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mercoledì 18 settembre 2019

Sei consigli per l'ascolto attivo

SEI CONSIGLI PER L'ASCOLTO ATTIVO

Spesso sentiamo dire che la chiave di una buona relazione è la comunicazione, ma non dimentichiamo che il segreto della comunicazione è l'ascolto.

Ecco 6 consigli per praticarlo e quindi capire meglio gli altri.

1. CREA IL CLIMA ADATTO

Le parole non sono l'unico elemento. Spesso non sono neanche il più importante. L'atmosfera, l'ambiente, i gesti, l'affettuosità, il silenzio, gli occhi, il viso non sono una semplice cornice. In un colloquio di lavoro, per esempio, l'aspetto esterno del candidato decide quasi sempre il risultato dell'incontro.

La maggior parte dei genitori crede di ascoltare i propri figli. Sembra un'attività semplice e scontata. Eppure quante volte mamma e papà ascoltano veramente e sinceramente, con piena attenzione ciò che i figli dicono o cercano di dire?

2. CONCENTRATI SULLE PAROLE DELL'ALTRO

Essere concentrati sulle parole dell'altro senza fare altro o pensare a un altro argomento è il modo migliore per ascoltare.

Uno dei segni della fretta che condiziona le persone del nostro tempo è l'incapacità crescente di comunicare con gli occhi. I contatti tra le persone si sono moltiplicati: internet, e-mail, telefonino... E ci stiamo dimenticando del contatto più semplice: il contatto visivo. Fondamentale è il modo di guardare, che deve comunicare: «Tu mi interessi davvero. Meriti tutta la mia attenzione».

3. SEI LÌ PER ASCOLTARE E NON PER RISPONDERE

Ascoltare attivamente significa anche imparare a tacere sul proprio discorso e concentrarsi sull'attenzione dell'altra persona e fare attenzione a non dare consigli o soluzioni quando lui o lei ha la parola.

Immagina un insegnante che deve rimotivare uno studente che ha abbandonato la lezione. Il consiglio di classe arriva e l'allievo in questione tenta di spiegare (con difficoltà) che cosa sta succedendo in lui. Ma gli insegnanti lo interrompono dandogli consigli a turno su che cosa avrebbe dovuto fare. In realtà lo studente vorrebbe semplicemente essere compreso in ciò che sta cercando di dire.

«Io parlo, parlo, ma nessuno mi ascolta» brontola Corinna (8 anni). E Giuditta (7 anni): «Allora, la sera, a letto, giro le spalle a tutti quanti, mi metto contro il muro e mi parlo, perché almeno io mi ascolto». Nella sala-colloqui di un istituto correzionale, un giovane disse amaramente al padre: «Papà, ti rendi conto che in vent'anni è la prima volta che mi stai ad ascoltare?».

4. ELIMINA I FILTRI PERCETTIVI

Significa mettere da parte emozioni e desideri personali. Il pericolo più grande è pensare di sapere già tutto. Per esempio: «È solo pigrizia... Ecco, sta mentendo... È pauroso...» Se siete arrabbiati, calmatevi. Se non vi stringe il cuore ciò che ascoltate, rimanete lucidi e mettete da parte delusione o preoccupazione.

5. RIFORMULA LE FRASI PIÙ IMPORTANTI DEL TUO INTERLOCUTORE

Resistete alla tentazione di essere rassicuranti, di ragionare, giustificare o fare prediche. Provate, invece, a immaginare le emozioni che il bambino sente in quel momento.

Non ripetete alla lettera le sue parole. Per esempio, se vostra figlia vi grida che siete la mamma più cattiva del mondo, non servirà a niente constatare: «Pensi che io sia la mamma più cattiva del mondo». Non lo crede veramente, lo dice per scatenare una reazione. Una risposta adatta potrebbe essere: «Forse ti sei arrabbiata perché non voglio farti mettere il vestito nuovo per andare a scuola». Non minimizzate. Non insistete. A volte, nonostante abbiate colto nel segno, il bambino non vuole ammettere una particolare emozione. Non vi intestardite. Non fa niente se è d'accordo con voi o no. Lo scopo dell'ascolto riflessivo non è strappare una confessione, ma aiutare l'altro a sentirsi ascoltato, compreso e accettato, a convivere con le emozioni e a esprimerle verbalmente, anziché con le azioni.

6. METTITI DALLA SUA PARTE E SE C'È UN PROBLEMA AFFRONTATELO INSIEME

È un passo prezioso. L'ascolto attivo consente di chiarire la situazione. L'interlocutore si sente capito e rassicurato. Di solito risponde positivamente alla domanda: «Che cosa pensi di fare?»

Fonte: www.biesseonline.org

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giovedì 13 giugno 2019

Quello che vi siete persi

QUELLO CHE VI SIETE PERSI
Buone vacanze

E' giunto il momento di sospendere l’attività del blog, che ripartirà a settembre a pieno regime. Per chi volesse recuperare i contenuti pubblicati in questa prima metà dell’anno basterà cercare nell'archivio blog o tra i post più popolari (li trovate sul lato destro della home).

Alcuni consigli:








Buona lettura e buone vacanze

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mercoledì 5 giugno 2019

Gestione della rabbia nei bambini

GESTIONE DELLA RABBIA NEI BAMBINI

Sembra tanto un argomento da adulti, ma la gestione della rabbia è molto comune e sentito dai genitori. Oggi viviamo più a contatto tra genitori e figli, viviamo in spazi chiusi e spesso ci restiamo. Vogliamo calma, perfezione, tutto e subito. Tutto questo – scoprirai – non agevola affatto l’educazione alla gestione della rabbia dei nostri figli.

Vediamo insieme qualche indicazione da tenere conto per aiutarli a imparare a gestire la rabbia da negazione, frustrazione, competizione.


1. Cerca uno sfogo quotidiano

Hai mai notato che i figli parlano più a bassa voce quando sono fuori che in casa? Hai mai notato come bambini piccoli e meno piccoli siamo più tranquilli all’aria aperta? Ai giardinetti pubblici, nei campi o al mare hanno la possibilità di sfogarsi, di correre, di respirare, di guardare grandi distanze. Dopo la scuola un’oretta al giorno: fallo. Andate a scuola a piedi, aiuta a gestire in generale l’equilibrio emotivo del proprio sistema nervoso. Trova occasioni quotidiane (tranne quando piove certo o c’è tanto vento) per sfruttare la nostra Terra, tra natura, prati, passeggiate, aria e la gestione della rabbia in certi episodi prima eclatanti, sarà più facile.


2. Sin da piccoli aiutali a gestire la rabbia da frustrazione

Quella frustrazione di non venire immediatamente in braccio se piange, ma dopo un minuto magari. La mamma è lì ma ora sta finendo di piegare i panni, il bimbo la vede e vuole andarle in braccio. La mamma amorevolmente fa sentire la sua presenza, che tutto va bene, pur non prendendolo subito in braccio. Questo semplice gesto pare innocuo ma poi avrà conseguenze extra positive sulla sua gestione della frustrazione, delusioni e rabbia. Vuole una cosa ma tu ora non puoi o non vuoi concedergliela. Se è “no”, resta “no”. Dapprima urlerà, si dimenerà e si agiterà per terra (classico dei terrible twos) ma poi capirà e finirà per dire «D’accordo». Ritornerà a chiedere? Ma certo, è umano, furbetto e simpatico. Continuerai a dire “no” o proporrai una alternativa per dopo o un’altra occasione. Userai un tono gentile e accogliente, nonostante dirai di “no”.


3. Se è il classico capriccio per terra?

Non cercare di fermarlo (come facevo io con la mia prima!), lascialo sfogare, restagli accanto. Quando avrà sfogato la forte emozione che ha nel corpo e che non riesce a contenere, ti chiederà un abbraccio, vorrà contenimento e accoglienza. Fagli sapere che tu sei lì, lo ami sempre, anche quando urla come un pazzo per un capriccio senza logica sul pavimento.


4. Respira e la gestione della rabbia sarà migliore

Qui mi rivolgo a te, solamente a te. Respira, guarda a lungo termine, considerala tenacia, intelligenza, furbizia o semplicemente stanchezza. Considera che sono esseri imperfetti, il loro cervelli è immaturo quando nascono. Idem per il loro sistema nervoso. Provano emozioni e non sanno gestirle, sta a noi insegnarglielo. Guarda lontano, alla loro maturazione e gestione emotiva e accogli il loro sentimento di rabbia.


5. Se sono violenti, che fare?

Ferma il gesto contro di te o contro fratelli. Il rispetto è importantissimo in casa e deve essere reciproco. Non alzare le mani su di lui e lui imparerà a non farlo con te. Un buffetto sul culetto per segnare una parola, con dolcezza o fermezza, non è mettere le mani addosso ai figli. Tutto il resto sì. Se mordono e hanno due anni è perché sono solo curiosi di sapere ciò che accadrà. Sanno che fanno male ma non ne sono convinti, e allora ci provano ancora per esserne sicuri. Sii fermo sia nelle parole che nel tono di voce: «No». Blocca il movimento, negalo, rimproveralo. Per quei 2 secondi e poi passa ad altro.


6. Ignora atti stupidi di violenza

C’è una tecnica che propongo ai genitori in Figli Felici che è quella dell’“Attending & Ignoring”: dai attenzione alla persona e ignora quel comportamentino stupidino e sciocchino che non vuoi sottolineare. Ignora che sbatta il piede per terra, che manifesti rabbia in modo esagerato. Dai importanza alla persona, cambia il focus, fai domande. E se insiste? Se insiste, DOPO, in tranquillità, potrai spiegargli che non si fa. Ancora meglio, potrai chiedergli «Cosa potresti fare per dire che non sei d’accordo in modo corretto?» Invitalo a trovare altre soluzioni, quando siete tranquilli e ne potete parlare serenamente.


Autrice: Debora Conti
Fonte: www.figlifelici.deboraconti.com

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mercoledì 29 maggio 2019

Insegniamo ai bambini l'ABC delle emozioni

INSEGNIAMO AI BAMBINI L'ABC DELLE EMOZIONI

Non è un concetto semplice, soprattutto quando si parla di bambini. Per molto tempo, per “saggezza popolare” consideravamo i bimbi come esserini informi quasi come se non potessero sentire o pensare prima di imparare a parlare (intorno più o meno ai due anni).
Ancora oggi se provate a chiedere a qualche neomamma del suo bambino, “Com’è Luca?”, “Che fa Francesca?”, gli aggettivi che vanno per la maggiore saranno: “Guarda è un/una mangione/a, un/una cacone/a e un/una dormiglione/a”.
Scherzi a parte l’idea che un bambino di sei mesi potesse sentire paura o rabbia, non meno che tristezza e dolore, fino a qualche tempo fa era considerata assurda. Grazie ad un boom di ricerche sulla prima infanzia negli ultimi 40 anni, ora sappiamo che in realtà neonati e bambini piccoli sono esserini profondamente sensibili.
A partire dai primi mesi di vita, ben prima che possano usare le parole per esprimersi, i bambini hanno la capacità di sperimentare picchi di gioia, eccitazione ed euforia. Possono anche provare paura, dolore, tristezza, disperazione e rabbia.

Riuscite ad immaginare? Alcuni no, anche perché a volte noi adulti troviamo difficilissimo credere, o accettare, che bambini molto piccoli possano sperimentare un varietà di emozioni così intensa e variegata.

Pensate alle vostre nonne e alle tecniche che utilizzavano per calmare il pianto. Non so a voi ma la mia, non immaginava per niente che potessi sperimentare tutte queste emozioni da piccolino e di conseguenza, per la veemenza utilizzata nella tecnica del saltello quando mi sentiva piangere, l’ho nominata successivamente la nonna Tagadà (per chi non conosce questo attrezzo, nei luna park è quella giostrina che ti sballottola a destra, sinistra, sopra e sotto facendoti perdere completamente l’orientamento).
Accanto alla ricerca che si è occupata di individuare il mondo emotivo dei bambini, una grossa fetta di studi ha dimostrato come i bambini imparino a gestire in modo efficace le loro emozioni (abilità nota col termine di auto-regolazione emotiva) e come sia possibile aiutarli a sviluppare questa abilità in modo appropriato.

Un primo passo per aiutare il bambino a comprendere e gestire i propri sentimenti è imparare, noi adulti per primi, a non aver paura delle emozioni.

 

Alfabetizzazione emotiva

Le emozioni non sono giuste o sbagliate, semplicemente sono emozioni.
La tristezza e la gioia, la rabbia e l’amore, possono coesistere e sono tutte parti della collezione di esperienze emotive dei bambini. Quando aiuti il tuo bambino a capire le sue emozioni, gli stai fornendo gli strumenti utili a gestirle in maniera efficace.
Uno dei principali ostacoli che mi capita di vedere spesso nel lavoro con i genitori, è il comportarsi ipotizzando che per avere un bambino felice sia necessario che lui sia felice sempre, per tutto il tempo. Farsi i muscoli attraverso le esperienze difficili, affrontare i problemi, affrontare la tristezza e il dolore permette al bambino di aumentare forza e resilienza, caratteristiche necessarie che portano i bambini a percepire un senso di benessere e di felicità.
Ovviamente il processo di alfabetizzazione emotiva è molto complesso e coinvolge, nel tempo diversi attori (quali la famiglia, la scuola, il gruppo dei pari ecc).

 

Ma cosa possono fare i genitori?

 

A partire dai primi mesi, entrare in sintonia con i segnali dei bambini, i loro suoni, le loro espressioni facciali e i gesti.
Rispondendo con sensibilità, permettiamo ai bambini di sapere che i loro sentimenti sono riconosciuti e che sono importanti per noi.
Questo potrebbe significare ad esempio: fermare il gioco del solletico con un bambino di quattro mesi quando lui inarca la schiena e guarda lontano, segnalando che ha bisogno di una pausa; portare un piccolino di nove mesi alla finestra per dire ciao alla mamma quando è triste nel vederla andare via a lavoro.

Nominare e aiutare i bambini a fronteggiare le loro emozioni e sentimenti

In psicologia per sentimenti intendiamo uno stato d’animo, ovvero una condizione cognitivo-affettiva che dura più a lungo delle emozioni.
Le emozioni come la rabbia, la tristezza, la frustrazione e la delusione possono essere travolgenti per i bambini.
Imparare a nominare questi sentimenti è il primo passo per aiutare i bambini ad imparare a identificarli e nello stesso tempo gli insegna che questi sentimenti sono normali.
Alcuni esempi: riconoscere la rabbia di una bimba di 18 mesi dovuta al dover lasciare il parco giochi; riconoscere la frustrazione di un bimbo di due anni di fronte alla sua torre, formata da costruzioni, che cade continuamente più volte; empatizzare con la tristezza di una bambina di tre anni che vede i suoi nonni andar via dopo una lunga visita.

Non temere le emozioni

Le emozioni non sono il problema. E ‘quello che facciamo, o non facciamo con loro che può essere problematico. Ascoltate con apertura e calma il vostro bambino quando condivide con voi sensazioni complicate.
Quando chiedete al bimbo informazioni circa i suoi sentimenti e il riconoscerli, state inviando il messaggio le emozioni sono importanti ed hanno valore per voi. Riconoscere e nominare sentimenti è il primo passo per imparare a gestirle in maniera salutare e accettabile nel tempo.

Evitare di minimizzare o di allontanare i bambini dai loro sentimenti

Questa è una reazione naturale, noi vogliamo solo che i cattivi sentimenti vadano via (ricordate la nonna tagada). “Non essere triste Vincenzo (nel frattempo mi sballottolava mentre piangevo). Uh guarda lì (indicando un oggetto di cui non mi importava minimamente)?”. Le emozioni, le sensazioni che portano non vanno via; devono essere espresse in un modo o nell’altro.
Riconoscere le emozioni forti in un bambino crea un ponte che lo aiuterà a imparare come reagire ad esse (e regolarle). “Oh sei triste perché Mario deve andare via. Tu adori giocare con lui. Dai andiamo alla finestra per salutarlo e facciamo un piano per rivederlo presto.”

Quando i sentimenti sono ridotti al minimo o ignorati spesso si esprimono attraverso le parole e/o le azioni aggressive o, svoltando verso l’interno, alla fine possono rendere i bambini ansiosi o depressi .

Insegnare strumenti di coping

Se una bimba di 18 mesi è arrabbiata perché la ricreazione è finita, insegnale a battere i piedi più forte che può o a disegnare la rabbia con un pennarello rosso.
Per aiutare un bambino di due anni che si sente frustrato perché non riesce a prendere una palla da un cesto, pensate insieme ad altri modi per risolvere il problema.
Prendete un bimbo di tre anni che ha paura di iniziare la nuova scuola e accompagnatelo a visitare la sua classe e a conoscere gli insegnanti in anticipo, fatelo giocare nella stanza dei giochi in modo fa trasformare ciò che non è familiare in qualcosa di familiare.

Consigli pratici per i genitori

Le reazioni emotive dei nostri figli innescano le “nostre” reazioni emotive e questo può portarci ad agire in maniera istintiva sentendo la necessità di “salvare” o “correggere” ciò che sta causando disagio nel nostro bimbo.
Il primo consiglio è quello di imparare a gestire le nostre emozioni per evitare di reagire in maniera istintiva perdendo così l’occasione di aiutare i nostri bambini.
Il secondo è di vivere queste esperienze come momenti di insegnamento utili al bambino per imparare a nominare e gestire le emozioni, positive e negative, che aggiungono profondità e colori alla nostra vita.
Mostra a tuo figlio che avere una vita ricca e piena significa sperimentare sia gli alti che i bassi. I sentimenti non sono “buoni” o “cattivi”, semplicemente sono.

Sei la guida del tuo bambino. Insegnagli a condividere le gioie e a fronteggiare le sfide.
Ah, dimenticavo. Si comincia dal giorno 1. 

Autore:  Vincenzo Capuano
Fonte: psicoadvisor.com

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mercoledì 22 maggio 2019

Lettera di un adolescente al genitore

LETTERA DI UN ADOLESCENTE AL GENITORE
Perché la vita con gli adolescenti sembra sempre un estenuante tiro alla fune? Possibile che i genitori siano sempre sbagliati ai loro occhi? Questa lettera è stata scritta da Gretchen L Schmelzer, una psicologa e scrittrice statunitense, e dovrebbe essere inserita tra le letture obbligatorie del manuale del genitore dell’adolescente.

Caro Genitore,
Questa è la lettera che vorrei poterti scrivere.
Questo conflitto in cui siamo, ora. Ne ho bisogno. Ho bisogno di questa lotta. Non te lo posso dire perché non ho il lessico per farlo e comunque non avrebbe senso quello che direi. Ma ho bisogno di questa lotta. Disperatamente. Ho bisogno di odiarti ora, e ho bisogno che tu sopravviva a questo odio. Ho bisogno che tu sopravviva al mio odiare te, e al tuo odiare me. Ho bisogno di questo conflitto anche se pure io lo detesto. Non importa neanche su cosa stiamo litigando: l’ora di rientro a casa, i compiti, i panni sporchi, la mia stanza incasinata, uscire, restare a casa, andare via di casa, vivere in famiglia, ragazzo, ragazza, non avere amici, avere cattivi amici. Non importa. Ho bisogno di lottare con te su queste cose e ho bisogno che tu lo faccia con me.
Ho disperatamente bisogno che tu mantenga l’altro capo della corda. Che ti ci aggrappi forte mentre io strattono il capo dalla mia parte, mentre cerco di trovare appigli per vivere questo mondo nuovo cui sento di affacciarmi. Prima sapevo chi fossi io, chi fossi tu, chi fossimo noi. Ma ora, non lo so più. In questo momento sto cercando i miei confini, e a volte riesco a trovarli solo quando tiro questa fune. Quando spingo tutto quello che conoscevo al suo limite. Allora io mi sento di esistere, e per un minuto riesco a respirare. E lo so che ti manca tantissimo il bambino dolce che ero. Lo so, perché manca anche a me quel bambino, e a volte questa nostalgia è quello che rende tutto doloroso per me al momento.
Ho bisogno di questa lotta e ho bisogno di vedere che, non importa quanto tremendi o esagerati i miei sentimenti siano, non distruggeranno me, né te. Ho bisogno che tu mi ami anche quando sono pessimo, anche quando sembra che io non ti ami. Ho bisogno che tu ami te stesso, e me, che tu ci ami entrambi e per conto di tutti e due. Lo so che fa male essere antipatici, avere etichette di quello marcio. Anche io provo la stessa cosa dentro, ma ho bisogno che tu lo tolleri, e che ti faccia aiutare da altri adulti per farlo. Perché io non posso in questo momento. Se vuoi stare insieme ai tuoi amici adulti e fare un “gruppo-di-mutuo-supporto-per-sopravvivere-al-tuo-adolescente”, fa’ pure. O parlare di me alle mie spalle, non ho problemi. Basta che non rinunci a me, che non rinunci a questo conflitto. Ne ho bisogno.
Questo è il conflitto che mi insegnerà che la mia ombra non è più grande della mia luce. Questo è il conflitto che mi insegnerà che i sentimenti negativi non significano la fine di una relazione. Questo è il conflitto che mi insegnerà come ascoltare me stesso, anche quando sono una delusione per gli altri.
E questo conflitto particolare, finirà. Come ogni tempesta, sarà spazzata via. E io dimenticherò, e tu dimenticherai. E poi tornerà da capo. E io avrò bisogno che tu regga la corda di nuovo. Di nuovo e di nuovo, per anni.
Lo so che non c’è nulla di intrinsecamente soddisfacente in questa situazione per te. Lo so che probabilmente non ti ringrazierò mai per questo, o neanche te ne darò credito. Anzi probabilmente ti criticherò per tutto questo duro lavoro. Sembrerà che niente che tu faccia sia mai abbastanza. Eppure, io faccio affidamento interamente sulla tua capacità di restare in questo conflitto. Non importa quanto io polemizzi, non importa quanto io mi lamenti. Non importa quanto mi chiuda in silenzio.
Per favore, resta dall’altro capo della fune. E lo so che stai facendo il lavoro più importante che qualcuno possa mai fare per me in questo momento.
Con amore, il tuo teenager.
Fonte: genitori crescono.com
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mercoledì 15 maggio 2019

Adolescenti che mancano di rispetto perché non verranno puniti

ADOLESCENTI CHE MANCANO DI RISPETTO PERCHÉ' NON VERRANNO PUNITI

Imparare a rispettare gli altri è un fattore indispensabile per la costruzione di qualunque relazione: in famiglia, a scuola, nei contesti sportivi, tra coetanei. Rispettare significa riconoscere e accettare le differenze individuali: capire che l’altro possa avere un suo pensiero, una sua opinione, un punto di vista diverso ma non per questo meno importante o sbagliato.

Tante volte, quando lavoriamo nelle classi con i ragazzi, emerge la convinzione che il rispetto sia qualcosa da mostrare soltanto nei confronti di un adulto, soprattutto quando si ha paura di una possibile punizione o sanzione, senza comprenderne però il reale significato. Ci rendiamo conto, inoltre, di come alla base di molte difficoltà che sperimentano quotidianamente nella relazione tra di loro, ci sia spesso una profonda fatica a riconoscere il valore dell’altro, confrontarsi, ascoltarsi reciprocamente, esprimere la propria idea senza sopraffare e, quindi, rispettare il compagno.


“Il rispetto è quella cosa che si porta verso gli adulti”, “Con alcuni prof. ci comportiamo bene perché altrimenti ci mettono subito le note o ci mandano dal Preside”, “Porto rispetto a chi mi sta simpatico o è mio amico, degli altri non mi importa molto”


Perché minacce o punizioni alla lunga non funzionano?


Una punizione, una minaccia, la paura di una nota o di un giudizio negativo sembrano funzionare quando dobbiamo risolvere una situazione nell’immediato ma nel tempo rischiano di provocare l’effetto contrario.


Spesso, infatti, dopo che l’adulto si è allontanato, i ragazzi mettono nuovamente in atto il comportamento per cui erano stati ripresi, perché non hanno compreso le motivazioni reali che si nascondono dietro il rimprovero. Imparano che il rispetto di una regola o degli altri serve solo per evitare conseguenze negative per se stessi, ma faranno fatica a portarlo nelle relazioni tra coetanei o, più in generale, con gli altri, in quanto se non ottengono un beneficio immediato non ne vedranno l’utilità.


Non è una lotta di potere, né un braccio di ferro per dimostrare chi è più forte. Il dialogo è fondamentale, bisogna sempre spiegare in modo autorevole e chiaro le motivazioni di un no, di una richiesta o di una regola, ascoltando però anche il punto di vista dei ragazzi.


Questo non significa che non serva una reazione ferma e decisa in alcune situazioni o che, soprattutto nel contesto scolastico, non debbano essere utilizzate delle sanzioni quando necessario, ma si dovrebbe sempre cercare di mantenere aperto il dialogo, mostrando fiducia e ascolto autentico delle motivazioni e difficoltà dei ragazzi.


L’importanza del rispetto nelle relazioni: che ruolo hanno gli adulti?


Spesso anche gli adulti confondono il rispetto con l’obbedienza e tendono a credere che avere bambini o ragazzi che seguono alla lettera le regole, significhi automaticamente essere rispettati. Altre volte si tende a trasmettere, anche inconsapevolmente, l’idea che un genitore o un docente debbano essere rispettati solo perché adulti, più grandi, e non in quanto persone con una propria dignità e un proprio valore.


Non è un caso, infatti, che i ragazzi facciano poi molta fatica a rispettarsi tra loro, a rispettare coloro che non conoscono, che hanno idee differenti dalle proprie, che percepiscono come “diverso” dal gruppo.


È importante che gli adulti di riferimento, genitori o insegnanti, si mostrino attenti ed empatici nei loro confronti, capaci di cogliere le loro emozioni, accettando e rispettando le loro idee e opinioni, anche quando sono diverse da quelle dell’adulto.


Dare a bambini e ragazzi la possibilità di esprimersi ed essere se stessi, senza paura del giudizio, li renderà adulti capaci di ricevere e dare rispetto.


Fonte: www.adolescienza.it

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mercoledì 8 maggio 2019

Competizione e frenesia rovinano i bambini

COMPETIZIONE E FRENESIA ROVINANO I BAMBINI

L’uomo oggi si trova immerso in una società caratterizzata dalla competizione, dalla frenesia, dall’effimero e dalla pretesa di ottenere “tutto e subito”, che spinge a desiderare sempre di più, senza dare il giusto valore a ciò che si ha e ciò che si è, per appagare la sete di onnipotenza, di potere, di possesso e di prevaricazione sugli altri. Quando ciò non avviene per le varie traversie della vita, insorge una profonda insoddisfazione, insofferenza, frustrazione che impedisce di vivere la vita a pieno godendo di ogni singolo istante. Tutto ciò è stato accentuato anche dallo smisurato e forse inappropriato uso della rete internet che ormai pervade ogni aspetto della vita umana, divenendo talvolta una sorta di vetrina nella quale l’apparire prevale sull’essere.

Se pensiamo che sin dalla nascita i bambini vengono  abituati ad essere riempiti di oggetti, assecondati ad ogni singolo capriccio, ad avere sempre i giochi più alla moda che alla fine finiscono dimenticati in un angolo fra migliaia di balocchi, a non accettare i dinieghi e a chiedere senza limiti, ci rendiamo conto che le emergenze educative del nuovo millennio, spesso si generano proprio da questo benessere senza limiti.

Per questo è importante educare sin dalla tenera età alla perseveranza, alla caparbietà, a non abbattersi di fronte alle sconfitte, a saper fronteggiare le situazioni di stress, ad essere paziente, ad essere aperto a diverse prospettive con intelligenza empatica e ad essere consapevole del proprio valore.

Richard Romagnoli cita nei suoi work shop on line una massima di Confucio: “Non importa quanto piano vai, l’importante è che non ti fermi mai” proprio per evidenziare come anche se piccoli e progressivi,  i passi che si compiono valgono tanto,  per vivere al meglio in una società che fa della competizione e del predominio il suo cavallo di battaglia. Le difficoltà della vita,  i  momenti bui, gli errori possono essere una occasione di crescita costante e non vanno vissuti con angoscia, senso di colpa,  ma con autoriflessione, con spirito di iniziativa, senso pratico e coraggio per rimettersi in gioco nonostante dubbi e incertezze.

In questa ottica un utile strumento educativo ci viene fornito dell’autore del libro più amato da molte generazioni di bambini e non solo, Il Piccolo Principe, ovvero Antoine de Saint-Exupéry, che  in un momento difficile della sua vita scrisse una poesia/preghiera che insegna il valore dei piccoli passi, di vivere la vita giorno dopo giorno per superare i dolori del passato, vivere a pieno il presente e essere sereni per fare le scelte giuste per costruire il futuro.

Non ti chiedo né miracoli né visioni

ma solo la forza necessaria per questo giorno!

Rendimi attento e inventivo per scegliere

al momento giusto

le conoscenze ed esperienze

che mi toccano particolarmente.

Rendi più consapevoli le mie scelte

nell’uso del mio tempo.

Donami di capire ciò che è essenziale

e ciò che è soltanto secondario.

Io ti chiedo la forza, l’autocontrollo e la misura:

che non mi lasci, semplicemente,

portare dalla vita

ma organizzi con sapienza

lo svolgimento della giornata.

Aiutami a far fronte,

il meglio possibile,

all’immediato

e a riconoscere l’ora presente

come la più importante.

Dammi di riconoscere

con lucidità

che le difficoltà e i fallimenti

che accompagnano la vita

sono occasione di crescita e maturazione.

Fa’ di me un uomo capace di raggiungere

coloro che hanno perso la speranza.

E dammi non quello che io desidero

ma solo ciò di cui ho davvero bisogno.

Signore, insegnami l’arte dei piccoli passi.

In queste meravigliosi versi si sottolinea l’importanza di riconoscere il momento presente come l’unico che abbiamo realmente a disposizione per vivere  le nostre giornate a pieno, istante per istante dato che nessuno può sapere cosa riserva il futuro. È necessaria una maggiore consapevolezza del tempo che ogni uomo ha a disposizione per gestire al meglio le proprie giornate, per viverle al meglio ed avere delle priorità, degli obiettivi, e, perché no, anche del tempo cosiddetto “vuoto”, visto che i bambini oggi sono oberati da molteplici attività extrascolastiche con ritmi dettati da adulti e spesso perdono proprio il loro essere infante.

Nella poesia lo scrittore francese con la  suggestiva espressione l’arte dei piccoli passi chiede di poter ricevere non tanto ciò che desidera ma ciò di cui ha davvero bisogno e tale  riflessione ci ricorda che a volte ciò che desideriamo non è davvero il meglio per noi e per la nostra vita. Spesso i  desideri oltrepassano le reali necessità volendo sempre di più, mentre ciò che abbiamo davvero bisogno, che sia positivo o negativo, può invece condurci alla crescita personale ed umana. Non occorre fare salti eclatanti  spesso nel vuoto, ma bisogna predisporsi di fare progressivamente un passo dopo l’altro verso la meta, che è molto più efficace di una corsa sfrenata e sfiancante che lascia alla fine ai bordi della strada in modo tale da ritrovare la nostra stessa identità e umanità.

Autrice: Ragone Antonia

Fonte: www.liberiamo.it

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