendo sopra le righe. Stiamo parlando di fatti provati in lungo e in largo da mille psicologi i quali hanno accertato al cento per cento il bisogno innato di amore di ogni neonato umano.
Bisogno che per essere soddisfatto deve avere questi caratteri: essere costante, personalizzato e totale.
Ebbene, solo un grembo familiare può dare al piccolo un amore con questi tre connotati. Ci spiace che lo spazio ci impedisca di provarlo nei dettagli (l'abbiamo fatto altrove).
Ma, pur nella brevità, desideriamo che si sappia che siamo proprio convinti di ciò che diciamo, cioè che la famiglia è l'istituzione ideale per soddisfare il bisogno di appartenenza, il bisogno naturale d'amore dell'essere umano con i tre connotati accennati.
Qualora si trovasse un'istituzione che rispondesse meglio a tale necessità di fondo, saremmo i primi ad abbandonare la famiglia e ad abbracciare la nuova soluzione. Ma fino ad oggi non si è trovata! Né, siamo convinti, si troverà mai, a meno che non cambi l'identità dell'uomo!

La seconda ragione che spiega il perché della famiglia è il fatto che l'uomo, tra tutte le specie animali, è quello che nasce il più inetto.
Potremmo dire che nasciamo, tutti, troppo presto; a differenza degli animali che nascono non inetti, ma atti!
Il piccolo della giraffa, ad esempio, riesce a stare dritto sulle proprie gambe appena venti minuti dalla nascita; lo stesso vale per i pulcini della gallina, per i piccoli dei passerotti, delle quaglie, subito pronti per la vita autonoma.
Il piccolo dell'uomo, invece, dopo la nascita ha bisogno di continuare a nascere.
Ciò può avvenire (è qui che scatta il ragionamento!) solo se vede qualcuno che già viva da uomo e gli faccia da modello. L'uomo cresce solo all'ombra di un altro uomo.
Anche questa è una legge naturale, come quella del secondo cuore.
Non è il rapporto con le cose che ci fa crescere; neppure il rapporto con gli animali, ma solo il rapporto con altri uomini cresciuti.
In una parola: il bambino, per crescere, ha bisogno di incontrarsi, fin dalla nascita, con un uomo ed una donna 'adulti', nel senso proprio della parola (adulto, cioè cresciuto).
Fin dalla nascita, abbiamo detto.
È abbondantemente provato, infatti, che sono i primissimi anni a guidare la vita intera.
È impossibile crescere uomini se non si è accolti amorevolmente, fin dalla nascita, da qualcuno che ci insegni i primi elementi della grammatica umana.
Tiriamo la somma: il bisogno del grembo familiare è scritto nel nostro DNA sia per soddisfare il bisogno innato di appartenenza, sia per la necessità di imparare a vivere da umani.
A questo punto, le conseguenze corrono logiche.
La famiglia non sarà mai un residuo storico: non è un'istituzione dello Stato né della Chiesa, ma appartiene al diritto naturale. Ha ragione l'antropologa Margaret Mead (1901-1978): “Per quante 'comuni' (convivenze a più) si possano inventare, la famiglia torna sempre di soppiatto”.
Bersagliare la famiglia è sparare alla Croce Rossa! In questo caso dobbiamo concordare con Giuseppe Mazzini (1805-1872): “Non attentate alla famiglia: è un concetto di Dio, non nostro!”.

DITEMI SE NON È UN MARITO STUPENDO!
Una giovane donna tornava a casa dal lavoro, quando con il parafango andò ad urtare il paraurti di un'altra auto.
Si mise a piangere quando vide che era una macchina nuova, appena ritirata dal concessionario.
Come avrebbe potuto spiegare il danno al marito?
Il conducente dell'altra auto fu comprensivo, ma spiegò che dovevano scambiarsi il numero della patente ed i dati del libretto.
Quando la donna cercò i documenti in una grande busta marrone, cadde fuori un pezzo di carta.
In una decisa calligrafia maschile c'erano queste parole: “In caso di incidente, ricorda, tesoro, che io amo te, non la macchina!”.
Parole d'oro che riportarono la primavera nel cuore della donna!

DITEMI SE NON È UNA MOGLIE STUPENDA!
“Vi sono donne che dicono: “Mio marito può pescare, se desidera, ma i pesci li dovrà pulire lui!”.
Non io!
A qualunque ora della notte io mi alzo dal letto e lo aiuto a disporre, pulire e salare i pesci.
È così bello noi due soli in cucina, ogni tanto i nostri gomiti accanto. E lui dice cose del tipo: «Questo mi ha dato del filo da torcere. Luccicava come l'argento, quando balzò in aria...!». E mima il salto con la mano. Attraversa la cucina, come un profondo fiume, il silenzio del primo incontro.
Infine i pesci sono sul piatto, si va a dormire.
L'aria balugina d'argento: siamo marito e moglie”. (Adelia Prado)

Autore: Pino Pellegrino
Fonte: Il bollettino Salesiano giugno 2015

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