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mercoledì 10 novembre 2021

La mancanza di cultura segna i ragazzi

Rubrica: Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati

LA MANCANZA DI CULTURA SEGNA SPESSO I RAGAZZI

Situazioni di profondo disagio spesso derivano da mancanze culturali, da genitori poco o affatto istruiti che non riconoscono il valore della scuola. Un ragazzo educato al pensiero non si omologherà alla massa che gli dirà di obbedire alle regole della strada, del dittatore di turno, della violenza di gruppo.


"La mancanza di cultura genera miseria".

Stasera rifletto su una delle principali motivazioni che spingono l'inserimento di un minore in comunità.

<<Il ragazzo o la ragazza dice parolacce, parla solo in dialetto, è oppositivo, fuma e fa uso di sostanze, ha atteggiamenti promiscui, vive in condizioni igieniche non adatte, abbandona la scuola, vive per strada. Nell'ipotesi più orribile il minore ha subito un abuso. Il minore è vittima di triangolazione genitoriale>>.

Molti dei nostri ragazzi derivano da situazioni di profonde mancanze culturali. Finanche i problemi economici hanno spesso una matrice sociale e culturale.

Genitori poco o affatto istruiti che non riconoscono il valore della scuola come istituzione che educa al "pensiero" poiché incapaci essi stessi di pensare. Genitori, deliranti di onnipotenza, poco o affatto in grado di gestire un conflitto sono in grado di smuovere universi pur di non ammettere un fallimento, piuttosto di ammettere "l'umiliazione" di una scusa, piuttosto che imparare a "litigare".

Genitori non educati all'igiene, al rispetto, alla "cura".

Molti dei nostri ragazzi sono cresciuti essendo figli di tutto questo.

Ricordo il manuale di Pedagogia Generale; recitava: "la famiglia è la prima e la più importante agenzia educativa".

La prima e la più importante agenzia educativa e spesso fa acqua da tutte le parti. Come può educare?

Figli della strada.

La strada, penso ai miei libri su Padre Pino Puglisi, istiga i ragazzi alla durezza, alla sopravvivenza, alla freddezza, all'odio verso le istituzioni da cui spesso si sentono abbandonati e non protetti, istiga i ragazzi alla delinquenza, quale facile inclinazione all'ottenimento di risorse economiche necessarie alla sopravvivenza e garanti di una vita degna di chi ha sofferto tanto. In strada si parla il dialetto perché quella è la lingua d'appartenenza; in strada non v'è bellezza. In strada gli adulti sono datori di lavoro del malaffare o nemici dell'infanzia che un tempo fu negata.

Molti dei nostri ragazzi derivano da ambienti di povertà economica derivanti dall'incapacità di genitori di rimboccarsi le maniche, dalla non voglia di agire, dalla voglia di lamentarsi del tutto.

Molti dei nostri ragazzi sono figli di genitori privi di cultura, che si annoverano fra la voglia di evadere dai doveri genitoriali e dalle regole. Privi di qualsivoglia gentilezza perché non sono anch'essi mai stati educati ad essa.

Un ragazzo abbandonato, che sa di essere solo, che ha vissuto per strada sa che deve sopravvivere non "vivere". Un ragazzo che vive per strada dipinge le strade dei suoi colori perché le pareti di casa sono i muri abbandonati delle periferie. Una ragazzo abbandonato parla il dialetto perché nessuno gli ha mai parlato del viaggio fantastico di Dante Alighieri, nessuno gli ha mai detto della voglia di Leopardi di scappare dai suoi genitori e da quella casa prigione, nessuno ha mai parlato dell'orgoglio di Socrate, nessuno gli ha mai detto il perché del definire la Guerra ed i totalitarismi pericolosi perché uccidono, il Perché il Brunelleschi realizzò una cupola impossibile, il perché l'arte dona all'uomo speranza di bellezza, il perché le poesie furono il principio della canzoni a cui ci si appiglia con forza, nella speranza di sentirsi meno soli..nessuno gli ha mai letto da bimbo un albo illustrato, e lasciato che si sognasse su quelle meravigliose immagini.

Ci sono casi e casi e su questo non v'è dubbio. Ma spesso i nostri ragazzi, con i loro racconti, dimostrano che la misera è figlia indiscussa della non conoscenza, della non cultura.

Il pensiero educa al confronto, educa alla messa in discussione, educa alla riprogettazione, educa alla non lamentazione, educa alla ricerca, educa alla bellezza.

In che modo vi chiederete?

Ebbene un ragazzo educato alla bellezza di perdersi in un quadro, non imbratterà mai un monumento. Un ragazzo educato alla buona musica saprà scegliere di non parlare male dei primi ribelli che scrissero le prime note della musica classica perché la ribellione insita in quella musica la sentirà vibrare nell'anima. Un ragazzo educato al pensiero non si omologherà alla massa che gli dirà di obbedire alle regole della strada, del dittatore di turno, della violenza di gruppo. Un ragazzo educato alla cultura del sesso non diventerà genitore in così tenera età, rischiando per questo di non essere in grado di gestire due o tre figli nati anch'essi nell'ignoranza che vivranno inevitabilmente per strada creando tortuosi circoli di continue ed inevitabili richieste d'intervento per il sostegno delle marginalità sociali.

Stasera ascoltavo una ragazza sbraitare contro un mondo di gente che non la comprende ed è colpevole gravemente di questo, ed è colpevole perché non è stata educata ad ascoltare il grido di una ragazza cresciuta troppo in fretta.

Il dialetto è meraviglioso quando è amore verso il proprio paese non quand'è difesa da un mondo per cui o sei così o sei fuori.

La non cultura genera miseria.

La cultura genera conoscenza, indipendenza, unicità, riconoscimento della specialità e della differenza, ricerca...

Ora mi chiedo se non siano queste le competenze in grado di combattere bruttezza, degrado ed abbandono...

Mi ostino all'idea che bisogna leggere libri, non arrendersi alla bruttezza di chi non conosce bellezza, insistere nella cultura perché educa alla vita.

Stasera pesco questo libro dalla libreria degli educatori.

Lo osservo e penso.

Penso che i nostri ragazzi sono attori itineranti su palcoscenici distrutti.

Il nostro lavoro è nascosto nel tentativo di donare loro gli strumenti per costruire teatri sempre più belli, in cui esibire la loro storia ed il proprio coraggio con orgoglio.

La cultura costruisce teatri, strade, musei, giardini, case, quartieri e speranze.

La cultura dona ad in nostri ragazzi la possibilità di esibirsi sul palcoscenico della vita con un copione differente da quello preimpostato, diverso da quello che ha visto i loro genitori crollare sotto il peso delle loro stesse scelte, della loro propensione a desistere, della loro lontananza dal bello, dal valore, dalla giustizia che un bambino merita.

Uno che racconti della complessità di un mondo che spesso si dimentica quanto sia difficile restare sotto i riflettori della vita mentre tutti ti osservano e nessuno ti guarda.

Dott.ssa Pittari Chiara

(Pedagogista, Educatrice presso la Casa Famiglia Murialdo)

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‘Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati’

 

Cos’è la rubrica: Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati

Da un po’ di tempo la mente di noi educatori è talmente colma di pensieri e riflessioni che spesso straripa . Lo scrivere è diventato per noi salvataggio indelebile, la messa al sicuro dei momenti della vita che trascorriamo con in nostri ragazzi.

Noi educatori spesso la notte scriviamo pagine di una vita vissuta fra le mura condivise con degli sconosciuti che a tratti riescono a sentirsi parte di una casa, parte di una famiglia

Un giorno abbiamo deciso di raccontare e di raccontarci per mostrare anche oltre le nostre mura, la bellezza di una giornata trascorsa assieme ai nostri compagni di strada, la paura verso i giorni che verranno, gli aneddoti divertenti dei giorni di sole e le tempestose giornate di pioggia.

Raccontare è per noi un dono ed è prezioso perché permette di rivederci nello specchio e comprendere che vi è sempre da imparare, perché noi danziamo  e danziamo col vento.

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