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mercoledì 15 ottobre 2025

Vita da educatrice

Rubrica: Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati

VITA DA EDUCATRICE

La vita da educatrice è fatta di momenti: gravi, pensanti... profondi. Le parole di una lettera però accarezzano la casa e speriamo raggiungano chi crede in questo lavoro perché questo è esattamente il senso più nobile e profondo delle diciture  "comunità" e " casa famiglia".

<<Anche io la penso così, nessuno si merita di stare in una casafamiglia, tutte noi ragazze con delle storie dietro meritiamo la libertà ma soprattutto la felicità.>>

La mia giornata è un insieme di momenti.

La mattina è iniziata con una ragazza seduta su un divano con le braccia conserte e lo sguardo fisso nel vuoto. Durante un incontro l'adulto più sbagliato che potesse capitarle racconta di quanto e come sia una figlia sbagliata. <<Non ha rispetto, non abbraccia, non dice "Grazie">>.

L'adulto parla, parla e parla di "Questa". Lei prende il telefono messaggia, gira vorticosamente il dito fra i capelli, accarezza i capelli della sorella, resiste a quella raffica di parole, a quella raffica di "Questa", a quella raffica di cose che lei "suo malgrado" non è o non fa.

L'adulto non sa che la ragazza, che un tempo avrebbe dato di matto a questa valanga di parole si sta calmando da sola, sta incassando con grande competenza tutti quei colpi. L'adulto non nota la sua capacità di autoregolarsi, l'adulto non nota minimamente lo sguardo che si colpevolizza, che si accende, che si scarica di tutta la tensione di ricordi lontani... Non comprende lo sforzo figuriamoci il valore di quanto stia accadendo.

L'adulto non nota quanto sia cambiata, non nota quanto quella ragazza sia diventata matura nel tempo perché le cose serie e importanti sono altre (a suo dire). Il guaio è questo...spesso gli adulti non notano e cosa peggiore, anche quando glielo si fa notare continuano ancora più fissati nella loro lamentazione.

A sera l'acqua bolle, le pasta naviga nella pentola e la ciotola l'attende con tutto il suo condimento, pronto per la giornata in piscina del domani. Lei entra in cucina, osserva il tutto. Mi accarezza i capelli e dice:" Grazie". Grazie per cosa? Le dico io.

<<Grazie per esserti ricordata che mi piace... grazie per aver pensato a me.>>

La ragazza dei "NON" di stamattina non la vedo. La osservo andare via dalla cucina, un po' ricurva. Quanto peso porta su quelle spalle. Vorrei che il mondo vedesse, per una volta,  come sono davvero le persone dei "Non". Quelle che non dicono, non mostrano... Quelle irrecuperabili. Quanto vale quel "Grazie"? E quanto cambiamento sottende quella parola?

La meraviglia delle cose sta nel capire che il mondo cambia a partire dalle piccole cose...

Perché noi grandi questo non riusciamo sempre a capirlo?!

Mentre la casa spegne le sue luci, osservo i pensierini sul tavolo degli educatori. C'è una manina disegnata su un tovagliolo, il braccialino che mi è stato consegnato e una lettera.

La più piccina della casa stasera dopo essere tornata da una nuova avventura della sua vita mi dice: << Ho paura di spezzarti il cuore>>

E io colpita le chiedo il perché.

<<Ho paura di spezzarti il cuore perché mi sa che voglio bene anche ad altre persone.>> Io la osservo e penso che la bimba, lo scricciolo mi sta crescendo davanti agli occhi.

<< Non puoi spezzarlo, perché è talmente pieno di bene per te che non si può spezzare anzi... Se vuoi bene anche ad altre persone è ancora più pieno d'amore, perché vuol dire che tu sei amata e cosa più bella che ami anche tu. L'amore anzi la vita è così è fatta di tante cose, di tante persone, ecco perché è così bella perché è colorata di sentimenti.>>

Lei intercetta il mio sguardo e grida:

<< Oh meno male!!! Allora è bellissimo voler bene! Mi piace la vita così!>>.

Improvvisa una buffa danza; saltella sul posto mentre muove le mani nell'aria e ride... Ride come se non ci fosse un domani, ride spensierata.

L'ennesimo ricordo si fa posto nel mio archivio dei ricordi. Lo sento farsi posto fra tutti i fotogrammi della mia memoria, lo sento trovare il suo posto perché un senso di calore mi avvampa.

Una lettera segna l'ultimo tempo della giornata... Quella frase. Quanto maledettamente è vera quella frase << nessuno si merita di stare in una casafamiglia, tutte noi ragazze con delle storie dietro meritiamo la libertà ma soprattutto la felicità.>>

Quella lettera, quelle parole stasera non sono dedicate solo a me, sono dedicate alla vita che è stata così maledettamente ingiusta con loro che nonostante tutto hanno ancora il coraggio di dire "Grazie", di parlare d'amore, di fare sentire un educatore indegno a casa. Hanno il coraggio di essere grate per una carezza, o un risveglio. Hanno il timore di ferirti con i loro sentimenti... Loro, loro hanno paura di ferire me...

Quelle parole sul bisogno di felicità sembrano pesare come macigni su questo tavolo.

Eppure dormono leggere, e forse sognano.

La mia vita da educatrice è fatta di momenti: Gravi, pensanti... Profondi.

L'ultimo momento della mia giornata lo ritrovo nella parte finale della lettera, la parte scritta da chi è cresciuta con gli orrori di mani terribili, di parole spregevoli.

<<Mi avete fatto capire che nella vita non ci sono solo momenti brutti, ma anche momenti belli ed è per questo che ho bisogno di voi. Vi vogliamo bene >>

Le parole della lettera accarezzano la casa e spero raggiungano anche i miei colleghi di qualsivoglia comunità, raggiungano chi crede in questo lavoro perché questo è esattamente il senso più nobile e profondo delle diciture  "comunità" e " casa famiglia".

Stasera questa casa respira piano, o forse si nutre di ogni singola boccata d'aria.

I momenti della casa famiglia: una lettera, un tovagliolo, un "Grazie". Il respiro della casa è lento e sembra quasi volerle accarezzare nel sonno e spero tanto che lo faccia davvero perché ne hanno un bisogno immenso, perché lo meritano...lo meritano immensamente. 

Dott.ssa Pittari Chiara

(Pedagogista, Educatrice presso la Casa Famiglia Murialdo)

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‘Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati’

 

Cos’è la rubrica: Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati

Da un po’ di tempo la mente di noi educatori è talmente colma di pensieri e riflessioni che spesso straripa . Lo scrivere è diventato per noi salvataggio indelebile, la messa al sicuro dei momenti della vita che trascorriamo con in nostri ragazzi.

Noi educatori spesso la notte scriviamo pagine di una vita vissuta fra le mura condivise con degli sconosciuti che a tratti riescono a sentirsi parte di una casa, parte di una famiglia

mercoledì 24 settembre 2025

L'educazione emotiva come pilastro del futuro

 La Rivoluzione Silenziosa: L'Educazione Emotiva come Pilastro del Futuro

Nell'era della tecnologia e dell'intelligenza artificiale, stiamo assistendo a una crescente enfasi sullo sviluppo delle competenze logico-matematiche e digitali. Ma c'è un'abilità che, più di ogni altra, determinerà il successo e il benessere delle future generazioni: la capacità di comprendere e gestire le proprie emozioni. L'educazione emotiva, un tempo considerata un'aggiunta "morbida" al curriculum, sta emergendo come una necessità fondamentale.

L'educazione emotiva, o intelligenza emotiva, non significa semplicemente sapere come ci si sente. Si tratta di un insieme di competenze complesse che includono la consapevolezza di sé, l'autocontrollo, la motivazione, l'empatia e le abilità sociali. In altre parole, è la capacità di navigare nel mondo interiore delle emozioni e di relazionarsi in modo sano ed efficace con gli altri.

Ma perché è così importante?

1. Benessere Psicologico: I bambini che imparano a riconoscere e a esprimere le proprie emozioni in modo costruttivo sono meno propensi a sviluppare problemi di ansia, depressione e stress. Imparano a non reprimere i loro sentimenti, ma a elaborarli in modo sano.

2. Relazioni Positive: L'empatia, una componente chiave dell'educazione emotiva, permette ai bambini di mettersi nei panni degli altri. Questo li rende più compassionevoli e capaci di costruire relazioni significative e durature, sia a scuola che nella vita.

3. Successo Accademico e Professionale: Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, l'intelligenza emotiva è strettamente correlata al successo accademico e professionale. Gli studenti che sanno gestire le proprie emozioni sono più resilienti di fronte alle sfide, più motivati e capaci di lavorare in squadra.

Come possiamo integrare l'educazione emotiva nella vita di tutti i giorni? Insegnanti e genitori possono fare molto. Non si tratta di aggiungere una materia al programma, ma di incorporare l'apprendimento emotivo in ogni interazione. Si possono usare libri per parlare di sentimenti, incoraggiare la condivisione delle esperienze e dare un nome alle emozioni, normalizzandole. Un semplice "Mi sembra che tu sia arrabbiato, vuoi parlarne?" può fare una differenza enorme.

La vera rivoluzione nell'educazione non sarà tecnologica, ma umana. Investire nell'educazione emotiva significa investire in un futuro in cui i nostri figli non saranno solo bravi a risolvere problemi, ma saranno anche capaci di costruire un mondo più empatico e compassionevole. È un viaggio che inizia da dentro, e che ha il potere di cambiare il mondo, un'emozione alla volta. 

Dott. Di Sabato Stefano

(Educatore presso il Centro Educativo Diurno Murialdo)

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mercoledì 17 settembre 2025

Il valore dell'errore

 Oltre i Voti: Il Valore dell'Errore nell'Apprendimento 

Viviamo in una società ossessionata dalla perfezione. Fin da piccoli, siamo abituati a misurare il nostro successo attraverso i voti scolastici, i punteggi dei test e i traguardi raggiunti. Ma in questa corsa verso la perfezione, spesso dimentichiamo una delle lezioni più importanti che la vita ci offre: il ‘valore dell'errore’.

L'errore non è un fallimento. Al contrario, è una parte fondamentale del processo di apprendimento. Ogni volta che sbagliamo, abbiamo l'opportunità di riflettere, di capire cosa non ha funzionato e di trovare un modo diverso per affrontare la situazione. Pensate a un bambino che impara a camminare: cade decine di volte, ma ogni caduta gli insegna qualcosa sull'equilibrio, sulla forza e sulla coordinazione. Non si arrende, ma si rialza, più determinato di prima.

Eppure, nel sistema educativo tradizionale, l'errore è spesso visto come qualcosa da evitare a tutti i costi. La paura di sbagliare può paralizzare i bambini, spingendoli a non osare, a non sperimentare e a non porsi domande per paura di dare la risposta sbagliata. Questo approccio limita la loro creatività e la loro capacità di pensare in modo critico.

Come possiamo, quindi, cambiare questa mentalità?

1. Ristrutturare la nostra visione dell'errore: Genitori e insegnanti devono mostrare che sbagliare è normale. Possiamo raccontare le nostre esperienze e gli errori che abbiamo commesso, sottolineando come ci abbiano aiutato a crescere. In questo modo, i bambini capiscono che non c'è nulla di cui vergognarsi.

2. Incoraggiare la riflessione, non la punizione: Quando un bambino sbaglia, invece di criticarlo, chiediamogli: "Cosa pensi sia successo? Come potresti fare la prossima volta?". Questo approccio trasforma l'errore in un'opportunità di analisi e crescita.

3. Valorizzare l'impegno, non solo il risultato: Concentriamoci sullo sforzo che i bambini mettono in un compito, non solo sul voto finale. Lodare la perseveranza, la curiosità e l'impegno li aiuta a sviluppare una mentalità di crescita, che li renderà più resilienti di fronte alle difficoltà.

Smettere di avere paura di sbagliare è il primo passo per sbloccare il nostro vero potenziale. L'errore non è la fine, ma un nuovo inizio. È la strada che ci porta alla conoscenza, alla saggezza e, in definitiva, a una comprensione più profonda di noi stessi e del mondo che ci circonda. 

Dott. Di Sabato Stefano

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mercoledì 25 giugno 2025

Questa casa è parte di me

Rubrica: Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati

QUESTA CASA E’ PARTE DI ME

Vorrei riuscire a spiegare cosa significhi lavorare in un contesto come il nostro. 

Spesso scrivo dei post perché vorrei si capisse cosa vi è effettivamente dietro i termini: "Educatore" , "Comunità", ‘’Casa Famiglia’’, non in quanto dotta ma in quanto spettatrice di giornate che mi insegnano a riflettere e a...mutare forma.

Scrivo perché così posso trasformare i miei ricordi in racconti sulle storie di una casa speciale; di una famiglia speciale.

Scrivo perché un domani voglio rileggere le mie giornate e ricordare.

Scrivo perché, rileggendomi, in un tempo lontano, il naso mi si riempirà del profumo dei biscotti che inondò la casa per giorni e giorni; scrivo perché un domani potrei avere il bisogno di sentir riecheggiare nella mia mente le risate della mia collega mentre intrecciava sapiente e dolcemente le sue brioches e mentre raccontava dei giorni passati. Scrivo perché così potrò ricordare il rumore dei pennarelli che coloravano e adornavano i bigliettini sovrastato dal chiacchiericcio di cinque pasticcioni che prendevano in giro le loro educatrici imitandole, facendo ridere tutti in cucina.

..Scrivo nella speranza di ricordare il calore di una casa viva giorno e notte perché così al mattino svegliarsi è più bello se la tavola è piena di cose buone da mangiare.

Scrivo perché così ricordo il movimento delle manine lente sulla frolla, o del cucchiaino colmo di composta di mele che non appena sfiorò la bocca della più piccina fra tutte le smosse le labbra facendola sorridere. Certe volte scrivo perché così ricorderò un domani, l'ufficio acceso fino a sera tardi per pensare e progettare nuove attività e nuove idee.

Scrivo perché così ricordo il sole della domenica mattina, ricordo gli scalini della chiesa smossi dai passetti di ragazzi che spostano tavoli e dolci mentre corrono e si rincorrono giocando.

Spesso scrivo perché non voglio MAI dimenticare il perché rispetto così tanto questo lavoro.

Spesso scrivo perché alle volte i pensieri sono pesanti, alle volte le vite di questi ragazzi che incrociano la mia e le nostre lasciano profondi segni sulla loro e sulla nostra pelle e ho bisogno di ricordare giorni piacevoli.

Scrivo perché le luci, i suoni, i profumi di questa casa nel tempo stanno scuotendo le fondamenta stesse del mio essere.

Scrivo perché al cospetto dei ragazzi che di giorno in giorno rendono migliori i loro educatori, bisogna imparare a rileggersi per capire quanto questo mestiere renda consapevoli dell'importanza del punto di vista di un bambino e di un ragazzo.

Scrivo perché così vedo "Chiaranetta" (questo è il nome che le bambine mi hanno donato in questi anni) prendere forma ed essere grata al cospetto di tanta dolce... Bellezza.

Scrivo perché questa "Casanetta" è diventata parte di me così come questi ragazzi e questi pochi educatori che credono ancora nel potere di una comunità che si prende cura dell'oggi e del domani, a partire dai propri bambini e ragazzi.

Dice Marco: "Dalla parte dei bambini."

Aggiungo io: "Perché rendono migliori gli adulti."

 

Dott.ssa Pittari Chiara

(Pedagogista, Educatrice presso la Casa Famiglia Murialdo)

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venerdì 20 giugno 2025

La mancanza di cultura segna i ragazzi

Rubrica: Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati

LA MANCANZA DI CULTURA SPESSO SEGNA  I RAGAZZI 

Situazioni di profondo disagio spesso derivano da mancanze culturali, da genitori poco o affatto istruiti che non riconoscono il valore della scuola. Un ragazzo educato al pensiero non si omologherà alla massa che gli dirà di obbedire alle regole della strada, del dittatore di turno, della violenza di gruppo.

"La mancanza di cultura genera miseria".

Stasera rifletto su una delle principali motivazioni che spingono l'inserimento di un minore in una comunità educativa.

<<Il ragazzo o la ragazza dice parolacce, parla solo in dialetto, è oppositivo, fuma e fa uso di sostanze, ha atteggiamenti promiscui, vive in condizioni igieniche non adatte, abbandona la scuola, vive per strada. Nell'ipotesi più orribile il minore ha subito un abuso. Il minore è vittima di triangolazione genitoriale>>.

Molti dei nostri ragazzi derivano da situazioni di profonde mancanze culturali. Finanche i problemi economici hanno spesso una matrice sociale e culturale.

Genitori poco o affatto istruiti che non riconoscono il valore della scuola come istituzione che educa al "pensiero" poiché incapaci essi stessi di pensare. Genitori, deliranti di onnipotenza, poco o affatto in grado di gestire un conflitto sono in grado di smuovere universi pur di non ammettere un fallimento, piuttosto di ammettere "l'umiliazione" di una scusa, piuttosto che imparare a "litigare".

Genitori non educati all'igiene, al rispetto, alla "cura".

Molti dei nostri ragazzi sono cresciuti essendo figli di tutto questo.

Ricordo il manuale di Pedagogia Generale; recitava: "la famiglia è la prima e la più importante agenzia educativa".

La prima e la più importante agenzia educativa e spesso fa acqua da tutte le parti. Come può educare?

Figli della strada.

La strada, penso ai miei libri su Padre Pino Puglisi, istiga i ragazzi alla durezza, alla sopravvivenza, alla freddezza, all'odio verso le istituzioni da cui spesso si sentono abbandonati e non protetti, istiga i ragazzi alla delinquenza, quale facile inclinazione all'ottenimento di risorse economiche necessarie alla sopravvivenza e garanti di una vita degna di chi ha sofferto tanto. In strada si parla il dialetto perché quella è la lingua d'appartenenza; in strada non v'è bellezza. In strada gli adulti sono datori di lavoro del malaffare o nemici dell'infanzia che un tempo fu negata.

Molti dei nostri ragazzi derivano da ambienti di povertà economica derivanti dall'incapacità di genitori di rimboccarsi le maniche, dalla non voglia di agire, dalla voglia di lamentarsi del tutto.

Molti dei nostri ragazzi sono figli di genitori privi di cultura, che si annoverano fra la voglia di evadere dai doveri genitoriali e dalle regole. Privi di qualsivoglia gentilezza perché non sono anch'essi mai stati educati ad essa.

Un ragazzo abbandonato, che sa di essere solo, che ha vissuto per strada sa che deve sopravvivere non "vivere". Un ragazzo che vive per strada dipinge le strade dei suoi colori perché le pareti di casa sono i muri abbandonati delle periferie. Una ragazzo abbandonato parla il dialetto perché nessuno gli ha mai parlato del viaggio fantastico di Dante Alighieri, nessuno gli ha mai detto della voglia di Leopardi di scappare dai suoi genitori e da quella casa prigione, nessuno ha mai parlato dell'orgoglio di Socrate, nessuno gli ha mai detto il perché del definire la Guerra ed i totalitarismi pericolosi perché uccidono, il Perché il Brunelleschi realizzò una cupola impossibile, il perché l'arte dona all'uomo speranza di bellezza, il perché le poesie furono il principio della canzoni a cui ci si appiglia con forza, nella speranza di sentirsi meno soli, nessuno gli ha mai letto da bimbo un albo illustrato, e lasciato che si sognasse su quelle meravigliose immagini.

Ci sono casi e casi e su questo non v'è dubbio. Ma spesso i nostri ragazzi, con i loro racconti, dimostrano che la misera è figlia indiscussa della non conoscenza, della non cultura.

Il pensiero educa al confronto, educa alla messa in discussione, educa alla riprogettazione, educa alla non lamentazione, educa alla ricerca, educa alla bellezza.

In che modo vi chiederete?

Ebbene un ragazzo educato alla bellezza di perdersi in un quadro, non imbratterà mai un monumento. Un ragazzo educato alla buona musica saprà scegliere di non parlare male dei primi ribelli che scrissero le prime note della musica classica perché la ribellione insita in quella musica la sentirà vibrare nell'anima. Un ragazzo educato al pensiero non si omologherà alla massa che gli dirà di obbedire alle regole della strada, del dittatore di turno, della violenza di gruppo. Un ragazzo educato alla cultura del sesso non diventerà genitore in così tenera età, rischiando per questo di non essere in grado di gestire due o tre figli nati anch'essi nell'ignoranza che vivranno inevitabilmente per strada creando tortuosi circoli di continue ed inevitabili richieste d'intervento per il sostegno delle marginalità sociali.

Stasera ascoltavo una ragazza sbraitare contro un mondo di gente che non la comprende ed è colpevole gravemente di questo, ed è colpevole perché non è stata educata ad ascoltare il grido di una ragazza cresciuta troppo in fretta.

Il dialetto è meraviglioso quando è amore verso il proprio paese non quand'è difesa da un mondo per cui o sei così o sei fuori.

La non cultura genera miseria.

La cultura genera conoscenza, indipendenza, unicità, riconoscimento della specialità e della differenza, ricerca...

Ora mi chiedo se non siano queste le competenze in grado di combattere bruttezza, degrado ed abbandono...

Mi ostino all'idea che bisogna leggere libri, non arrendersi alla bruttezza di chi non conosce bellezza, insistere nella cultura perché educa alla vita.

Stasera pesco questo libro dalla libreria degli educatori.

Lo osservo e penso.

Penso che i nostri ragazzi sono attori itineranti su palcoscenici distrutti.

Il nostro lavoro è nascosto nel tentativo di donare loro gli strumenti per costruire teatri sempre più belli, in cui esibire la loro storia ed il proprio coraggio con orgoglio.

La cultura costruisce teatri, strade, musei, giardini, case, quartieri e speranze.

La cultura dona ad in nostri ragazzi la possibilità di esibirsi sul palcoscenico della vita con un copione differente da quello preimpostato, diverso da quello che ha visto i loro genitori crollare sotto il peso delle loro stesse scelte, della loro propensione a desistere, della loro lontananza dal bello, dal valore, dalla giustizia che un bambino merita.

Uno che racconti della complessità di un mondo che spesso si dimentica quanto sia difficile restare sotto i riflettori della vita mentre tutti ti osservano e nessuno ti guarda.

Dott.ssa Pittari Chiara

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Cos’è la rubrica: Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati

Da un po’ di tempo la mente di noi educatori è talmente colma di pensieri e riflessioni che spesso straripa . Lo scrivere è diventato per noi salvataggio indelebile, la messa al sicuro dei momenti della vita che trascorriamo con in nostri ragazzi.

Noi educatori spesso la notte scriviamo pagine di una vita vissuta fra le mura condivise con degli sconosciuti che a tratti riescono a sentirsi parte di una casa, parte di una famiglia

Un giorno abbiamo deciso di raccontare e di raccontarci per mostrare anche oltre le nostre mura, la bellezza di una giornata trascorsa assieme ai nostri compagni di strada, la paura verso i giorni che verranno, gli aneddoti divertenti dei giorni di sole e le tempestose giornate di pioggia.

Raccontare è per noi un dono ed è prezioso perché permette di rivederci nello specchio e comprendere che vi è sempre da imparare, perché noi danziamo  e danziamo col vento.

mercoledì 4 giugno 2025

Il lavoro in Casa Famiglia

IL (DURO) LAVORO IN CASA FAMIGLIA


<<Ciao Chiara, ti chiamavo per chiederti se avessi il piacere e la voglia di lavorare con noi. La casa famiglia femminile è rimasta scoperta di un'unità e abbiamo pensato a te. Fammi sapere se sei interessata e...spero tanto che l'idea di tornare a lavorare qui, ti faccia piacere>>.

Credo che fu, senza prova di dubbio, l'anno più difficile della mia vita fino a questo momento. Fu un anno turbolento, insidioso. In quell'anno le possibilità di lavoro erano diventate sempre più complesse e, ahimè, ridotte. Per la prima volta in tutta la mia vita ero pronta per andar via dalla mia amata Lucera perché il non lavorare, per chi come me, aveva la testa piena di sogni, per chi in delirio di onnipotenza si era innamorata di quella cultura intrisa di lavoro e voglia di trovare il proprio posto nel mondo, la stessa cultura con la quale i sapienti libri avevano forgiato i miei ideali, il non avere un futuro...era una prospettiva terribile. In un solo anno avevo provato la gioia di avere un lavoro, l'angoscia di perderlo, il vuoto di frasi eteree che galleggiavano nell'aria sulle note impietose di "le faremo sapere" e l'amarezza per il nulla che appariva tetro e macchiava di scuro il mio futuro.

"Ti offriamo 100 euro al mese con prospettive di aumento. Non occorre la laurea, richiediamo dalle 8 alle 12 ore di lavoro ma potrebbe esserti richiesta maggiore disponibilità anche nei festivi. Tu non sei di qua vero? Comunque il trasporto è a carico tuo" Ricordo frasi di questo tipo e... quella stretta allo stomaco.

Piansi molto quell'anno... tutte le mia certezze stavano andando in fumo.

Avevo trascorso tutta una giovinezza a pensare alle cose straordinarie che la vita mi avrebbe riservato, eppure la vita, in quel momento, si stava prendendo beffa di me.

In poco tempo fui disoccupata, maestra d'asilo, ragazza alla ricerca e pronta ad andare via ed... educatrice.

In agosto Marco mi chiamò per chiedermi se avessi voluto lavorare in comunità. Ricordo che dissi: sì. Fu un "si" liberatorio, istintivo e ...felice.

<<Lavoro>>...qual parola complessa.

Ripensai al tirocinio che decisi di svolgere proprio in quella cooperativa, per conoscere quella realtà a cui ambivo, a Lucia che mi faceva da Tutor e sapientemente educava la mia mente a sperimentarsi e a correggersi; ripensai al volontariato, al progetto di Assistenza Domiciliare Educativa ADE che avevamo cercato di ripristinare in ogni modo...

Un lavoro, nella terra che ho sempre amato.

Un lavoro per il quale avevo studiato.

Era utopia...eppure ad un tratto era...vero.

Ricordo che il Presidente mi disse: << è un lavoro duro, impegnativo ma che, se fatto nel modo giusto e non so dirti quale sia perché lo scoprirai da te, darà soddisfazioni e certe volte tristezze e batoste. È un mestiere, quello dell'educatore, che prevede turni, notti e spesso festivi trascorsi a lavoro e talvolta emergenze...se scegli di farlo devi sapere che le condizioni sono queste.

Un ragazzo che piange di notte, beh quello è il tuo lavoro, vorrei saperti dire di più, ma è solo facendo che potresti comprendere>>

Il primo giorno mi accolse una signora gentile dai capelli corvini; mi accolse in quella casa che chiamavano: "casa famiglia" e mi spiegò cosa fosse e chi ci vivesse e ... perché.

Cosa fosse il Murialdo e l'opera San Giuseppe, le idee e le speranze celate al di sotto di quei mattoni rossastri ed in quei campetti preservati con cura da abili mani, cosa fosse quella casa, chi fossero quelle ragazze e quei ragazzi erano una incognita per me.

La mia prima notte guardai fuori da questa finestra e mi sentii grata e ansiosa e timorosa di sbagliarle tutte.

Anche stanotte guardo quella finestra...

Ho messo a dormire la bimba piccola e le ho dato una carezza, ho cucinato le piadine per delle adolescenti affamate, ho parlato con le ragazze di tutto e di niente...abbiamo fatto una passeggiata ed una di loro ha chiesto: "torniamo a casa? Ho una voglia di stare nel mio letto col venticello".

Torniamo a casa....nel mio letto.

Queste parole mi hanno scaldato i ricordi delle ragazze e dei ragazzi che ho visto passare per di qui, incrociare le loro storie con le mie. Penso a quanti pannolini sono stati cambiati, a quanti bagnetti, allo zaino nuovo, appena comprato per il primo giorno di scuola, appeso nell'ingresso, a quanti compiti, a quante torte, alle chiacchiere di notte, agli incubi che l'oscurità porta con sé, ai progetti...

Sono trascorsi gli anni...ed io benedico ancora quella finestra che mi accolse benevola, il primo giorno, con la sua brezza.

Sono già trascorsi anni...e a poco a poco questa casa è diventata un po' anche la mia.

Il poeta Ligabue cantava:

"Una vita da mediano, a recuperar palloni....Una vita da mediano

Da chi segna sempre poco,

Che il pallone devi darlo

a chi finalizza il gioco".

Quella chiamata, quel contratto, quelle scelte all'epoca prive di senso, quel si...mi portarono qui, come Oriali a vincere...caso mai i miei mondiali.

Con l'università scelsi di giocare la mia partita...poi la vita fece il resto.

Ed io son qui...

Dott.ssa Pittari Chiara

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giovedì 22 maggio 2025

Che sapore ha la vita?

Rubrica: Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati

 CHE SAPORE HA LA VITA?

A volte basta un film per far emergere mille emozioni, mille riflessioni, gesti inaspettati e insegnamenti inattesi. 

Certe volte la naturalezza degli eventi sorprende e forse ci cambia dentro.

Quando la serata procede senza intoppi mi sembra quasi di essere a casa; in una casa come tante.

Nel forno i muffin per la colazione diventano buffe cupolette che profumano di cioccolato, la tovaglia è ancora sulla tavola perché la ritardataria di turno sta mangiando il suo panino mentre racconta gli avvenimenti della serata. Da lontano giunge il rumorino dello spazzolino che strofina i dentini della più piccola mentre lei è nel suo bagnetto e balla e canticchia a bocca chiusa; la vocina eccheggia sulle pareti del bagno e viaggia allegra fino alla cucina.

Due figure affamate si muovono attorno al forno nell'attesa della cottura che sperano essere la più veloce della storia.

 <<Come fai a capire quando sono pronti?>> Chiede una fra loro osservando i dolcetti con la massima attenzione per capire se il momento sacro è finalmente giunto.

<< Quando non li vedi più nel forno perché li ho mangiati tutti io!>>  ridacchia la piccola mentre con la mano le dà dei colpetti sulla fronte.

Siamo state talmente veloci a cenare che siamo in anticipo con la tabella di marcia della preparazione degli zaini, dei vestiti per l'indomani e della nanna.

<<Ci vediamo un film????? Ti preeeeeego>>

Lasciamo alla TV o forse alla sorte la scelta del film. La locandina con il cane le convince: "Io & Marley", ecco cosa vedremo stasera.

Per tutti gli amanti dei cani quel film, si sa, è devastante; io (proprio perché so) non sono molto felice della scelta. La piccola si sistema sulla sedia con il suo pigiamino fucsia ed i calzini a strisce arancioni, la più grande nel suo pigiama rosa si appoggia alla sedia mentre mangia ben tre pezzi del dolce che "dovrebbe" arrivare alla colazione di domani. Loro guardano il film, io rassetto. A bassa voce con la grande si parla dei programmi della settimana, dei vestiti, degli amici. Ogni cosa scivola lenta e piacevole.

Marley intanto cresce, ne combina di tutti i colori; la cucina è pulita ma profuma ancora e meravigliosamente di cacao.

Io, intanto, ho finito i miei servizi e mi siedo con le due piccole. Inizia quella parte del film che per me è sempre stata terribile: il cagnolone è stanco, più bianco di quanto non sia mai stato, e non ha più la forza di alzarsi. Nella mia mente torno indietro a qualche mese fa, a quando nello stesso modo il mio di cagnolone ci avvisava della sua stanchezza...

I miei occhi resistono ma ad un certo punto rilasciano come rubinetti gocce su gocce di lacrime. La più grande stacca per un secondo gli occhi dallo schermo, prende un tovagliolo e me lo porge, senza dire una parola. Poi si riappoggia con il capo al mio braccio, stringendomi la mano.

Il film prosegue il suo racconto fino ai titoli di coda. Rattristate io e la più grandicella ci alziamo. La piccola no, lei è seduta in silenzio con la manina davanti agli occhi. La più grande la abbraccia e le dà un bacio sulla guancia.

Stupidamente credevo non avesse compreso che il cagnolino non ce l'aveva fatta. Lei invece in tutta la sua dolcezza racconta: <<Mi sento triste perché il cane è morto, lo so che era grande ma mi dispiace tanto.>> Crescendo lei ha sviluppato una grande passione per gli animali e stasera ha dimostrato, in tutta la sua dolcezza, la sensibilità più pura che possa appartenere a questo mondo. Mi sento una vera idiota per aver pensato che non potesse capire la scena.

Siamo in camera e riempiamo la cartella con i giusti libri, prepariamo la merenda, rimbocchiamo le coperte. Scegliamo con cura il risveglio per domani perché dovete sapere che da noi il risveglio ha delle parole ben precise. <<Buongiorno principessa, buongiorno arcobaleno, unicorno, amore, fiorellino, stellina, poetessa, pittrice... Ecco domani mi svegli così, con tutti questi buongiorno.>>

Le coperte sono tirate sulla sua testa ed i lunghi capelli inondano il cuscino.

Avverto il rumore della lavastoviglie che si apre perché ha terminato il programma del lavaggio.

Intanto c'è l'ultimo abbraccio, l'ultimo "Ti voglio bene", l'ultimo bacio e l'ultima sistemata sulle coperte.

<<È triste se vuoi bene tanto a qualcosa e poi quella cosa non c'è più, tu volevi bene al tuo cane. Anche io ti voglio bene>>. È una nanetta, nel mio gergo comune si chiama "Pulce" la personcina che ha pronunciato questa frase. Eppure la pulce ha dimostrato ancora una volta quanto poco crediamo alla sensibilità dei bambini.

In questo periodo, come non mai, mi sono chiesta quale sia il sapore della vita; quali siano il rumore, l'odore, il valore della vita.

Questa sera sono giunta ad una conclusione.

La vita ha il sapore di muffin al cacao, i colori del pigiama con le pecorelle. Ha il rumore delle sedie che si spostano dalla tavola e della lavastoviglie in funzione. La vita ha il sapore delle lacrime salate miste a quelle della tisana alla cannella. La vita ha il calore di una mano che ti porge il tovagliolo per asciugarti gli occhi dal ricordo di un cagnolino che non c'è più. La vita è il "track track" del letto mentre la pulce si rigira in cerca della sua posizione preferita per dormire.

La vita normale riempie una casa che spesso di normale ha quasi nulla.

Stasera credo che alle volte la "normalità" profumi di avventura, come quando si è piccoli e si gioca a nascondersi su una casa sull'albero. La normalità stasera mi riempie le narici, mi fa gioire senza un perché, mi fa piangere e mi fa venire voglia di non essere da nessun'altra parte se non qui con le mie compagne di viaggio.

Il turno di notte in Casa Famiglia si gode la gioia del suo tempo lungo...ed io con esso.

Dott.ssa Pittari Chiara

(Pedagogista, Educatrice presso la Casa Famiglia Murialdo)

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Mercoledì prossimo  si rinnoverà l’appuntamento con

‘Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati’

 

Cos’è la rubrica: Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati

Da un po’ di tempo la mente di noi educatori è talmente colma di pensieri e riflessioni che spesso straripa . Lo scrivere è diventato per noi salvataggio indelebile, la messa al sicuro dei momenti della vita che trascorriamo con in nostri ragazzi.

Noi educatori spesso la notte scriviamo pagine di una vita vissuta fra le mura condivise con degli sconosciuti che a tratti riescono a sentirsi parte di una casa, parte di una famiglia