COME
SPIEGARE LA DIVERSITA’ AI BAMBINI
“Perché
lui è in carrozzina?”, “Perché tu e papà non state insieme come i genitori
dei miei compagni?”, “Perché lui ha la pelle nera e io bianca?”. Queste sono
solo alcune delle domande dei nostri figli che ci ricordano come i bambini
siano degli ottimi osservatori. Notano le
differenze ma non giudicano, si domandano per capire e non per puntare il dito.
Sono le nostre risposte a fare la differenza!
Spesso,
colti di sorpresa, non sappiamo cosa rispondere, facciamo stare zitto il
bambino per evitare il nostro imbarazzo in pubblico, tentiamo di abbozzare una
risposta generica o ancora peggio adottiamo comunicazioni non verbali che
trasmettono la “pericolosità” della diversità, prendendo per mano il bambino,
come per rassicurarlo che l’incontro con il diverso sia solo un caso sfortunato
o un qualcosa da evitare. Così il nostro imbarazzo si
traduce in una
indicazione comportamentale: meglio evitare di
parlare di tutto ciò che è diverso da noi. Ed ecco innescato il seme del pregiudizio.
Il bambino non ha preconcetti né ha una comprensione a
priori di cosa sia la normalità. Siamo noi genitori e sono le influenze sociali
a forgiare il suo modo di interpretare il mondo e i suoi condizionamenti. Come
fa notare Paolo Valerio, professore di Psicologia Clinica presso l’Università̀
Federico II di Napoli: “Gli stereotipi agiscono in senso deumanizzante, in
quanto veicolano i rapporti sociali sulla base di categorie predeterminate e
non sulla conoscenza reale dell’altro”. Mentre il bambino nutre una sincera e
naturale curiosità verso la diversità, l’adulto spesso la interpreta secondo i
suoi condizionamenti. È la nostra stessa difficoltà di rapportarci alla diversità
a creare in loro timore. La diversità
dell’altro ci fa paura, è come uno specchio nel quale vediamo riflesse le
parti ombra che non vogliamo accettare in noi stessi.
Imparare a guardare dentro di noi
Per
spiegare e fare accettare ai nostri figli la diversità, occorre in primis che
noi adulti prendiamo confidenza con i territori stranieri dentro di noi, con
l’ignoto, con gli aspetti per i quali gli altri potrebbero prenderci in giro e
vederci diversi. Guardare le nostre diversità permette di conoscerle e non
averne paura. A questo punto il passo con i nostri figli è breve: è bene
innanzitutto non sottrarsi all’argomento né edulcorare la pillola, evitare
atteggiamenti discriminanti o di eccessiva pietà e usare parole semplici, che
non neghino la verità.
Cerchiamo
insomma di trasmettere il messaggio che essere diversi
è normale, che
ha in sé qualcosa di potente, perché essere diversi
è quello che ci definisce e ci rende unici. E questa diversità va cercata, valorizzata, amata.
È
bene non enfatizzare solo gli aspetti positivi, ma parlare – ad esempio – a
nostro figlio del bambino disabile come un bambino che ha abilità “differenti”,
che ha delle difficoltà nel relazionarsi con gli altri bambini, ma ha grandi
capacità nel ricordare tutti i nomi dei calciatori. Possiamo aiutare i nostri
bambini anche facendo loro domande sul compagno di classe “diverso” che però
mettano in luce ciò che li accomuna o le capacità specifiche dell’altro,
oppure invitare il bambino a una merenda in casa nostra. Insegnare a gestire
l’emozione di questo incontro è importante in quanto ci permette di adattarci
alla sua presenza e di comprenderla, di imparare a guardare le cose da un altro
punto di vista; in una sola parola forma la nostra competenza sociale.
È bene inoltre spiegare la differenza tra equo e
uguale: i
bambini per esempio provano un senso di ingiustizia quando un compagno con
delle difficoltà di apprendimento prende lo stesso voto loro con una verifica
diversa, “facilitata”. Siamo noi adulti a dover spiegare che se il compagno
disabile riesce a completare senza errori la verifica calibrata sulle sue
competenze e possibilità merita il 10, come tutti i compagni che hanno ottenuto
il massimo nella loro verifica e che questo significa che è stato trattato in
modo equo e non uguale. Il compito di ognuno è di accettare l’altro come
è. Il
che significa accoglierlo e cercare le strategie per incontrarlo davvero.
Non si
crea empatia negando la diversità.
Autore: Francesca Maria Collevasone
Fonte: www.giovanigenitori.it
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