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mercoledì 8 maggio 2019

Competizione e frenesia rovinano i bambini

COMPETIZIONE E FRENESIA ROVINANO I BAMBINI

L’uomo oggi si trova immerso in una società caratterizzata dalla competizione, dalla frenesia, dall’effimero e dalla pretesa di ottenere “tutto e subito”, che spinge a desiderare sempre di più, senza dare il giusto valore a ciò che si ha e ciò che si è, per appagare la sete di onnipotenza, di potere, di possesso e di prevaricazione sugli altri. Quando ciò non avviene per le varie traversie della vita, insorge una profonda insoddisfazione, insofferenza, frustrazione che impedisce di vivere la vita a pieno godendo di ogni singolo istante. Tutto ciò è stato accentuato anche dallo smisurato e forse inappropriato uso della rete internet che ormai pervade ogni aspetto della vita umana, divenendo talvolta una sorta di vetrina nella quale l’apparire prevale sull’essere.

Se pensiamo che sin dalla nascita i bambini vengono  abituati ad essere riempiti di oggetti, assecondati ad ogni singolo capriccio, ad avere sempre i giochi più alla moda che alla fine finiscono dimenticati in un angolo fra migliaia di balocchi, a non accettare i dinieghi e a chiedere senza limiti, ci rendiamo conto che le emergenze educative del nuovo millennio, spesso si generano proprio da questo benessere senza limiti.

Per questo è importante educare sin dalla tenera età alla perseveranza, alla caparbietà, a non abbattersi di fronte alle sconfitte, a saper fronteggiare le situazioni di stress, ad essere paziente, ad essere aperto a diverse prospettive con intelligenza empatica e ad essere consapevole del proprio valore.

Richard Romagnoli cita nei suoi work shop on line una massima di Confucio: “Non importa quanto piano vai, l’importante è che non ti fermi mai” proprio per evidenziare come anche se piccoli e progressivi,  i passi che si compiono valgono tanto,  per vivere al meglio in una società che fa della competizione e del predominio il suo cavallo di battaglia. Le difficoltà della vita,  i  momenti bui, gli errori possono essere una occasione di crescita costante e non vanno vissuti con angoscia, senso di colpa,  ma con autoriflessione, con spirito di iniziativa, senso pratico e coraggio per rimettersi in gioco nonostante dubbi e incertezze.

In questa ottica un utile strumento educativo ci viene fornito dell’autore del libro più amato da molte generazioni di bambini e non solo, Il Piccolo Principe, ovvero Antoine de Saint-Exupéry, che  in un momento difficile della sua vita scrisse una poesia/preghiera che insegna il valore dei piccoli passi, di vivere la vita giorno dopo giorno per superare i dolori del passato, vivere a pieno il presente e essere sereni per fare le scelte giuste per costruire il futuro.

Non ti chiedo né miracoli né visioni

ma solo la forza necessaria per questo giorno!

Rendimi attento e inventivo per scegliere

al momento giusto

le conoscenze ed esperienze

che mi toccano particolarmente.

Rendi più consapevoli le mie scelte

nell’uso del mio tempo.

Donami di capire ciò che è essenziale

e ciò che è soltanto secondario.

Io ti chiedo la forza, l’autocontrollo e la misura:

che non mi lasci, semplicemente,

portare dalla vita

ma organizzi con sapienza

lo svolgimento della giornata.

Aiutami a far fronte,

il meglio possibile,

all’immediato

e a riconoscere l’ora presente

come la più importante.

Dammi di riconoscere

con lucidità

che le difficoltà e i fallimenti

che accompagnano la vita

sono occasione di crescita e maturazione.

Fa’ di me un uomo capace di raggiungere

coloro che hanno perso la speranza.

E dammi non quello che io desidero

ma solo ciò di cui ho davvero bisogno.

Signore, insegnami l’arte dei piccoli passi.

In queste meravigliosi versi si sottolinea l’importanza di riconoscere il momento presente come l’unico che abbiamo realmente a disposizione per vivere  le nostre giornate a pieno, istante per istante dato che nessuno può sapere cosa riserva il futuro. È necessaria una maggiore consapevolezza del tempo che ogni uomo ha a disposizione per gestire al meglio le proprie giornate, per viverle al meglio ed avere delle priorità, degli obiettivi, e, perché no, anche del tempo cosiddetto “vuoto”, visto che i bambini oggi sono oberati da molteplici attività extrascolastiche con ritmi dettati da adulti e spesso perdono proprio il loro essere infante.

Nella poesia lo scrittore francese con la  suggestiva espressione l’arte dei piccoli passi chiede di poter ricevere non tanto ciò che desidera ma ciò di cui ha davvero bisogno e tale  riflessione ci ricorda che a volte ciò che desideriamo non è davvero il meglio per noi e per la nostra vita. Spesso i  desideri oltrepassano le reali necessità volendo sempre di più, mentre ciò che abbiamo davvero bisogno, che sia positivo o negativo, può invece condurci alla crescita personale ed umana. Non occorre fare salti eclatanti  spesso nel vuoto, ma bisogna predisporsi di fare progressivamente un passo dopo l’altro verso la meta, che è molto più efficace di una corsa sfrenata e sfiancante che lascia alla fine ai bordi della strada in modo tale da ritrovare la nostra stessa identità e umanità.

Autrice: Ragone Antonia

Fonte: www.liberiamo.it

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martedì 30 aprile 2019

E' giusto parlare della morte ai bambini?

E’ GIUSTO PARLARE DELLA MORTE AI BAMBINI?

Oggi non si 'muore' più, oggi si 'scompare', si 'viene a mancare', ci 'si spegne', si 'passa dal letto al cielo'... 
Oggi si può dire tutto, tranne 'è morto'. La parola 'morte' disturba. No, così non va!

Don Bosco aveva inventato un bell'esercizio per i suoi ragazzi: una giornata di riflessione, di gioco e di festa chiamata “Esercizio della Buona Morte”. Era un momento molto bello in cui i ragazzi pensavano soprattutto alla vita! 
Le domande sulla morte e il lutto, su Dio e il Paradiso sono normali per i bambini. Gli adulti spesso hanno difficoltà a rispondere perché quelle domande toccano temi repressi, negati. Quanto più la morte è cancellata dalla quotidianità, dalla vita degli adulti, quanto più questi si sentono impotenti di fronte a tali esperienze limite, tanto più i bambini si sentono lasciati soli, nelle esperienze che li opprimono, dalle persone di riferimento più vicine. Avvertono la mancanza di sostegno e orientamento. E poi le domande dei bambini sulla morte non riguardano soltanto la fine. I loro interrogativi contengono anche dei desideri; il desiderio di risposte a domande fondamentali circa il senso della vita. 
La parola morte è tra le più intelligenti del vocabolario. Porta in sé due pensieri che toccano il vertice della saggezza. 

Il primo pensiero che ci arriva alla mente riflettendo sulla morte è quello del crollo di tutte le montature. 
• Prima di tutto la montatura di chi imposta la sua via esclusivamente sulla carriera. 
Il pensiero della morte ci fa ridere della feroce serietà con cui alcuni si attaccano alla propria posizione. Anche senza di noi, il mondo va avanti benissimo! Eppure i cimiteri sono pieni di persone che si ritenevano indispensabili! È vero che le persone non sono intercambiabili, ma i ruoli sì. Il pensiero della morte ce lo ricorda: è il suo primo grande servizio di igiene mentale. 
• La seconda montatura che crolla davanti al pensiero della morte è l'impostazione della vita sulla fama. Facciamo un ragionamento quasi banale, tanto è ovvio. Tra qualche anno moriremo. Passerà un po' di tempo e moriranno pure i nostri compagni, gli abitanti del paese, della città, della regione. Chi si ricorderà ancora di noi? 
Perché, dunque, far ruotare la vita sugli altri, su quello che possono dire o pensare di noi? 
Ecco: il pensiero della morte mi affranca dall'opinione. Passa il giudizio degli altri, passa il loro ricordo, passa la fama: solo la mia coscienza non passa. Solo di essa è da intelligente interessarmi. 
• La terza montatura che crolla davanti a tale pensiero è l'impostazione della vita sulla ricchezza, sull'“avere”. Ha senso vivere per diventare l'uomo più ricco del cimitero? Se vi è cosa perfettamente inutile negli abiti dei defunti sono le tasche!

Tutti più buoni 
Il pensiero della morte è positivo per una seconda ragione: perché ci fa diventare tutti più buoni! 
È impossibile parlare della morte senza parlare di Dio. 
Quando arriva il pensiero della morte, anche il più satanico aguzzino davanti al quale tremò tutta la terra, si ferma e medita. Il pensiero della morte impedisce d'esser distratti, ci concentra; fa entrare in noi stessi, crea silenzio e ci spinge a guardare in alto. 
Dicono che, quando gli esseri umani si trovino appesi alla vita per un filo, sentano scaturire in fondo al cuore la volontà di «agire per gli altri». È la volontà di compiere la «missione» di realizzare la felicità di tutti, senza preoccuparsi dei propri desideri. 
Quando al signor Son, fondatore di un impero bancario mondiale, fu annunciato che gli sarebbero rimasti 5 anni di vita, capì qual era lo «scopo della sua vita»: avrebbe, cioè, voluto vivere non per ottenere fama, né ricchezza, bensì per far sorridere le persone a lui care. 
Esiste un istinto particolare che è tipicamente umano: quello di «essere felici rendendo felici gli altri». 
Ciascuno di noi è costretto a rispondere ad alcune domande: Di recente, per che cosa sei stato ringraziato? Ti è stato detto «grazie»? La tua vita, finora, ha reso felici gli altri? C'è qualcuno che è felice grazie a te? Qual è la cosa più importante per te? Perché allora non la fai? Chi vorresti far sorridere? Quando ti si accende il cuore al pensiero di far sorridere qualcuno, a chi stai pensando? Quale tipo di felicità, per quante sono le tue possibilità, saresti in grado di far provare agli altri?

HANNO DETTO 
• “Bisogna parlare della morte ai piccoli, certo. Se qualcuno della famiglia muore, è importante non privare mai il bambino della notizia di questa morte. Non dirglielo vuol dire trattarlo come un gatto o un cane, escluderlo dalla comunità degli esseri parlanti”. (Françoise Dolto, psicanalista) 
• “Non sono d'accordo con chi pensa che i bambini sono da tener lontani e all'oscuro del pensiero della morte”. (Marcello Bernardi, pediatra) 
• “Ritengo giusto parlare di morte ai bambini. Parlare con calma e dolcezza”. (Tilde Giani Gallino, psicologa) 
• “Penso alla possibilità della morte ogni giorno, è un buon esercizio”. (Sigmund Freud, fondatore della psicanalisi)

Fonte: www.biesseonline.org

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mercoledì 3 aprile 2019

Genitori come buoni giardinieri

GENITORI COME BUONI GIARDINIERI

Dedicarsi al giardinaggio significa apprendere l'arte di coltivare la vita. Non solo quella delle piante, ma anche e soprattutto quella della nostra famiglia e dei nostri figli, che può sbocciare come un fiore nutrito dalle cure amorevoli e dal grande fertilizzante della consapevolezza e della riflessione.

Dedicarsi al giardinaggio Concretamente significa:

Avere un progetto. Non c'è niente di meglio che contribuire allo sbocciare della vita. “Donare la vita” è qualcosa che riempie la vita di soddisfazione e felicità. Una pianta non è né buona né cattiva: vuole appassionatamente e soprattutto vivere! Ma senza un progetto preciso nulla succede. Nell'esistenza, come nel giardinaggio, abbiamo bisogno di sapere quale direzione vogliamo seguire. In pratica, per essere felici bisogna innanzitutto volerlo e questo deve diventare un obiettivo prioritario e consapevole. Solo quando stabiliamo gli obiettivi e diciamo di sì a ciò che il loro perseguimento comporta ci accorgiamo che le nostre esistenze si trasformano. Una volta stabiliti gli obiettivi, fatene una lista mettendoli nero su bianco e riuscirete a portarli a termine positivamente.

Prendere decisioni. Far crescere qualcosa di vivo, significa prendersi una gran bella responsabilità. Un essere vivente ha enormi capacità di sviluppo. Ogni organismo vivente è unico e cresce secondo dinamiche personali. Il rispetto dell’altro è essenziale. Per progredire bisogna imparare a concentrarsi sulla situazione, e poi non esitare, ma agire. Una pianta è un “oggetto” in corso d’opera per sempre, sia pure con fasi diverse. Abbandonata a se stessa, muore.

Preparare il terreno. Bisogna offrirgli uno spazio dove può essere se stesso. Per ogni pianta occorre il posto giusto: la famiglia è il luogo dei sentimenti, il posto dove si sta bene insieme, “la nostra casa”. Per crescere, un figlio ha bisogno di sentire che i suoi genitori lo hanno voluto, lo amano così com’è, l’accettano con le sue qualità e i suoi difetti, che sono presenti, che l’accompagnano, che lo rispettano e che lo “inquadrano”. Un bambino che ha un padre incapace di spedirlo a dormire la sera non pensa che suo padre possa proteggerlo. È impossibile. «Se mio padre non è neppure capace di farsi obbedire da me, che ho cinque anni, come potrà difendermi dai ladri di cui ho tanta paura di notte?». Una pianta cresce bene se è “disciplinata”, sostenuta, puntellata, diretta. Un bambino ha bisogno di essere “recintato”, rassicurato, protetto e puntellato. Qualche volta “potato”: chi non impara a sopportare i piccoli “no” e le modeste frustrazioni familiari non sarà mai in grado di sopportare quelle serie della vita. E appassirà.

Provvedere l'acqua. Il terreno può essere fertile, ma se non viene innaffia­to nulla può crescere e prosperare. La comunicazione è per gli esseri umani ciò che l'acqua è per i vegetali. Alcuni genitori sot­tovalutano l'importanza della comunicazione e non vi prestano una attenzione sufficiente. Comunicare con i figli significa in primo luogo ascoltarli: sforzarsi cioè di capire che cosa intendo­no dire realmente senza interpretare le loro parole a proprio van­taggio, secondo i nostri schemi e pregiudizi o per dimostrare di avere ragione.

Preoccuparsi della luce. Per poter crescere in tutta la loro forza e bellezza le piante hanno bisogno di luce. Ogni pianta va alla ricerca di una fonte luminosa e se questa è insufficiente, la pianta cresce sclerotica. La luce che serve alla mente e al cuore degli esseri umani è un insieme di cultura, apprendimenti, senso morale, arte, virtù, sensibilità, intelligenza, sentimenti. E senso religioso. Certo, si può vivere anche con poca luce, ma in questo caso la "pianta" avrà uno sviluppo stentato, al di sotto delle sue potenzialità.

Lavorare con entusiasmo. L’arte del giardinaggio è gioia pura e l’entusiasmo è il nutrimento della gioia perché porta l'energia che fa stare bene. La vera felicità non è vincere, ma agire, progredire. «Bisogna stare attenti, tuttavia, a non limitarci al generare; educare è altrettanto bello: un processo in cui si apprende molto, in cui si sperimentano nuove dimensioni della propria umanità. Si cresce l’altro crescendo se stessi» scrive Vittorino Andreoli. Ogni giardiniere è fiero delle sue piante. «Sono stato veramente contento ieri sera: per la prima volta sono uscito con mio padre. Mi ha presentato agli amici ed ha detto di me che ero un bravo figliolo» (Andrea, anni 17).

Liberarsi dalle erbacce. Terreno, acqua e luce sono elementi essenziali ma non sufficienti. Il bravo giardiniere sa di dover difendere le piantine tenere dalle erbacce che rischiano di soffocarle. I bravi genitori cercano di proteggere i figli dalle cattive influenze. La crescita è un processo graduale. L'autonomia si acquisisce passo dopo passo. Il che non significa però che si debba esse­re iperprotettivi. Come succede nei giardini, una volta eliminate le erbacce si rimane stupiti da come tutto il resto venga di conseguenza: la bellezza è lì, pronta a espandersi in un attimo!

Esercitare la pazienza. Il giardinaggio insegna a rispettare le tabelle di marcia, a trasformare un'idea in un progetto con obiettivi chiari, ad analizzare il terreno per capirne le caratteristiche, a utilizzare gli attrezzi giusti, a nutrire con cura le piante e ad aspettare con calma il momento della fioritura. Se rispettiamo questa tabella di marcia anche negli altri ambiti della vita vedremo finalmente sbocciare. Non posso obbligare il mio giardino a crescere più velocemente. Allo stesso modo, anche l'evoluzione di ogni persona ha i suoi tempi. Da rispettare. E monitoriamo la nostra energia per comprendere che cosa ci fa passare dallo svegliarci ogni mattina con il sorriso al desiderare che la settimana sia finita già al martedì.

Fonte: www.biesseonline.org

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mercoledì 27 marzo 2019

7 pillole di saggezza per rinnovarsi

7 PILLOLE DI SAGGEZZA PER RINNOVARSI

Ortega y Gasset (1883-1955) fu un filosofo e scrittore spagnolo legato alla teoria del prospettivismo, al raziovitalismo e al movimento di rinnovamento culturale e artistico contro il modernismo, conosciuto come Noucentisme. Le frasi di Ortega y Gasset ci invitano a riflettere e a metterci in discussione. Sono pillole di saggezza per tutti coloro i quali vogliono rinnovarsi a partire dalla metafora e le frasi ingegnose.

Il suo pensiero ha esercitato una grande influenza su diverse generazioni di intellettuali. Egli non fu soltanto un brillante divulgatore, ma si dedicò ad approfondire una grande varietà di campi del sapere tra cui la filosofia, la psicologia, l’arte e la letteratura. Il suo stile è considerato elegante e originale, soprattutto il suo discorso filosofico. La prova risiede in alcune delle sue opere quali Il tema del nostro tempo (1923) o La ribellione delle masse (1929).

Il cammino verso se stessi
“Cammina lento, senza fretta, che l’unica tua meta è trovare te stesso”.
Si tratta di una delle frasi più belle di Ortega y Gasset. La destinazione non è un luogo, non è un lavoro né un momento. Non è il cammino verso i nostri sogni, bensì riconciliarsi con noi stessi. Il punto esatto in cui ci incontriamo con la nostra vera essenza.
A volte, ci dimentichiamo che la cosa più importante non si trova là fuori, bensì dentro ognuno di noi. A che serve raggiungere ciò che desideriamo, avere la vita dei nostri sogni se poi non ne facciamo veramente parte… Sembra che a volte invertiamo l’ordine delle cose e diamo la priorità alle mete esterne pensando che poi arriverà il momento per conoscersi. In questo modo, posticipiamo l’elemento fondamentale: arrivare a noi stessi.

Il valore degli errori
“Il vero tesoro dell’uomo è il tesoro dei suoi errori”
Un errore è un ponte verso la conoscenza, l’opportunità di migliorare ciò che in un momento dato è andato male. Un tesoro, come esprime Ortega y Gasset, pieno di saggezza.
Sui nostri sbagli si ergono il cambiamento e la crescita. Basta soltanto imparare a vederlo. Gli errori sono umani, tutti li commettiamo. È praticamente impossibile salvarsi da essi. Di fatto, non possiamo controllarli perché non siamo perfetti. Allora, ciò che possiamo scegliere è l’atteggiamento con cui affrontarli.
Gli errori sono grandi maestri. Basta semplicemente dargli un’opportunità. Ci indicano quale cammino abbandonare o quale strategia migliorare. A partire da essi c’è tutto un mondo da decifrare, così che in ogni errore si racchiude una sfida.

La costruzione della realtà
“Ci sono tante realtà quanto punti di vista. Il punto di vista crea il panorama”.
Una delle pillole di saggezza di Ortega y Gasset da ricordare nelle nostre conversazioni con gli altri. Ogni persona crea un mondo, il suo mondo, e a partire da esso filtra tutto ciò che accade intorno a lei. Per questo motivo nascono molti fraintendimenti; per questo a volte è tanto difficile capirsi.
Ciò che fa bene e arricchisce le nostre relazioni è apprezzare le sfumature presenti in ogni prospettiva, in ogni punto di vista che ci circonda. Questa è la magia, il mistero. Una realtà che si moltiplica e che dipende dagli occhi di chi guarda.

Pianificare e pensare in prospettiva per avanzare
“È possibile avanzare solo quando si guarda lontano. Si può progredire solo quando si pensa in grande”.
Per Ortega y Gasset era chiaro: avanzare presuppone pensare in grande e credere che tutto è possibile. Se accorciamo il nostro pensiero, i nostri sogni si vedranno ridotti in buona misura.
Quando si tratta di progetti, mete e obiettivi, la parola impossibile dovrebbe trovarsi all’ultimo posto nella lista dei significati da prendere in considerazione. Perché, se riduciamo il nostro campo di visione, non riusciremo a raggiungere ciò che ci siamo prefissi. C’è tutto un mondo di possibilità là fuori, basta soltanto trovare il modo. Questa è la sfida.

Insegnare a dubitare
“Laddove insegni, insegna a dubitare di ciò che insegni”
Ecco un’altra delle pillole di saggezza di Ortega y Gasset che vale la pena di ricordare, soprattutto nell’ambito educativo. Se vogliamo degli adulti liberi e capaci di decidere da sé, insegnare a dubitare è fondamentale.
Imporre un’idea vuol dire accorciare il campo del sapere che è così vasto e illimitato… Senza dubbio, insegnare a porsi domande, non solo agli altri ma anche a noi stessi è la chiave verso la conoscenza. La porta verso la ricchezza che proviene dalla diversità di prospettive. Il dubbio è fondamentale per costruire idee catartiche.

L’importanza della responsabilità
“Molti uomini, così come i bambini, vogliono una cosa ma non le sue conseguenze”.
Renderci responsabili delle conseguenze dei nostri atti richiede maturità emotiva. Sapere che una decisione porta con sé qualcosa che va oltre il momento della scelta è fondamentale. Spesso, tutto dura molto di più del momento in cui succede. Sapere che cosa fare con la traccia che lascia ci permette di avanzare, organizzarci e non perderci.
Chi non si responsabilizza vive nell’instabilità, nel vittimismo e nella colpa. Non sa che passi muovere né quali ha già mosso. Si muove per capriccio o immediatezza, come i bambini. È ovvio che, una volta ottenuto ciò che si desidera, sarà importante sapere anche che cosa fare con la traccia che lascia.

Sapere con umiltà
“Sapere di non sapere è, forse, il sapere più difficile e delicato”.
Probabilmente una delle frasi di Ortega y Gasset più complicate, e la cui accettazione implica una grande dose di umiltà, ma è senza dubbio una delle più sagge. Dobbiamo riconoscere i nostri limiti, accettare che conosciamo l’equivalente di una goccia d’acqua dentro un oceano immenso.
Che cosa sappiamo in realtà? Chi crede di sapere tutto non andrà lontano perché la sua superbia glielo impedirà. Al contrario, chi con umiltà accetta la propria ignoranza, è prossimo a dare un altro passo verso la scoperta di tutto ciò che lo circonda. Come si può vedere, le pillole di saggezza offerte da Ortega y Gasset sono un invito all’autoriflessione e alla messa in discussione. Parole a cui ricorrere se vogliamo rompere la rigidità del nostro pensiero.

Fonte: www.lamenteemeravigliosa.it

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mercoledì 20 marzo 2019

5 errori da evitare quando si diventa genitori

5 ERRORI DA EVITARE QUANDO SI DIVENTA GENITORI

Avete notato anche voi quanto vanno di moda i bulldog francesi?
Ho incontrato una coppia che mi ha raccontato quanto desideravano averne uno, il lungo percorso che li ha portati a scegliere il giusto allevatore, l’attesa che nascessero i cuccioli e fossero svezzati e finalmente l’adozione. Poi da quel momento, il racconto è una tragedia infinita. Il cane bisognoso di attenzioni e cure costanti, incidenti alle zampe, problemi gastrointestinali, paura crescente nei padroni e pensiero fisso “ma come c’ho pensato a prenderlo che non campo più adesso?”.
Chiarisco immediatamente che questo non è un articolo sui bulldog francesi, non mi interessano questioni cinofile (al momento) ma mi interessa la curiosa similitudine che questa situazione mi sembra avere con la nascita di un bambino.
Quando nasce un bambino la prima grande trasformazione che la famiglia vive è il passaggio dall’essere coppia all’essere genitori, passaggio che viene agevolato dall’aver già seguito un percorso personale di emancipazione dalla propria famiglia di origine.
Non si diventa genitori se prima non si è adulti e non si diventa adulti se non si smette di essere figli, ovvio, si parla di ruoli e non di biologia.
Se non è chiaro il motivo per cui si desidera un figlio, se non è completamente cosciente il perchè si vuole cambiare drasticamente la propria esistenza (perchè questo avverrà) il rischio è che l’inconsapevolezza e fragilità genitoriale verranno messe a fianco del bambino nella sua culla, come i doni che le fatine fanno ad Aurora.
Deve essere chiaro a chiunque decide di mettere un figlio al mondo, che è l’adulto che deve adattare la propria vita al nascituro e non viceversa.
Questo non significa sacrificare la propria esistenza e finire con l’essere riprodotto in qualche scultura dedicata ai martiri della famiglia, significa piuttosto mettere in atto una sana accettazione che le situazioni cambiano, che una famiglia è una comunità di individui ognuno con i propri bisogni ed in certi momenti i bisogni di qualcuno posso avere una priorità su quelli degli altri. Come nel caso di una malattia, o appunto di una nuova vita che si affaccia.
Gli errori più comuni che vedo messi in atto sono:
·        desiderio di tornare immediatamente alla propria vita mondana portandosi dietro i bambini come fossero accessori di tendenza. Genitori che fanno aperitivi, serate, cene in luoghi chiassosi con bambini di qualsiasi mese e misura a fianco. Bambini piazzati davanti agli schermi, genitori che urlano se i bambini non vogliono vedere il cartone, che li minacciano di tornare a casa se non li ascoltano sapendo che non ce li porteranno mai perchè se i genitori sono lì è proprio perchè a casa non avevano voglia di stare! Il corpo del bambino per riuscire a tenere le energie alte oltre l’orario classico della nanna, produce adrenalina e cortisolo, che inducono irrequietezza e stress. Ergo: mi addormento quando crollo perdendo il mio sano bioritmo.
·        ripresa della propria vita lavorativa esattamente da dove si era lasciata senza riduzioni di orario. Sono perfettamente d’accordo sul fatto che un adulto non debba identificarsi con il ruolo genitoriale ma anche con quello lavorativo, che il proprio lavoro, soprattutto se amato, è fonte di benessere e serenità. Ma cribbio, non potete mettere bambini di 4 mesi al nido perchè dovete subito tornare a lavoro, è assurdo che i nidi tengano bambini di 1 anni per più di 6 ore, non è concepibile lasciare un bambino al nido dalle 8 alle 18!! Allora fate le pratiche di adozione e toglietevi questo peso una volta per tutte. Un bambino, specie nel primo anno di vita, ha BISOGNO dei genitori per la costruzione di una base affettiva-relazionale stabile e sicura, tale relazione avrà effetti per tutto il resto della sua esistenza influenzando tutte le sue relazioni future. E quindi la risposta è sì, per il primo anno, dovete accettare che la priorità ce l’ha vostro figlio e non voi. Sì, per il primo anno dovete gestire meglio la vostra vita lavorativa. E sì, se pensate che il lavoro venga prima di vostro figlio sempre e comunque, avete un grosso problema familiare. Diverso è il caso se il vostro lavoro contempla la presenza di vostro figlio, allora è diverso. Ad esempio, se lavorate in un ufficio dove avete libertà di movimento, di pause, di ripresa, portatevi il piccolo con voi. Finchè è piccolo farà lunghe dormite e accanto a voi riceverà tutto il nutrimento affettivo che necessita mentre voi avrete il vostro spazio personale di realizzazione e benessere.
·        televisioni sempre accese. “Tanto è piccolo mica la vede anche lui”, eh certo! Quindi continua pure a guardare Psyco mentre allatti tuo figlio di 13 mesi che tanto lui mica vede e sente fino ai 3 anni…. (di allattare davanti la tv ne avevamo già parlato).
·        lamentela costante. Chi non ha accettato che una nuova vita porta una nuova vita anche per tutti gli altri componenti della famiglia, tenderà a lamentarsi sempre scaricando il barile sul piccolo (mentre si scrive su instagram “tesoro della vita mia”) e non si comprenderanno le sue reali richieste percependole sempre come pretese, capricci e scocciature. Sempre più spesso nella mia professione di pedagogista, incontro genitori disperati di fronte ai comportamenti dei figli e 9 volte su 10 quello che il bambino sta cercando di dire è “Mi vedi? Ti accorgi di me? Mi ami?”.
·        rifiuto della solitudine. Se c’è una cosa che esser genitore ti insegna, è affrontare la solitudine. Questa è la prova di fuoco per capire se ti sai bastare, se riesci a reggere il silenzio, se hai una relazione con il tuo compagno soddisfacente. Se siete finiti per essere una famiglia o se lo avete scelto. Rifiutare questo passaggio porta i neogenitori e riempire i vuoti. A fare passeggiate nei centri commerciali, a partecipare a qualsiasi attività, a invitare costantemente qualcuno a casa, ecc. Non che nessuna di queste azioni sia scorrette ovvio, il problema nasce quando diventano quasi ossessive. Una ricerca sfrenata di compagnia, importante comunicazione del proprio mondo interiore, che va ascoltata ma soprattutto compresa per rintracciarne le origini.
Insomma, cari genitori, crescere un figlio è davvero un compito stupendo, simile ad un’escursione in montagna. Ci sono salite ripidissime che preferiresti scavarti la fossa con un legnetto piuttosto che affrontarle, panorami mozzafiato, profumi di sottobosco magici, discese facilissime, pause rigeneranti, stanchezza felice e soddisfazione profonda.
Ricordatevi solo una cosa, che un palazzo senza fondamenta non si regge, che una torre se poggia sui cracker ad un certo punto viene giù, che se una corda non è ben legata alla sommità si stacca e cade, che la vita va protetta e i protettori siamo noi, non ce ne sono altri.
E’ vero vi sentirete soli, disperati, spaventati.
Vi chiederete anche voi come la coppia del bulldog : “ma come c’ho pensato a prenderlo che non campo più adesso?”.
Ma non fate l’errore di cercare di fuggire da tutto ciò, non perdete l’occasione d’oro di crescere assieme ai vostri figli.
Ricordate, quello che state vivendo non è un momento di fragilità, ma la scoperta di un nuovo disarmante, affascinante, sconvolgente, incantevole mondo.
Quando il treno parte fa paura è vero, ma non scendete per paura e se siete in difficoltà rivolgetevi a figure professionali in grado di aiutarvi a riflettere sulle cause piuttosto che ricevere consigli sulle pratiche.
Siete vivi, siete pieni di vita, avete di fronte a voi la vita nella sua forma più potente, questo è ciò a cui dovete aggrapparvi.

Fonte: www.hundredsofbuddhas.com

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mercoledì 13 marzo 2019

Bambini al guinzaglio

BAMBINI AL GUINZAGLIO
NON STIAMO ESAGERANDO?

Vi sono piccoli che indossano un braccialetto. No, non è un cinturino o un orologio, ma un sensore. Quando il pargolo si allontana dal campo visivo il ricevitore di cui è munita la mamma, si mette a suonare. Allarme rosso! La madre scatta e intercetta il piccolo che voleva godersi uno spicchio di mondo.
Purtroppo non è fantascienza. Un celebre marchio di apparecchi elettronici di casa, ha pubblicizzato il braccialetto elettronico per piccoli. Bambini pilotati, diretti, dipendenti al 100%!
A tutti è noto il guinzaglio del cane che si allunga - non più di tanto! - regalando un breve spazio di libertà all'animale. Alcuni criminali recidivi sono, oggi, muniti di un bracciale per controllarne gli spostamenti.
Ebbene, anche se può essere urtante, l'onestà ci impone di dire che siamo arrivati a trattare i bambini come i criminali ed i cani!

Ragioniamo
Non è tempo di dire che le mamme 'elicottero', le mamme ' vinavil', anche se pensano di amare il loro bambino, in realtà, lo annientano?
Non è tempo di smettere di trattare i piccoli come le statuine del presepio che possono godersi un po' di luce solo una quindicina di giorni all'anno?
“C'è in Italia un piagnisteo sui pericoli dei bambini che rasenta l'idiozia”, sostiene Roberto Volpi.
Questo per il guinzaglio elettronico.
In realtà vi è un secondo tipo di guinzaglio non meno inaccettabile: si tratta del 'guinzaglio verbale': il guinzaglio delle parole.
“Non toccare!”. “Non correre!”. “Sta' al sole!”. “Non stare al sole!”. “Attento che cadi!”: “Te l'avevo detto che cadevi!”. “Mettiti la maglia!”. “Togliti la maglia!”.
Ecco: bambini pilotati dal tassativo guinzaglio verbale.
A questo punto il ragionamento arriva al sodo.
Privare il piccolo di ogni forma di autonomia, è rubargli la vita!
Tutti sanno che il bambino è avido di vivere.
Ha gli occhi e vuole vedere.
Ha le orecchie e vuole aprirle.
Ha mani e vuole manipolare.
Ha gambe e vuole usarle.
Dire ad un bambino “Non muovere!”, “non toccare!” è come dirgli “Muori!”.
Ha tutte le ragioni la psicologa Anna Oliverio Ferraris a sostenere che “In nessun'epoca il bambino è stato tanto inattivo come oggi!”.

Il bambino ha diritto all'aria libera: in gabbia muore!

Il risponditore automatico
L'esperto Jesper Juul sostiene che i genitori devono abbandonare il “risponditore automatico”, lo strumento che, appena i figli sono a portata di orecchio, attacca con i soliti commenti educativi, di aiuto o di consiglio. È evidente che la maggior parte dei figli già all'età di tre anni smette di ascoltare la macchina parlante, mentre la maggior parte dei genitori dimentica per quali risposte l'aveva programmata. Di solito il nastro contiene un'accozzaglia di “saggezza ricevuta”, che ci arriva dai nonni, frammista a consigli più o meno attuali letti su qualche rivista o sentiti in televisione.
«Ma il fatto che lo strumento sia automatico non significa che sia innocuo; tutt'altro. Le parole in sé possono sembrare abbastanza inoffensive, ma il messaggio sottostante è distruttivo: “Tu non sei in grado di funzionare come un figlio decente/responsabile/beneducato/collaborativo se io non ti metto in testa ogni minuto quello che devi fare!”. O, come dicevano i miei genitori: “Dovresti ringraziare il cielo che ci siamo noi! Altrimenti come finiresti?!”. E quanto più il nastro lo ripete, tanto più il messaggio viene registrato.
La capacità dei figli di esprimere e praticare il loro senso di responsabilità cresce con l'età, e la stessa cosa avviene per gli adulti, i migliori dei quali sono pronti a riconoscere le proprie competenze e quelle dei loro figli».
Tra le nostre tante convinzioni, che da sempre portiamo con noi, la più radicata è questa: se i nostri piccoli si sentissero più volte dire dai genitori: “Corri a giocare!”, avremmo bambini meno tesi, meno tristi, meno violenti, meno annoiati, meno delusi dalla vita.
È la prova della sapienza del proverbio: “La catena, non ha mai fatto un cane bravo e felice”.

«TUTTO DA SOLO!»
In un corridoio di un centro di rieducazione per bambini affetti da disabilità più o meno gravi, un bambino con le gambe inerti, imprigionate da ingombranti tutori di metallo, si trascinava rimanendo seduto sul pavimento, sbuffando e piagnucolando.
«Tiziana, tirami su!» frignava stizzito verso la giovane volontaria che lo guardava sorridendo al fondo del corridoio, a braccia spalancate.
«Aiutami!» piangeva il bambino. Ma la ragazza sorrideva e non si muoveva.
Furioso, con le lacrime agli occhi, il bambino puntò le braccia con tutte le sue forze, con uno sforzo immane costrinse le sue gambe a piegarsi finché si alzò in piedi e traballando, a passo di formica, cominciò a percorrere il corridoio.
Dopo un tempo interminabile, arrivò dalla ragazza che lo aspettava sempre sorridente, con le braccia aperte.
Il bambino si buttò in quelle braccia gridando: «Tutto da solo! Hai visto? Ho fatto tutto da solo!».
La ragazza lo strinse a sé piangendo e rimasero così un bel po'. Tutti quelli che passavano guardavano stupiti quel momento di pura felicità di una ragazza e un bambino che piangevano abbracciati.

Fonte: www.biesseonline.org
Autore: Pino Pellegrino

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mercoledì 6 marzo 2019

Diamo la giusta libertà ai bambini

DIAMO LA GIUSTA LIBERTÀ AI BAMBINI
Dare libertà al bambino non significa lasciargli decidere e fare tutto ciò che vuole 

La libertà, è senz'altro uno degli obiettivi che molti genitori si prefissano per i propri figli. Quando nascono infatti li vogliamo sani, forti e liberi.

Però non è che sia proprio chiaro cosa si intenda per libertà e come vi si possa giungere, la confusione talvolta è così elevata da rischiare di confondere il fine con lo strumento per ottenerlo.

Quindi, laddove si cercava, per amore, di sostenere il bambino in un processo di libertà, ci si ritrova con un figlio ingestibile.

Non raccogliete la parola ingestibile come un giudizio negativo sul bambino, ma come una condizione dell’adulto che perde di vista il proprio ruolo.

Grazie Honegger Fresco, allieva diretta della Montessori, sosteneva che la libertà è un cerchio che cresce attorno al bambino, piccolissimo all’inizio, man a mano si allarga accompagnando il bambino nella crescita.

La libertà è perciò fatta di passaggi graduali, proporzionati all’età e alle competenze del bambino e la caratteristica che la identifica, è la percezione di confine che il bambino riceve dagli adulti.

Laddove il confine si è smarrito e la libertà diventa totale, lo scenario che si palesa è quello di inversione dei ruoli genitore-figlio, richieste pretenziose verso il bambino e de-responsabilizzazione educativa del genitore.

Per i bambini è fondamentale avere regole, che non devono essere assurde e tiranniche, al contrario devono essere ben ponderate, coerenti tra i coniugi, che permettano al bambino di esprimere se stesso chiarendo i confini che lo facciano sentire sicuro.

Non averne mette il bambino in una situazione di eccitazione, scarso ascolto del mondo circostante, ma a volte anche paura. Dobbiamo stare attenti, non è che siamo alla ricerca della nostra libertà e per farlo stiamo utilizzando i nostri figli?
L’impressione rimanda un’immagine spesso simile ad un transfert che il genitore fa sul figlio. Siccome non sente di aver ricevuto in dono libertà dai propri genitori, perché magari si è sentito sempre vincolato in un percorso stretto, in regole troppo rigide, in compiti da dover portare a termine, in frasi tipo “prima il dovere poi il piacere”, decide di “utilizzare” il figlio per riscattarsi. In pratica mette in atto con il figlio l’esatto opposto di quello che è stato fatto con lui, in un distorto principio logico in cui se rigidità priva della libertà, libertà sfrenata la salvaguarda. Inconsciamente, sta usando il figlio per farsi vedere dai genitori e dire “ora con lui faccio quello che mi pare perché sono libero, libero da voi”. Guardando il genitore, perde immediatamente controllo visivo con il figlio e la distorsione che ne deriva è che più mette in atto pratiche educative in opposizione alla famiglia di origine, più paradossalmente vi si avvicina.

Un bambino è per definizione, una creatura perfetta, che abbisogna del sostegno degli esseri adulti per procedere nel cammino della propria costruzione, da loro dipende la sua sopravvivenza e nell’asimmetria del rapporto ne trae sicurezza e serenità.

Qualora nessuno mettesse più in atto il ruolo genitoriale del prendersi cura, creare confini sicuri e situazioni chiare e prevedibili, il bambino vedrebbe la propria armonia evolutiva sgretolarsi e la terra tremargli sotto i piedi.

Alcuni esempi per farvi capire:
IL PASTO: chiedere costantemente ad un bambino cosa vuole mangiare, deresponsabilizza l’adulto dal suo ruolo di educatore anche in ambito alimentare. Un bambino potrebbe scegliere menù poco sani o bilanciati. Se volete coinvolgerlo nel processo decisionale, fategli scegliere tra un ventaglio di possibilità che avete già valutato, oppure fategli scegliere la ricetta dopo aver chiarito quali sono gli ingredienti. Siete voi i responsabili della sua salute, siete voi che dovete stabilire in che direzione procedere (senza dogmatismi sia chiaro).

INSERIMENTO: al nido o alla materna, è necessario un periodo iniziale di ambientamento in cui il bambino venga messo nelle condizioni di costruire una relazione di fiducia con le figure di riferimento educative. Dire al bambino frasi come “dimmi quando posso andare”, lo mette nella spiacevole condizione di dire al genitore di allontanarsi, cioè di assumersi la responsabilità di andare via. Per il bambino questo può essere avvertito come un carico gravoso, eccessivo, tale da richiedergli uno sforzo superiore del dovuto. La verità spesso è “siccome io genitore faccio fatica ad andare via perchè è la prima volta che ci separiamo e vorrei solo piangere, ti prego di gestire tu questa fase al posto mio”. Per gestire al meglio la situazione affidatevi alla professionalità delle maestre, che vi sosterranno per salutare il bambino nel momento e modo più idonei. Al di là dei tempi (che contano moltissimo sia chiaro), la cosa importante in questo esempio è inviare al bambino un messaggio di ruolo. Io sono l’adulto, mi prendo cura di te e salutandoti ti mostro che anche se ho paura mi assumo la mia responsabilità inviandoti un messaggio chiaro, la chiarezza sarà la tua ancora.

La lista degli esempi potrebbe continuare con altre situazioni e titoli (SUPERMERCATO, VESTITI, GIOCHI, FESTA DI COMPLEANNO, ecc..)

Il punto chiave è che, la libertà non è fare ciò che si desidera, non consiste nel disporre di ogni mezzo, strumento e risorsa in qualsiasi momento, non riguarda la semplice scelta di oggetti o situazioni, non è tenere in scacco gli altri con le proprie decisioni che rischiano di diventare dispotismo.

La libertà in ambito educativo, è soprattutto libertà di pensiero, libertà dai condizionamenti, libertà dalle aspettative. Libertà di essere se stessi andando contro qualsiasi previsione e sogno genitoriale, libertà di vedere infrangere le preghiere notturne dei familiari, perchè nessuno dovrebbe nascere per soddisfare qualcun altro. Nessuno ha diritto nè potere sulla vita di qualcun altro, neppure se questo è suo figlio. Libertà è dire grazie per la vita, ora me ne vado e non so se tornerò. Libertà è non sentirsi in colpa per le sofferenze dei genitori. Libertà è poter dire la verità senza paura di sentirsi giudicati. Libertà è spendere le proprie energie per realizzare il proprio talento, la propria spinta vitale.

E questa libertà non si ottiene trattando il bambino come un selvaggio, lasciando che rompa oggetti, che sporchi senza pulire, che vada in giro nudo in inverno, che si riempia di fango sporcando la macchina, che sputi sul muro e dipinga con la saliva, che usi il cellulare quanto vuole, che beva bibite a richiesta, che non vada a letto fino all’una di notte, che strappi i suoi libri. Questo può capitare, fa tutto parte del meraviglioso gioco dell’infanzia, il problema nasce quando qualcuno inconsciamente, o non, desidera proprio queste azioni, come prova della libertà del proprio figlio.
Amateli i figli, lasciateli sperimentare, lasciateli esprimere, ma ricordate l’importanza che i confini hanno durante la crescita. Non schiacciate quel cerchio che cresce attorno a loro e non fatelo diventare abnorme, altrimenti i bambini rischiano di smarrirsi.

E a te genitore chiedo, sei libero?


Ricorda, che non possiamo chiedere niente ai bambini che non siamo in grado di fare e che il miglior strumento educativo, è l’esempio.

Fonte: www.hundredsofbuddhas.com

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