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mercoledì 22 settembre 2021

Il duro lavoro dell'educatore

Rubrica: Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati

 IL DURO LAVORO DELL'EDUCATORE

<<Ciao Chiara, ti chiamavo per chiederti se avessi il piacere e la voglia di lavorare con noi. La casa famiglia femminile è rimasta scoperta di un'unità e abbiamo pensato a te. Fammi sapere se sei interessata e...spero tanto che l'idea di tornare a lavorare qui, ti faccia piacere>>

Credo che fu, senza prova di dubbio, l'anno più difficile della mia vita fino a questo momento. Fu un anno turbolento, insidioso. In quell'anno le possibilità di lavoro erano diventate sempre più complesse e, ahimè, ridotte. Per la prima volta in tutta la mia vita ero pronta per andar via dalla mia amata Lucera perché il non lavorare, per chi come me, aveva la testa piena di sogni, per chi in delirio di onnipotenza si era innamorata di quella cultura intrisa di lavoro e voglia di trovare il proprio posto nel mondo, la stessa cultura con la quale i sapienti libri avevano forgiato i miei ideali, il non avere un futuro...era una prospettiva terribile. In un solo anno avevo provato la gioia di avere un lavoro, l'angoscia di perderlo, il vuoto di frasi eteree che galleggiavano nell'aria sulle note impietose di "le faremo sapere" e l'amarezza per il nulla che appariva tetro e macchiava di scuro il mio futuro.

"Ti offriamo 100 euro al mese con prospettive di aumento. Non occorre la laurea, richiediamo dalle 8 alle 12 ore di lavoro ma potrebbe esserti richiesta maggiore disponibilità anche nei festivi. Tu non sei di qua vero? Comunque il trasporto è a carico tuo" Ricordo frasi di questo tipo e... quella stretta allo stomaco.

Piansi molto quell'anno... tutte le mia certezze stavano andando in fumo.

Avevo trascorso tutta una giovinezza a pensare alle cose straordinarie che la vita mi avrebbe riservato, eppure la vita, in quel momento, si stava prendendo beffa di me.

In poco tempo fui disoccupata, maestra d'asilo, ragazza alla ricerca e pronta ad andare via ed... educatrice.

In agosto Marco mi chiamò per chiedermi se avessi voluto lavorare in comunità. Ricordo che dissi: sì. Fu un "si" liberatorio, istintivo e ...felice.

<<Lavoro>>...qual parola complessa.

Ripensai al tirocinio che decisi di svolgere proprio in quella cooperativa, per conoscere quella realtà a cui ambivo, a Lucia che mi faceva da Tutor e sapientemente educava la mia mente a sperimentarsi e a correggersi; ripensai al volontariato, all'ADE che avevamo cercato di ripristinare in ogni modo...

Un lavoro, nella terra che ho sempre amato.

Un lavoro per il quale avevo studiato.

Era utopia...eppure ad un tratto era...vero.

Ricordo che il Presidente mi disse: << è un lavoro duro, impegnativo ma che, se fatto nel modo giusto e non so dirti quale sia perché lo scoprirai da te, darà soddisfazioni e certe volte tristezze e batoste. È un mestiere, quello dell'educatore, che prevede turni, notti e spesso festivi trascorsi a lavoro e talvolta emergenze...se scegli di farlo devi sapere che le condizioni sono queste.

Un ragazzo che piange di notte, beh quello è il tuo lavoro, vorrei saperti dire di più, ma è solo facendo che potresti comprendere>>

Il primo giorno mi accolse una signora gentile dai capelli corvini; mi accolse in quella casa che chiamavano: "casa famiglia" e mi spiegò cosa fosse e chi ci vivesse e ... perché.

Cosa fosse L'opera San Giuseppe, le idee e le speranze celate al di sotto di quei mattoni rossastri ed in quei campetti preservati con cura da abili mani, cosa fosse quella casa, chi fossero quelle ragazze e quei ragazzi erano una incognita per me.

La mia prima notte guardai fuori da questa finestra e mi sentii grata e ansiosa e timorosa di sbagliarle tutte.

Anche stanotte guardo quella finestra...

Ho messo a dormire la bimba piccola e le ho dato una carezza, ho cucinato le piadine per delle adolescenti affamate, ho parlato con le ragazze di tutto e di niente...abbiamo fatto una passeggiata ed una di loro ha chiesto: "torniamo a casa? Ho una voglia di stare nel mio letto col venticello".

Torniamo a casa....nel mio letto.

Queste parole mi hanno scaldato i ricordi delle ragazze e dei ragazzi che ho visto passare per di qui, incrociare le loro storie con le mie. Penso a quanti pannolini sono stati cambiati, a quanti bagnetti, allo zaino nuovo, appena comprato per il primo giorno di scuola, appeso nell'ingresso, a quanti compiti, a quante torte, alle chiacchiere di notte, agli incubi che l'oscurità porta con sé, ai progetti...

Sono trascorsi gli anni...ed io benedico ancora quella finestra che mi accolse benevola, il primo giorno, con la sua brezza.

Sono già trascorsi anni...e a poco a poco questa casa è diventata un po' anche la mia.

Il poeta Ligabue cantava:

"Una vita da mediano, a recuperar palloni....Una vita da mediano

Da chi segna sempre poco,

Che il pallone devi darlo

a chi finalizza il gioco".

Quella chiamata, quel contratto, quelle scelte all'epoca prive di senso, quel si...mi portarono qui, come Oriali a vincere...caso mai i miei mondiali.

Con l'università scelsi di giocare la mia partita...poi la vita fece il resto.

Ed io son qui...

Dott.ssa Pittari Chiara

(Pedagogista, Educatrice presso Casa Famiglia Murialdo)

 

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‘Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati’

 

Cos’è la rubrica: Danzanti col vento...storie e racconti di educatori appassionati

Da un po’ di tempo la mente di noi educatori è talmente colma di pensieri e riflessioni che spesso straripa . Lo scrivere è diventato per noi salvataggio indelebile, la messa al sicuro dei momenti della vita che trascorriamo con in nostri ragazzi.

Noi educatori spesso la notte scriviamo pagine di una vita vissuta fra le mura condivise con degli sconosciuti che a tratti riescono a sentirsi parte di una casa, parte di una famiglia

Un giorno abbiamo deciso di raccontare e di raccontarci per mostrare anche oltre le nostre mura, la bellezza di una giornata trascorsa assieme ai nostri compagni di strada, la paura verso i giorni che verranno, gli aneddoti divertenti dei giorni di sole e le tempestose giornate di pioggia.

Raccontare è per noi un dono ed è prezioso perché permette di rivederci nello specchio e comprendere che vi è sempre da imparare, perché noi danziamo  e danziamo col vento.

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