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mercoledì 24 gennaio 2024

Paura della scuola

 PAURA DELLA SCUOLA: 

COS’E’ E COME SI PRESENTA

Quando finii la scuola media, davanti a me avevo un'estate diversa: l'estate prima delle scuole superiori. Provai una certa ansia dovuta a quanto ci ripetevano costantemente, in parte, gli insegnati della scuola media e, in parte, i miei genitori. Non solo. Quest'ansia era sostenuta anche dalle mie "fantasie" di preadolescente a cui poi sommavo quelle degli altri miei amici. 

‘’Quando poi cominciai la scuola superiore non ricordo esattamente come andò, ma ricordo che a dicembre ero già ambientato e impegnato non solo con le attività scolastiche ma anche quelle extra-scolastiche che mi entusiasmavano tantissimo.’’

Eppure non sempre un percorso scolastico è così lineare e sereno per lo studente, i suoi genitori e gli insegnanti. Molte volte infatti la scuola può essere vissuta con un generale senso di noia, con una sensazione di ansia paralizzante la persona, con un senso di paura, disistima, vergogna e disprezzo.

A tal fine è tuttavia necessario sottolineare la profonda differenza che corre tra chi non va a scuola e chi teme la scuola. Chi tende a "marinare" la scuola non prova il disagio avvertito dai secondi, non sembra aver investito sulla scuola, sui compagni, sulla rete che gli è attorno. Questi potrebbe girovagare nella città per opposizione ai genitori, per ragioni che non sempre sono dovute a lacune o ritardi nella scolarizzazione. Egli potrebbe sviluppare delle tendenze antisociali in virtù di una mancata, più o meno, disciplina all'interno della famiglia.

Ciò che invece succede ai ragazzi che temono la scuola è ben diverso, facente parte di un fenomeno che solo apparentemente parrebbe "di moda" ma che descrive primariamente il nostro sistema scolastico (guidato sempre più da valori improntati al solo sviluppo delle competenze e della competizione) e la nostra società, le cui famiglie prestano una maggiore attenzione al rendimento scolastico non immaginando che questo è mediato sempre e comunque dalla sfera affettiva: lo stato di benessere/malessere con cui mi appresto ad apprendere.

Per tali ragioni gli esperti parlano di fobia scolastica che rientra tra le tante cause che porterebbero all'abbandono scolastico e che si presenta sotto due forme: durate la scuola primaria (nell'infanzia) o nel corso della scuola di primo e sopratutto secondo grado (nella pubertà e nell'adolescenza) 

Fobia scolastica e infanzia

Per quanto riguarda la prima forma di fobia scolastica essa è meno grave della seconda ed interessa soprattutto i bambini.

Si manifesta sotto forma (a) d'ansia e malesseri fisici al momento del distacco da casa e per mezzo di (b) pensieri e fantasie catastrofiche che riguardano loro e i genitori: temono di essere abbandonati, che i genitori muoiano o che non siano presenti al loro ritorno a casa.

Questi bambini sembrano sentirsi tranquilli solo quando sono a casa, facendo così pensare ad alcune difficoltà relazionali e di separazione che appartengono dapprima ai loro genitori: una parte di loro vorrebbe avere vicino il figlio il quale però, avvertendo queste difficoltà e preoccupazioni, risponde assecondandole, vivendole sulla sua pelle.

Fobia scolastica e adolescenza

Molto più complessa è tuttavia la comparsa della fobia scolastica negli adolescenti, la quale non è più studiata e compresa in concordanza alle sole difficoltà di separazione ma come conseguenza di un ventaglio di cause molto più ampio sul cui sfondo vi è anzitutto il cambio da uno stile di scuola più "materno" a un altro che richiede una maggiore autonomia, responsabilità e comporta la capacità di interrompere i legami con l'ambiente per sedersi su una scrivania, aprire il quaderno e svolgere i compiti; scelte e comportamenti che sottendono che l'adolescente sia in grado di dire "no" alle "seduzioni del mondo": alla televisione, allo schermo del pc e del cellulare, agli amici, alle richieste dei corpo, alla famiglia. Come ricorda il pediatra e psicoanalista Winnicott, egli deve essere capace di interessarsi a ciò che non lo riguarda per niente.

A ciò poi s'accompagna l'affermarsi di un corpo sessuato che mette ancor più in difficoltà gli adolescenti poiché le sensazioni che esso genera spingono a nuove scoperte, nuovi interessi, nuovi bisogni che potrebbero spaventare, essere visti come i responsabili di una serie di conflitti che fanno dimenticare la precedente pacifica armonia interna.

Se nell'età infantile la crescita avviene prevalentemente all'interno della famiglia e la scuola esiste come struttura parallela, nell'adolescenza essa diviene centrale, il primo nucleo dei legami e di sviluppo, il luogo in cui l'adolescente:


·       deve affrontare di "sfilare sulla passerella della scuola" ed esporsi allo sguardo e ai giudizi negativi o positivi dei coetanei: dal taglio di capelli alle scarpe, dallo zaino agli occhiali da sole, dal modello di cellulare a quello della band ascoltata ecc.;

·       deve affrontare il giudizio di un team di adulti che di mestiere fa proprio quello di valutare gli adolescenti; stimare se han compreso le "cose strane" che sono successe nel pianeta dall'antichità ai giorni nostri.

Per questi motivi, la mole di lavoro che spetta loro durante questo periodo di vita non permette più di focalizzarsi per imparare solo dai libri ma anche da questa serie di cose, non meno semplici, trasversali e ugualmente importanti: nessun adulto, arrivando in ufficio, è esposto a cosi tanti rischi, novità e insicurezze.

Adolescenza e Web

Per queste stesse ragioni allora essa può spaventare, può diventare sempre più faticosa, frustrante e opprimente, tanto da generare inizialmente la vergogna di sentirsi esposti agli occhi degli altri come fallimentari e disprezzabili e poi la cosiddetta fobia e paura scolastica.

Questa frattura, nei casi più drammatici, porta a diverse conseguenze e diverse tipologie di quadri clinici. Tra questi vi è il ritiro dal mondo reale al quale segue, oramai sempre più spesso, un ritiro nel mondo virtuale in cui c'è:

 

·       un movimento compensatorio come conseguenza alle tante amarezze per il fallimento scolastico, l'isolamento e la perdita del gruppo di coetanei;

·       la prevedibilità dei gesti, la controllabilità degli oggetti;

·       la mancanza di complessità e contraddittorietà tipica delle relazioni reali;

Ciò che allora si rende necessario è che l'adolescente trovi uno spazio per poter condividere con un esperto cosa gli sta succedendo fisicamente, affettivamente, socialmente e cognitivamente; uno spazio in cui non si pretenda che la guarigione costituisca il ritorno a scuola ma che gli dia delle motivazioni rispetto a ciò che è accaduto, ciò che ha interrotto il suo sviluppo, così da poter decidere più coscientemente come comportarsi.

Fonte: www.guidapsicologi.it

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giovedì 11 gennaio 2024

non riusciamo più a guardarci negli occhi

 NON RIUSCIAMO PIU' A GUARDARCI NEGLI OCCHI

Uno dei segni della fretta che condiziona le persone del nostro tempo è l'incapacità crescente di comunicare con gli occhi. I contatti tra le persone si sono moltiplicati: internet, e-mail, telefonino... E ci stiamo dimenticando del contatto più semplice: il contatto visivo.

In famiglia, scompaiono le occasioni che consentivano alle persone di “guardarsi”. Una statistica afferma che il tempo medio che un genitore trascorre con un figlio adolescente è attualmente stimabile in 12 minuti al giorno. Anche il pasto della sera non viene più consumato insieme, per le troppe attività in cui ciascuno è impegnato e i diversi gusti televisivi. Dei 12 minuti, almeno 10 vengono impiegati per dare istruzioni o verificare l'esecuzione di quelle impartite il giorno precedente, gli altri minuti si esauriscono in questioni poco significative.

È così che diventa realmente possibile la preghiera ormai classica: «Signore, fammi diventare un televisore, così la mia mamma e il mio papà mi guarderanno un po' di più».

Il contatto visivo è guardare direttamente una persona negli occhi. La maggioranza della gente non capisce quanto questo contatto sia vitale. Quasi tutti però conoscono il disagio di una conversazione con qualcuno che guarda costantemente altrove e che è incapace di guardare in faccia l'interlocutore.

Le persone hanno bisogno di essere guardate. A che cosa servono le tante cure al vestito, al look, al corpo se non per attirare l'attenzione e lo sguardo degli altri? Anche il piercing, i tatuaggi e le spesso sconcertanti originalità degli adolescenti sono l'inquietante invocazione: «Guardatemi!».

Il contatto visivo è essenziale non solo per comunicare con i bambini ma per soddisfare i loro bisogni emotivi. Il bambino utilizza il contatto visivo con i genitori per nutrirsi emotivamente. Con gli occhi si comunica amore. Lo sanno bene gli innamorati. Tutti sentono la profonda emotività della frase «Mangiarsi con gli occhi». Anche l'evangelista Marco nell'episodio dell'incontro tra Gesù e il giovane ricco, afferma: «Gesù, fissatolo, lo amò...».

Lo sguardo dei genitori significa amore, attenzione reale, apprezzamento e interesse. Gli occhi dei genitori sono una fonte di valore e una forma di nutrimento morale ed emotivo. Un figlio moltiplica il proprio impegno se si sente guardato dai genitori. Purtroppo molti genitori sono occupati a far tante cose per i propri figli e poi si dimenticano di “guardarli”.

Ormai è provato: lo sguardo caldo e incoraggiante dell'insegnante aumenta l'impegno dell'alunno, lo aiuta a capire meglio ciò che gli viene detto. Così pure è certo che i bambini memorizzano meglio le fiabe raccontate guardandoli negli occhi.

Insomma, la mancanza del contatto visivo è un danno umano di non poco conto e non utilizzarlo sarebbe da irresponsabili. Anche perché esiste il pericolo della sua scomparsa (o quasi) a causa della inarrestabile e sempre più invadente comunicazione digitale! L'insidia è davvero alta. Il cellulare, il tablet, lo smartphone connettono, ma non mettono in relazione.

• I “connessi” non sentono la vibrazione dello stare vicino l'uno all'altro, del guardarsi, dello sfiorarsi.

• Si è scoperto che i ragazzi che chattano molto non arrossiscono più ed hanno difficoltà a fissarsi negli occhi. Questa è povertà umana!

• Nei campi di concentramento tedeschi era severamente proibito ai prigionieri guardare negli occhi le guardie di sorveglianza, per timore che queste avrebbero potuto intenerirsi ed essere meno dure.

I contatti sbagliati

Fin qui tutto pare correre liscio. In realtà non è così. Non tutti i contatti visivi, infatti, hanno valenza umanizzante.

Vi sono contatti sbagliati che danneggiano la nostra crescita umana ed altri che la favoriscono.

• Quello dell'occhio poliziesco dei genitori che controllano ogni mossa del figlio, lo pedinano tutto il giorno, gli soffiano continuamente sul collo, gli razionano i metri di libertà. L'occhio poliziesco non è fattore di crescita: potrà fare un disciplinato, ma non un educato. “Mai la catena ha fatto buon cane”, recita l'indovinato proverbio.

• Un secondo tipo di contatto visivo sbagliato è quello dell'occhio minaccioso, fulminante. “Guardami negli occhi!”, urlano alcuni genitori che si dimenticano che la paura non ha mai innalzato alcuno, ma ha sempre solo formato nani.

• Terzo tipo di contatto visivo sbagliato (il peggiore tra tutti!) è quello dell'occhio indifferente. L'indifferenza è sempre insopportabile: ti gela l'anima, ti fa perdere la voglia d'essere al mondo. L'indifferenza è la sorella gemella della crudeltà!

I contatti buoni

Passiamo ai contatti buoni.

• Contatto buono è quello dell'occhio generoso che vede ciò che nessuno vede.

Un tale si era innamorato della celebre cantante e ballerina Elena Sontag che vedeva stupenda.

Un giorno un amico gli disse: “Ma non hai notato che la signorina ha un occhio più piccolo dell'altro?”.

“Macché - ribatté il convinto ammiratore - “ha un occhio più grande dell'altro!”.

A questi livelli di generosità (di umanità) possono arrivare gli occhi generosi, i più apprezzati dai pedagogisti che sono d'accordo con la magnifica intuizione dello scrittore francese François Mauriac: “Amare qualcuno significa essere l'unico a vedere un miracolo che per tutti è invisibile”.

• Buono è il contatto visivo incoraggiante che dà la spinta e fa volare alto.

• Buono è il contatto visivo accogliente che ti avvolge come un manto ripieno d'amore e di empatia. Un contatto visivo con tali caratteri ha più valenza umanizzante di tutti i milioni di contatti digitali del mondo messi insieme

Autore: Pino Pellegrino

Fonte: www.biesseonline.sdb.org

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lunedì 18 dicembre 2023

Lettera di un adolescente ai genitori

LETTERA DI UN ADOLESCENTE AI GENITORI

Perché la vita con gli adolescenti sembra sempre un estenuante tiro alla fune? Possibile che i genitori siano sempre sbagliati ai loro occhi? Questa lettera è stata scritta da Gretchen L Schmelzer, una psicologa e scrittrice statunitense, e dovrebbe essere inserita tra le letture obbligatorie del manuale del genitore dell’adolescente.

Caro Genitore,

Questa è la lettera che vorrei poterti scrivere.

Questo conflitto in cui siamo, ora. Ne ho bisogno. Ho bisogno di questa lotta. Non te lo posso dire perché non ho il lessico per farlo e comunque non avrebbe senso quello che direi. Ma ho bisogno di questa lotta. Disperatamente. Ho bisogno di odiarti ora, e ho bisogno che tu sopravviva a questo odio. Ho bisogno che tu sopravviva al mio odiare te, e al tuo odiare me. Ho bisogno di questo conflitto anche se pure io lo detesto. Non importa neanche su cosa stiamo litigando: l’ora di rientro a casa, i compiti, i panni sporchi, la mia stanza incasinata, uscire, restare a casa, andare via di casa, vivere in famiglia, ragazzo, ragazza, non avere amici, avere cattivi amici. Non importa. Ho bisogno di lottare con te su queste cose e ho bisogno che tu lo faccia con me.

Ho disperatamente bisogno che tu mantenga l’altro capo della corda. Che ti ci aggrappi forte mentre io strattono il capo dalla mia parte, mentre cerco di trovare appigli per vivere questo mondo nuovo cui sento di affacciarmi. Prima sapevo chi fossi io, chi fossi tu, chi fossimo noi. Ma ora, non lo so più. In questo momento sto cercando i miei confini, e a volte riesco a trovarli solo quando tiro questa fune. Quando spingo tutto quello che conoscevo al suo limite. Allora io mi sento di esistere, e per un minuto riesco a respirare. E lo so che ti manca tantissimo il bambino dolce che ero. Lo so, perché manca anche a me quel bambino, e a volte questa nostalgia è quello che rende tutto doloroso per me al momento.

Ho bisogno di questa lotta e ho bisogno di vedere che, non importa quanto tremendi o esagerati i miei sentimenti siano, non distruggeranno me, né te. Ho bisogno che tu mi ami anche quando sono pessimo, anche quando sembra che io non ti ami. Ho bisogno che tu ami te stesso, e me, che tu ci ami entrambi e per conto di tutti e due. Lo so che fa male essere antipatici, avere etichette di quello marcio. Anche io provo la stessa cosa dentro, ma ho bisogno che tu lo tolleri, e che ti faccia aiutare da altri adulti per farlo. Perché io non posso in questo momento. Se vuoi stare insieme ai tuoi amici adulti e fare un “gruppo-di-mutuo-supporto-per-sopravvivere-al-tuo-adolescente”, fa’ pure. O parlare di me alle mie spalle, non ho problemi. Basta che non rinunci a me, che non rinunci a questo conflitto. Ne ho bisogno.

Questo è il conflitto che mi insegnerà che la mia ombra non è più grande della mia luce. Questo è il conflitto che mi insegnerà che i sentimenti negativi non significano la fine di una relazione. Questo è il conflitto che mi insegnerà come ascoltare me stesso, anche quando sono una delusione per gli altri.

E questo conflitto particolare, finirà. Come ogni tempesta, sarà spazzata via. E io dimenticherò, e tu dimenticherai. E poi tornerà da capo. E io avrò bisogno che tu regga la corda di nuovo. Di nuovo e di nuovo, per anni.

Lo so che non c’è nulla di intrinsecamente soddisfacente in questa situazione per te. Lo so che probabilmente non ti ringrazierò mai per questo, o neanche te ne darò credito. Anzi probabilmente ti criticherò per tutto questo duro lavoro. Sembrerà che niente che tu faccia sia mai abbastanza. Eppure, io faccio affidamento interamente sulla tua capacità di restare in questo conflitto. Non importa quanto io polemizzi, non importa quanto io mi lamenti. Non importa quanto mi chiuda in silenzio.

Per favore, resta dall’altro capo della fune. E lo so che stai facendo il lavoro più importante che qualcuno possa mai fare per me in questo momento.

Con amore, il tuo teenager.


Fonte: genitori crescono.com

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martedì 28 novembre 2023

La paura da non fuggire

Rubrica: Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati

LA PAURA DA NON FUGGIRE

Giulia poteva essere mia figlia, ma anche Filippo poteva essere mio figlio, ognuno con le sue fragilità, diverse ma tutte straordinariamente importanti, ed ho avuto paura!

All’inizio sono rimasta turbata, e questo non mi ha sorpreso: l’attesa, il timore di un epilogo drammatico, la speranza di una risoluzione che tranquillizzasse tutte le nostre coscienze al riparo dall’orrore.

Poi sono rimasta sconvolta, e  anche questo non mi ha sorpreso: il clamore mediatico, l’indignazione collettiva, l’onda emotiva che ci restituisce alla nostra umanità certa, al sicuro dalle mostruosità altre.

Alla fine ho avuto paura, e questo mi ha sorpreso: perché paura al sicuro della “normalità” dei miei affetti, delle mie certezze?

E quante volte ho ascoltato storie, condiviso vite trasudanti sofferenza, dolore, ferite sanguinanti di traumi passati e presenti. E ogni volta facendo il mio poco, il mio piccolo, quella goccia insignificante alla ricerca di un senso. E ogni volta quella timida certezza di riconoscere le dinamiche, gli ambienti, i presupposti di vita e di condizioni che possono generare la violenza, subita ed agita, vicina ma sempre lontana, non appartenente.

Ma questa storia no, fuori dagli schemi a cancellare certezze: giovani universitari “normali”, ragazzi che si affacciano alla vita pieni di progetti e di speranze, senza degrado, senza ambienti malsani.

Giulia poteva essere mia figlia, ma anche Filippo poteva essere mio figlio, ognuno con le sue fragilità, diverse ma tutte straordinariamente importanti. Quanto riusciamo a intravederle? Quanto le filtriamo attraverso la paura di non riuscire ad affrontarle e i sensi di colpa placati dall’autorassicurazione sull’età, sull’esserci passati tutti, sul tempo che guarisce? Dove finisce la paura e comincia la speranza?

Dove il senso di impotenza e la fiducia?

Sono inchiodata qui, a chiedermi se i miei occhiali mi permettono di vedere ancora, a interrogarmi su cosa ci manca per esserci e per restare nelle vita dei nostri figli, perché ora l’ho capito che è giusto avere paura:  perché Giulia sono io, perché Filippo sono io.

Dott.ssa Roberta Monda

(Psicologa, Cooperativa Paidòs)

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Mercoledì prossimo  si rinnoverà l’appuntamento con

‘Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati’

 

Cos’è la rubrica: Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati

Da un po’ di tempo la mente di noi educatori è talmente colma di pensieri e riflessioni che spesso straripa . Lo scrivere è diventato per noi salvataggio indelebile, la messa al sicuro dei momenti della vita che trascorriamo con in nostri ragazzi.

Noi educatori spesso la notte scriviamo pagine di una vita vissuta fra le mura condivise con degli sconosciuti che a tratti riescono a sentirsi parte di una casa, parte di una famiglia


mercoledì 22 novembre 2023

Roba da maschi, roba da femmine

 ROBA DA MASCHI, ROBA DA FEMMINA

Non è il tingere di rosso una panchina, non è il porre le scarpe con il tacco per le vie delle città, non sono i progetti volanti che salvano dalla violenza... è l'educazione.  È quella che rende "umani". 

Ripensavo ad un episodio a cui assistetti qualche mese fa; un bambino, poteva avere una decina d'anni, voleva tanto acquistare un braccialetto dalle sfumature rosa e celesti da una bancarella. Chiese di poter avere quello invece che quello di cuoio che i suoi genitori volevano per lui. Entrambi i genitori con profondo divertimento e disprezzo esordirono un secco "NO" a quella richiesta: <<È roba da femmine, che sei impazzito!?, smetti di frignare come una femminuccia e prenditi quello da maschio!>>. Il bambino si rigirò fra le mani quel braccialetto in cuoio e guardò con passione ed al tempo disprezzo quello rosa e celeste che tanto avrebbe voluto. In quel momento credo che quel bambino abbia compreso che la roba da "femmine" fosse qualcosa da detestare nel momento stesso in cui quella stessa cosa tanto ambita non poté essere sua.

Ripensavo quando all'asilo una madre strappò dalle mani l'albo illustrato che spiegava i sentimenti dalle mani di un bambino perché non si poteva abituare a quelle cose "sdolcinate", doveva pensare alle cose serie; ricordo ancora che andò a protestare dal titolare per le mie incapacità "didattiche".

Ora a distanza di mesi, rileggo una notizia come tante, l'ennesima ma non l'ultima e ripenso a quello sguardo.

Da un po' di tempo, da quando sono educatrice e soprattutto dopo gli ultimi anni della mia vita mi sono resa conto dei danni reali, effettivi, gravi che generano gli approcci DISeducativi centrati nella differenziazione (non in positivo) dei comportamenti "ottimali" per un maschio e per una femmina e soprattutto all'analisi di cosa accade se non si rientra in quei canoni comportamentali.

Se la "femmina" non è prodiga all'ammonimento sacrale che la invoglia ad un atteggiamento mansueto e sottomesso, se ha un passato, se ha esperienza, se è colta, se sa riconoscere il sbagliato è...un pericolo; un pericolo serio da nascondere perché ribelle.

Se il "maschio" non è prodigo ai solidi atteggiamenti militareschi, prevaricanti, privi di "sentimentalismi"( così li chiamano con disprezzo), se ha avuto tante esperienze con tante donne ( tutte necessarie per capire quanto fossero "poco di buono" e non adatte alla protezione ed al controllo che invece il grande uomo sa dispensare) allora è "frocio, debole, si fa mettere la gonnellina, non è un vero uomo, un mezzo uomo, un omuncolo, uno che frigna come una femmina".

Educare i bambini alla gestione dei sentimenti, delle emozioni, educare i bambini ai "No", educarli in modo che non si credano esseri onnipotenti, prevaricanti, patriarchi, oppressori, è necessario tanto quanto educare le bambine alla rivoluzione, alla sapienza, alla libertà. Solo uno dei due approcci non basta. Non è il tingere di rosso una panchina, non è il porre le scarpe con il tacco per le vie delle città, non sono i progetti volanti che salvano dalla violenza... è l'educazione.

È quella che rende "umani".

Pubblichiamo ogni giorno immagini di donne con il volto coperto che piangono per la violenza subita e però a scuola ci sono ancora i giochi "da maschio e da femmina". (Altre reminiscenze dei libri didattici dell'asilo: disegna nel cerchio i giochi da femmina e quelli da maschio; inserisci nell'elenco i mestieri da femmina e quelli da maschio).

A casa si gioca ancora a crescere piccoli re che debbono avere tutto e subito.

La politica racconta ancora che c'è un solo tipo di famiglia e di sana genitorialità.

Il solo pensiero che ai bambini "maschi" venga "indottrinata" l'educazione all'affettività o che l'educazione sessuale si insegni a scuola è ancora aberrante per le famiglie "per bene, quelle con sani principi di moralità".

Per strada una ragazza giace a terra infreddolita violentata da 7 ragazzi contemporaneamente ed esposta al delirio mediatico come quella che "se la va a cercare perché ubriaca".

Una signora in un film viene presa a calci e pugni mentre "danza nella normalità dell'equilibrio domestico con suo marito".

Una ragazza giace sul fondo di un lago priva di vita.

Dott.ssa Pittari Chiara

(Pedagogista, Educatrice presso la Casa Famiglia Murialdo)

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mercoledì 15 novembre 2023

Il film della Cortellesi è tremendo, ma va assolutamente visto

 Rubrica: Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati

IL FILM DELLA CORTELLESI E’ ‘TREMENDO’ MA VA ASSOLUTAMENTO VISTO

Nel film c'è la musica che attutisce il colpo di uno schiaffo, c'è la danza che rende meno grave l'impatto delle botte, eppure quelle scene sono il racconto di una bimba che in preda agli incubi, raccontava di un mondo senza musica, senza danza, senza libertà, di un mondo in cui non aveva diritto di contare.

Ho iniziato ad osservare la piacevolezza di una proiezione in bianco e nero al cinema e mi sono sentita entusiasta; ho sempre adorato i film in bianco e nero, ne ho visti a iosa ma è rara, per la mia età, la possibilità di vederli al cinema.

Ho iniziato a guardarlo a cuore leggero, sapendo per sommi capi la tematica trattata, però immaginavo fosse attenuato dall'ironia, dalle battute o non so cos'altro.

La verità è che nel mentre la storia si addentrava fra le parole "stai zitta", "ma che ne vuoi sapere tu", "tu sei femmina, a scuola ci va lui che è maschio" risentivo le parole delle mie nonne, di mia madre...delle ragazze della Casa Famiglia.

L'ironia c'è, c'è la musica che attutisce il colpo di uno schiaffo, c'è la danza che rende meno grave l'impatto delle botte, eppure quelle scene erano il racconto di una bimba nel pieno della notte che in preda agli incubi raccontava di un mondo senza musica, senza danza e senza la bellezza del bianco e nero.

"Scappa, ti prego, scappa" è quello che pensavo mentre la storia proseguiva nel suo racconto, mentre nella mia mente frammenti di immagini di nonne che raccontavano il perché non potevano andare a scuola, il perché da bambine non dovevano imparare a capire, "Ero femmina, non spettava a me studiare". Ricordo lo sguardo delle mie nonne quando studiavo all'università, forse era la loro parte bambina e recondita che urlava a squarcia gola quanto valesse quel mio studio. Ricordo il modo in cui una di loro mi stringeva il braccio sorridendomi quando le dicevo di aver passato un esame. Una di loro collezionava libri, libri di ogni tipo: di filosofia, antropologia, romanzi, trattati di politica, riempiva la casa di libri e forse quello era il suo modo silente per rivalersi su quel sistema che voleva allontanarla dallo studio ad ogni costo. Pensavo alla presa di posizione di mia madre che a 18 anni da sola se ne partiva per un lavoro al nord, indossava la minigonna, lavorava giorno e notte con il pancione al nono mese di gravidanza e non aveva sconti sulla sua mole di lavoro.

Pensavo alle bimbe che sono accolte fra le mura della Casa Famiglia, e a tutte quelle storie di violenza che sono passate per di là.

Le lacrime sgorgavano come non vi fosse un "domani".

Forse sono lontani i tempi della guerra in Italia, forse sono lontani i tempi dei cortili, dell'impostazione sociale patriarcale... Ma non sono lontani i tempi della violenza, del "tu non puoi", del "tu non devi" "del tu sei MIA e fai quello che dico IO", "te ne pentirai se OSI disubbidire", "con le amiche non esci", "hai avuto esperienze, sei stata una poco di buono", "non sei essenziale", "avrai delle conseguenze ", "fai le cose SOLO per farti vedere", "Ti trucchi e ti metti i tacchi perché così gli uomini ti guardano", "prendi esempio dalle altre "QUELLE sono DONNE, stanno al loro posto, non TU"... Non c'è ironia capace di tamponare le frasi che scorrevano impietose nella mia mente e nei miei ricordi.

<<Stringiamo le schede, come lettere d'amore...>> Quanto doveva valere quella scheda, quel momento, quel "potere" di decidere, forse non riesco neanche lontanamente a comprenderlo.

È inutile dire che la Cortellesi è straordinaria in tutto ciò che la rappresenta, eppure questa volta e se possibile è riuscita a salire un gradino più su della spettacolarità.

È solo un voto.

Nei miei libri si chiamava il diritto di "contare".

Questo film è TREMENDO, ed è proprio per questo che BISOGNA vederlo.


Dott.ssa Pittari Chiara

(Pedagogista, Educatrice presso la Casa Famiglia Murialdo)

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Cos’è la rubrica: Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati

Da un po’ di tempo la mente di noi educatori è talmente colma di pensieri e riflessioni che spesso straripa . Lo scrivere è diventato per noi salvataggio indelebile, la messa al sicuro dei momenti della vita che trascorriamo con in nostri ragazzi.

Noi educatori spesso la notte scriviamo pagine di una vita vissuta fra le mura condivise con degli sconosciuti che a tratti riescono a sentirsi parte di una casa, parte di una famiglia

mercoledì 8 novembre 2023

9 consigli per fare i compiti con i figli

 Rubrica: Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati

9 CONSIGLI PRATICI PER FARE I COMPITI CON I FIGLI 

Fare i compiti è un'attività che può essere molto stressante sia per i bambini che per i genitori. I bambini spesso si lamentano di non avere voglia di studiare, di trovare i compiti difficili o di non sapere come svolgerli. I genitori, invece, possono sentirsi frustrati nel dover aiutare i figli e nel non essere sempre in grado di capire cosa sta succedendo.

Alcuni dei problemi più comuni che i genitori si trovano ad affrontare quando i figli devono fare i compiti sono:

  • Il bambino non vuole fare i compiti. Questo è un problema molto comune, soprattutto nei bambini più piccoli. I bambini possono trovare i compiti noiosi, difficili o semplicemente non avere voglia di studiare.
  • Il bambino non sa come svolgere i compiti. Anche questo è un problema molto comune, soprattutto nei bambini che stanno imparando nuove cose. I bambini possono avere difficoltà a capire le istruzioni, a trovare le informazioni necessarie o a risolvere i problemi.
  • Il bambino si distrae facilmente. I bambini hanno una soglia di attenzione limitata, quindi possono facilmente distrarsi quando devono fare i compiti. Le distrazioni possono essere di qualsiasi tipo, come la televisione, i videogiochi, i fratelli o le sorelle. 

Ma come possiamo aiutare i bambini a fare i compiti evitando capricci e inutili tensioni? Ecco alcuni consigli pratici.

  • Crea un ambiente di studio tranquillo. Il bambino dovrebbe avere un posto dove studiare senza essere disturbato da rumori o distrazioni.
  • Stabilisci una routine. I bambini hanno bisogno di sapere quando e dove dovranno fare i compiti. Stabilendo una routine, il bambino imparerà a concentrarsi e a essere più autonomo.
  • Aiuta il bambino a capire i compiti. Se il bambino non capisce le istruzioni o ha difficoltà a risolvere un problema, offrigli il tuo aiuto.
  • Fai delle pause. I bambini non sono in grado di concentrarsi per troppo tempo senza fare una pausa. Fai delle pause di 5-10 minuti ogni 20-30 minuti di studio.
  • Non essere troppo critico. Se il bambino sbaglia, non arrabbiarti. Aiutalo a capire dove ha sbagliato e a correggere l'errore.
  • Fai in modo che fare i compiti sia un'esperienza positiva. Premia il bambino per aver fatto i compiti in modo corretto e in tempo.

Seguendo questi consigli, puoi aiutare il tuo bambino a sviluppare le abilità necessarie per fare i compiti in modo efficace e autonomo.

Non sei ancora convinto? Ecco dei suggerimenti aggiuntivi che ti possono essere utili:

  • Coinvolgi il bambino nella scelta del luogo e dell'orario in cui fare i compiti. Questo lo aiuterà a sentirsi più coinvolto e motivato.
  • Fai in modo che il bambino si senta a suo agio nel chiedere aiuto. Spiegagli che non ci sono domande stupide e che puoi aiutarlo a capire qualsiasi cosa non capisca.
  • Incoraggia il bambino a fare i compiti da solo, ma offrigli il tuo aiuto quando ne ha bisogno. Questo lo aiuterà a sviluppare l'autonomia e la fiducia in se stesso.

Fare i compiti è un'abilità importante che i bambini devono imparare. Con l'aiuto dei genitori, i bambini possono sviluppare le competenze necessarie per avere successo a scuola e nella vita, ma soprattutto per vivere con serenità il momento dello studio.

Dott. Di Sabato Stefano

(Educatore presso il Centro Educativo Diurno Murialdo)

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Mercoledì prossimo  si rinnoverà l’appuntamento con

‘Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati’

 

Cos’è la rubrica: Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati

Da un po’ di tempo la mente di noi educatori è talmente colma di pensieri e riflessioni che spesso straripa . Lo scrivere è diventato per noi salvataggio indelebile, la messa al sicuro dei momenti della vita che trascorriamo con in nostri ragazzi.

Noi educatori spesso la notte scriviamo pagine di una vita vissuta fra le mura condivise con degli sconosciuti che a tratti riescono a sentirsi parte di una casa, parte di una famiglia