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mercoledì 25 giugno 2025

Questa casa è parte di me

Rubrica: Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati

QUESTA CASA E’ PARTE DI ME

Vorrei riuscire a spiegare cosa significhi lavorare in un contesto come il nostro. 

Spesso scrivo dei post perché vorrei si capisse cosa vi è effettivamente dietro i termini: "Educatore" , "Comunità", ‘’Casa Famiglia’’, non in quanto dotta ma in quanto spettatrice di giornate che mi insegnano a riflettere e a...mutare forma.

Scrivo perché così posso trasformare i miei ricordi in racconti sulle storie di una casa speciale; di una famiglia speciale.

Scrivo perché un domani voglio rileggere le mie giornate e ricordare.

Scrivo perché, rileggendomi, in un tempo lontano, il naso mi si riempirà del profumo dei biscotti che inondò la casa per giorni e giorni; scrivo perché un domani potrei avere il bisogno di sentir riecheggiare nella mia mente le risate della mia collega mentre intrecciava sapiente e dolcemente le sue brioches e mentre raccontava dei giorni passati. Scrivo perché così potrò ricordare il rumore dei pennarelli che coloravano e adornavano i bigliettini sovrastato dal chiacchiericcio di cinque pasticcioni che prendevano in giro le loro educatrici imitandole, facendo ridere tutti in cucina.

..Scrivo nella speranza di ricordare il calore di una casa viva giorno e notte perché così al mattino svegliarsi è più bello se la tavola è piena di cose buone da mangiare.

Scrivo perché così ricordo il movimento delle manine lente sulla frolla, o del cucchiaino colmo di composta di mele che non appena sfiorò la bocca della più piccina fra tutte le smosse le labbra facendola sorridere. Certe volte scrivo perché così ricorderò un domani, l'ufficio acceso fino a sera tardi per pensare e progettare nuove attività e nuove idee.

Scrivo perché così ricordo il sole della domenica mattina, ricordo gli scalini della chiesa smossi dai passetti di ragazzi che spostano tavoli e dolci mentre corrono e si rincorrono giocando.

Spesso scrivo perché non voglio MAI dimenticare il perché rispetto così tanto questo lavoro.

Spesso scrivo perché alle volte i pensieri sono pesanti, alle volte le vite di questi ragazzi che incrociano la mia e le nostre lasciano profondi segni sulla loro e sulla nostra pelle e ho bisogno di ricordare giorni piacevoli.

Scrivo perché le luci, i suoni, i profumi di questa casa nel tempo stanno scuotendo le fondamenta stesse del mio essere.

Scrivo perché al cospetto dei ragazzi che di giorno in giorno rendono migliori i loro educatori, bisogna imparare a rileggersi per capire quanto questo mestiere renda consapevoli dell'importanza del punto di vista di un bambino e di un ragazzo.

Scrivo perché così vedo "Chiaranetta" (questo è il nome che le bambine mi hanno donato in questi anni) prendere forma ed essere grata al cospetto di tanta dolce... Bellezza.

Scrivo perché questa "Casanetta" è diventata parte di me così come questi ragazzi e questi pochi educatori che credono ancora nel potere di una comunità che si prende cura dell'oggi e del domani, a partire dai propri bambini e ragazzi.

Dice Marco: "Dalla parte dei bambini."

Aggiungo io: "Perché rendono migliori gli adulti."

 

Dott.ssa Pittari Chiara

(Pedagogista, Educatrice presso la Casa Famiglia Murialdo)

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venerdì 20 giugno 2025

La mancanza di cultura segna i ragazzi

Rubrica: Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati

LA MANCANZA DI CULTURA SPESSO SEGNA  I RAGAZZI 

Situazioni di profondo disagio spesso derivano da mancanze culturali, da genitori poco o affatto istruiti che non riconoscono il valore della scuola. Un ragazzo educato al pensiero non si omologherà alla massa che gli dirà di obbedire alle regole della strada, del dittatore di turno, della violenza di gruppo.

"La mancanza di cultura genera miseria".

Stasera rifletto su una delle principali motivazioni che spingono l'inserimento di un minore in una comunità educativa.

<<Il ragazzo o la ragazza dice parolacce, parla solo in dialetto, è oppositivo, fuma e fa uso di sostanze, ha atteggiamenti promiscui, vive in condizioni igieniche non adatte, abbandona la scuola, vive per strada. Nell'ipotesi più orribile il minore ha subito un abuso. Il minore è vittima di triangolazione genitoriale>>.

Molti dei nostri ragazzi derivano da situazioni di profonde mancanze culturali. Finanche i problemi economici hanno spesso una matrice sociale e culturale.

Genitori poco o affatto istruiti che non riconoscono il valore della scuola come istituzione che educa al "pensiero" poiché incapaci essi stessi di pensare. Genitori, deliranti di onnipotenza, poco o affatto in grado di gestire un conflitto sono in grado di smuovere universi pur di non ammettere un fallimento, piuttosto di ammettere "l'umiliazione" di una scusa, piuttosto che imparare a "litigare".

Genitori non educati all'igiene, al rispetto, alla "cura".

Molti dei nostri ragazzi sono cresciuti essendo figli di tutto questo.

Ricordo il manuale di Pedagogia Generale; recitava: "la famiglia è la prima e la più importante agenzia educativa".

La prima e la più importante agenzia educativa e spesso fa acqua da tutte le parti. Come può educare?

Figli della strada.

La strada, penso ai miei libri su Padre Pino Puglisi, istiga i ragazzi alla durezza, alla sopravvivenza, alla freddezza, all'odio verso le istituzioni da cui spesso si sentono abbandonati e non protetti, istiga i ragazzi alla delinquenza, quale facile inclinazione all'ottenimento di risorse economiche necessarie alla sopravvivenza e garanti di una vita degna di chi ha sofferto tanto. In strada si parla il dialetto perché quella è la lingua d'appartenenza; in strada non v'è bellezza. In strada gli adulti sono datori di lavoro del malaffare o nemici dell'infanzia che un tempo fu negata.

Molti dei nostri ragazzi derivano da ambienti di povertà economica derivanti dall'incapacità di genitori di rimboccarsi le maniche, dalla non voglia di agire, dalla voglia di lamentarsi del tutto.

Molti dei nostri ragazzi sono figli di genitori privi di cultura, che si annoverano fra la voglia di evadere dai doveri genitoriali e dalle regole. Privi di qualsivoglia gentilezza perché non sono anch'essi mai stati educati ad essa.

Un ragazzo abbandonato, che sa di essere solo, che ha vissuto per strada sa che deve sopravvivere non "vivere". Un ragazzo che vive per strada dipinge le strade dei suoi colori perché le pareti di casa sono i muri abbandonati delle periferie. Una ragazzo abbandonato parla il dialetto perché nessuno gli ha mai parlato del viaggio fantastico di Dante Alighieri, nessuno gli ha mai detto della voglia di Leopardi di scappare dai suoi genitori e da quella casa prigione, nessuno ha mai parlato dell'orgoglio di Socrate, nessuno gli ha mai detto il perché del definire la Guerra ed i totalitarismi pericolosi perché uccidono, il Perché il Brunelleschi realizzò una cupola impossibile, il perché l'arte dona all'uomo speranza di bellezza, il perché le poesie furono il principio della canzoni a cui ci si appiglia con forza, nella speranza di sentirsi meno soli, nessuno gli ha mai letto da bimbo un albo illustrato, e lasciato che si sognasse su quelle meravigliose immagini.

Ci sono casi e casi e su questo non v'è dubbio. Ma spesso i nostri ragazzi, con i loro racconti, dimostrano che la misera è figlia indiscussa della non conoscenza, della non cultura.

Il pensiero educa al confronto, educa alla messa in discussione, educa alla riprogettazione, educa alla non lamentazione, educa alla ricerca, educa alla bellezza.

In che modo vi chiederete?

Ebbene un ragazzo educato alla bellezza di perdersi in un quadro, non imbratterà mai un monumento. Un ragazzo educato alla buona musica saprà scegliere di non parlare male dei primi ribelli che scrissero le prime note della musica classica perché la ribellione insita in quella musica la sentirà vibrare nell'anima. Un ragazzo educato al pensiero non si omologherà alla massa che gli dirà di obbedire alle regole della strada, del dittatore di turno, della violenza di gruppo. Un ragazzo educato alla cultura del sesso non diventerà genitore in così tenera età, rischiando per questo di non essere in grado di gestire due o tre figli nati anch'essi nell'ignoranza che vivranno inevitabilmente per strada creando tortuosi circoli di continue ed inevitabili richieste d'intervento per il sostegno delle marginalità sociali.

Stasera ascoltavo una ragazza sbraitare contro un mondo di gente che non la comprende ed è colpevole gravemente di questo, ed è colpevole perché non è stata educata ad ascoltare il grido di una ragazza cresciuta troppo in fretta.

Il dialetto è meraviglioso quando è amore verso il proprio paese non quand'è difesa da un mondo per cui o sei così o sei fuori.

La non cultura genera miseria.

La cultura genera conoscenza, indipendenza, unicità, riconoscimento della specialità e della differenza, ricerca...

Ora mi chiedo se non siano queste le competenze in grado di combattere bruttezza, degrado ed abbandono...

Mi ostino all'idea che bisogna leggere libri, non arrendersi alla bruttezza di chi non conosce bellezza, insistere nella cultura perché educa alla vita.

Stasera pesco questo libro dalla libreria degli educatori.

Lo osservo e penso.

Penso che i nostri ragazzi sono attori itineranti su palcoscenici distrutti.

Il nostro lavoro è nascosto nel tentativo di donare loro gli strumenti per costruire teatri sempre più belli, in cui esibire la loro storia ed il proprio coraggio con orgoglio.

La cultura costruisce teatri, strade, musei, giardini, case, quartieri e speranze.

La cultura dona ad in nostri ragazzi la possibilità di esibirsi sul palcoscenico della vita con un copione differente da quello preimpostato, diverso da quello che ha visto i loro genitori crollare sotto il peso delle loro stesse scelte, della loro propensione a desistere, della loro lontananza dal bello, dal valore, dalla giustizia che un bambino merita.

Uno che racconti della complessità di un mondo che spesso si dimentica quanto sia difficile restare sotto i riflettori della vita mentre tutti ti osservano e nessuno ti guarda.

Dott.ssa Pittari Chiara

(Pedagogista, Educatrice presso la Casa Famiglia Murialdo)

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‘Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati’

 

Cos’è la rubrica: Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati

Da un po’ di tempo la mente di noi educatori è talmente colma di pensieri e riflessioni che spesso straripa . Lo scrivere è diventato per noi salvataggio indelebile, la messa al sicuro dei momenti della vita che trascorriamo con in nostri ragazzi.

Noi educatori spesso la notte scriviamo pagine di una vita vissuta fra le mura condivise con degli sconosciuti che a tratti riescono a sentirsi parte di una casa, parte di una famiglia

Un giorno abbiamo deciso di raccontare e di raccontarci per mostrare anche oltre le nostre mura, la bellezza di una giornata trascorsa assieme ai nostri compagni di strada, la paura verso i giorni che verranno, gli aneddoti divertenti dei giorni di sole e le tempestose giornate di pioggia.

Raccontare è per noi un dono ed è prezioso perché permette di rivederci nello specchio e comprendere che vi è sempre da imparare, perché noi danziamo  e danziamo col vento.

mercoledì 4 giugno 2025

Il lavoro in Casa Famiglia

IL (DURO) LAVORO IN CASA FAMIGLIA


<<Ciao Chiara, ti chiamavo per chiederti se avessi il piacere e la voglia di lavorare con noi. La casa famiglia femminile è rimasta scoperta di un'unità e abbiamo pensato a te. Fammi sapere se sei interessata e...spero tanto che l'idea di tornare a lavorare qui, ti faccia piacere>>.

Credo che fu, senza prova di dubbio, l'anno più difficile della mia vita fino a questo momento. Fu un anno turbolento, insidioso. In quell'anno le possibilità di lavoro erano diventate sempre più complesse e, ahimè, ridotte. Per la prima volta in tutta la mia vita ero pronta per andar via dalla mia amata Lucera perché il non lavorare, per chi come me, aveva la testa piena di sogni, per chi in delirio di onnipotenza si era innamorata di quella cultura intrisa di lavoro e voglia di trovare il proprio posto nel mondo, la stessa cultura con la quale i sapienti libri avevano forgiato i miei ideali, il non avere un futuro...era una prospettiva terribile. In un solo anno avevo provato la gioia di avere un lavoro, l'angoscia di perderlo, il vuoto di frasi eteree che galleggiavano nell'aria sulle note impietose di "le faremo sapere" e l'amarezza per il nulla che appariva tetro e macchiava di scuro il mio futuro.

"Ti offriamo 100 euro al mese con prospettive di aumento. Non occorre la laurea, richiediamo dalle 8 alle 12 ore di lavoro ma potrebbe esserti richiesta maggiore disponibilità anche nei festivi. Tu non sei di qua vero? Comunque il trasporto è a carico tuo" Ricordo frasi di questo tipo e... quella stretta allo stomaco.

Piansi molto quell'anno... tutte le mia certezze stavano andando in fumo.

Avevo trascorso tutta una giovinezza a pensare alle cose straordinarie che la vita mi avrebbe riservato, eppure la vita, in quel momento, si stava prendendo beffa di me.

In poco tempo fui disoccupata, maestra d'asilo, ragazza alla ricerca e pronta ad andare via ed... educatrice.

In agosto Marco mi chiamò per chiedermi se avessi voluto lavorare in comunità. Ricordo che dissi: sì. Fu un "si" liberatorio, istintivo e ...felice.

<<Lavoro>>...qual parola complessa.

Ripensai al tirocinio che decisi di svolgere proprio in quella cooperativa, per conoscere quella realtà a cui ambivo, a Lucia che mi faceva da Tutor e sapientemente educava la mia mente a sperimentarsi e a correggersi; ripensai al volontariato, al progetto di Assistenza Domiciliare Educativa ADE che avevamo cercato di ripristinare in ogni modo...

Un lavoro, nella terra che ho sempre amato.

Un lavoro per il quale avevo studiato.

Era utopia...eppure ad un tratto era...vero.

Ricordo che il Presidente mi disse: << è un lavoro duro, impegnativo ma che, se fatto nel modo giusto e non so dirti quale sia perché lo scoprirai da te, darà soddisfazioni e certe volte tristezze e batoste. È un mestiere, quello dell'educatore, che prevede turni, notti e spesso festivi trascorsi a lavoro e talvolta emergenze...se scegli di farlo devi sapere che le condizioni sono queste.

Un ragazzo che piange di notte, beh quello è il tuo lavoro, vorrei saperti dire di più, ma è solo facendo che potresti comprendere>>

Il primo giorno mi accolse una signora gentile dai capelli corvini; mi accolse in quella casa che chiamavano: "casa famiglia" e mi spiegò cosa fosse e chi ci vivesse e ... perché.

Cosa fosse il Murialdo e l'opera San Giuseppe, le idee e le speranze celate al di sotto di quei mattoni rossastri ed in quei campetti preservati con cura da abili mani, cosa fosse quella casa, chi fossero quelle ragazze e quei ragazzi erano una incognita per me.

La mia prima notte guardai fuori da questa finestra e mi sentii grata e ansiosa e timorosa di sbagliarle tutte.

Anche stanotte guardo quella finestra...

Ho messo a dormire la bimba piccola e le ho dato una carezza, ho cucinato le piadine per delle adolescenti affamate, ho parlato con le ragazze di tutto e di niente...abbiamo fatto una passeggiata ed una di loro ha chiesto: "torniamo a casa? Ho una voglia di stare nel mio letto col venticello".

Torniamo a casa....nel mio letto.

Queste parole mi hanno scaldato i ricordi delle ragazze e dei ragazzi che ho visto passare per di qui, incrociare le loro storie con le mie. Penso a quanti pannolini sono stati cambiati, a quanti bagnetti, allo zaino nuovo, appena comprato per il primo giorno di scuola, appeso nell'ingresso, a quanti compiti, a quante torte, alle chiacchiere di notte, agli incubi che l'oscurità porta con sé, ai progetti...

Sono trascorsi gli anni...ed io benedico ancora quella finestra che mi accolse benevola, il primo giorno, con la sua brezza.

Sono già trascorsi anni...e a poco a poco questa casa è diventata un po' anche la mia.

Il poeta Ligabue cantava:

"Una vita da mediano, a recuperar palloni....Una vita da mediano

Da chi segna sempre poco,

Che il pallone devi darlo

a chi finalizza il gioco".

Quella chiamata, quel contratto, quelle scelte all'epoca prive di senso, quel si...mi portarono qui, come Oriali a vincere...caso mai i miei mondiali.

Con l'università scelsi di giocare la mia partita...poi la vita fece il resto.

Ed io son qui...

Dott.ssa Pittari Chiara

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